Sentiti i tre medici che effettuarono i controlli del sangue al Pirata. di BERNADETTA RANIERI.
La vicenda sportiva di Marco Pantani è nota a tutti. Anche a chi non segue il ciclismo. Il campione di Cesenatico venne rinvenuto cadavere il 14 febbraio 2004 nel residence Le Rose di Rimini. Overdose si disse inizialmente e le indagini vennero chiuse in fretta e furia nonostante i molti dubbi intorno alla sua morte. Solo lo scorso agosto, a distanza di dieci anni, il Procuratore di Rimini Paolo Giovagnoli ha ripreso in mano il fascicolo e ha deciso di aprire una nuova indagine per omicidio volontario a carico di ignoti, affidando il caso alla sezione di polizia giudiziaria della Procura. Un atto dovuto a seguito della presentazione di un esposto per omicidio da parte di Antonio De Renzis legale della famiglia Pantani, accompagnato da una nuova perizia fatta da Francesco Maria Avato, direttore della sezione di medicina legale dell’Università di Ferrara.
Nella denuncia la tesi riportata è stata che Pantani fu ucciso volontariamente, costretto a ingerire cocaina a forza di botte e questo sarebbe il motivo delle lesioni rilevate sul corpo. Contusioni che nella prima indagine erano state ritenute compatibili con la caduta. L’unica cosa in comune con la prima perizia autoptica, effettuata dal prof. Fortuni a 48 ore dalla morte del campione, è che la morte è avvenuta per arresto cardiocircolatorio a causa dell’ingente quantità di droga ingerita. Per dirimere la questione tra le due perizie, il pm Giovagnoli nominò il professor Tagliaro, dell”Istituto di Medicina Legale di Verona, come consulente per effettuare ulteriori analisi sui campioni di sangue e urine di Pantani. A febbraio di quest’anno la perizia viene depositata in procura e riporta un’interpretazione del tutto simile a quella di Fortuni: Pantani è stato ucciso dagli antidepressivi presi all’epoca sotto la prescrizione di un dottore che conosceva bene le abitudini del paziente. “Il decesso – spiega Tagliaro nella superperizia – è dovuto primariamente al sovradosaggio di antidepressivi. La cocaina resta come “concausa”: circostanza che non intacca le conclusioni processuali che hanno portato alla condanna degli spacciatori dell’ultima dose“.
Nessun omicidio dunque: le indagini scientifiche e le risposte di Tagliaro ai quesiti del procuratore Paolo Giovagnoli smentirebbero la tesi sostenuta dai genitori del ciclista romagnolo. Rimane pertanto il dubbio se si sia trattato di un suicidio o di un errore di valutazione da parte del Pirata. L’inchiesta non è ancora ufficialmente chiusa. Permangono ancora dei lati oscuri di tutta la vicenda e se il pm Giovagnoli decidesse l’archiviazione del caso allora l’avvocato De Rensis sarebbe pronto a rivolgersi al Gip, in modo tale da richiedere nuove indagini, ma potrebbe anche chiedere di spostare il tutto a Bologna facendo leva, a suo parere, proprio sulle non risposta dell’inchiesta.
Parallelamente, un’altra inchiesta aperta a Forlì (a un mese da quella di Rimini) avente come protagonista sempre Pantani sembrerebbe volgere a un epilogo. Sotto la lente l’esclusione dal Giro d’Italia di Marco Pantani nella tappa di Madonna di Campiglio del 5 giugno 1999 per il valore fuori norma dell‘ematocrito, nel rapporto cioè fra il volume dei globuli rossi e quello del sangue: 51,9 contro il 50 consentito. Eliminazione che lo portò alla depressione e alla frequentazione di cattive compagnie fino a giungere a quel triste giorno del 14 febbraio 2004. L’ipotesi iniziale è di associazione a delinquere finalizzata alla truffa sportiva, ovvero che qualcuno ha voluto volontariamente alterare il controllo di Campiglio per far fuori la maglia rosa dal Giro d’Italia ’99. In questi ultimi mesi le indagini sono andate avanti grazie anche alla testimonianza del noto criminale Renato Vallanzasca, secondo cui Pantani è stato fatto fuori volutamente per alterare la corsa e trarne un guadagno economico. Pochi giorni fa sono stati sentiti, come persone informate sui fatti, i tre medici dell’ospedale Sant’Anna di Como che quel giorno avevano effettuato i controlli del sangue al Pirata. La parola chiave potrebbe essere “deplasmazione”: un modo semplice e veloce per far salire il livello di ematocrito. E ci sarebbe anche una perizia importante che dimostrerebbe come uno dei due controlli fatti a Pantani il 5 giugno (l’altro nel pomeriggio all’ospedale civile di Imola) sarebbe palesemente taroccato. 16 anni dopo, dunque, Marco Pantani e i suoi familiari potrebbero trovare giustizia. Almeno su questo punto.