– A Gigi Riva è stato assegnato il Premio di miglior libro straniero (“Prix Etranger Sport et Littérature”) in Francia nel 2016 dall’Associazione degli scrittori sportivi (“Association des Ecrivains Sportifs”). Gli è stato consegnato dal ministro dello Sport a Parigi lo scorso 15 novembre. La prestigiosa associazione venne fondata nel 1931 dallo scrittore Tristan Bernard, mentre il premio è alla quarta edizione. Prima del santarcangiolese d’adozione era stato attribuito a raffinati scrittori: il brasiliano Max De Carvalho, gli americani Daniel James Brown e Joyce Carol Oates (da 20 anni in odor di Nobel). Il libro è stato pubblicato prima in francese (“Le dernier pénalty”, Editions du Seuil, Parigi, 12 maggio 2016, poi in Italia da Sellerio, “L’ultimo rigore di Faruk”, Palermo, il 19 maggio dello stesso anno).
Raccontato da buona parte della stampa italiana, in Francia è stato osannato. Testate di assoluto prestigio, gli hanno dedicato almeno una pagina: “Le Monde”, “L’Express”, “Lire”, “Le Figaro”, “Journal de Dimanche”. Per la semplicità, bellezza e sobrietà della scrittura, Riva è stato paragonato a Albert Camus, Eduardo Galeano, Mario Soldati. Insomma, inserito tra i grandissimi.
Racconta il caporedattore centrale dell’”Espresso”: “La critica con me è stata davvero molto generosa; i paragoni sono imbarazzanti…”.
L’inizio del romanzo storico è una pennellata che ti fa entrare in una mattinata di primavera avvolta bella luce: “C’è un episodio della nostra esistenza che ci perseguita nonostante noi”.
“L’ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e guerra”, è un affresco della miseria e della grandezza dell’umanità attraverso la disgregazione della Jugoslavia dopo la morte del dittatore Tito. Il mistero della storia, Riva, la intreccia con la figura di Faruk Hadzibegic, capitano dell’ultima nazionale jugoslava. Un modello di correttezza in campo, fuori un uomo profondo, l’idolo calcistico al quale cercava di rassomigliare era Giacinto Facchetti: il regista della difesa, già capitano dell’Inter e della nazionale italiana. Scomparso prima del tempo, gli appassionati lo ricordano, Facchetti, come un signore in campo e nella vita.
Torniamo al volume. Siamo ai mondiali di Italia ‘90, quella Jugoslavia ricca di talenti gioca i quarti di finale con l’Argentina, finalista perdente con la Germania. Faruk sbaglia il rigore. Se fosse entrato forse la storia della Jugoslavia avrebbe preso altre strade. Chissà. Le tifoserie fanno da propulsore e forza bruta al disfacimento di un micro-cosmo civile e pieno di vitalità. Gli jugoslavi hanno la stessa cultura, ma hanno optato per la tragedia nel costruire le loro piccole patrie.
Prima di approdare all’”Espresso”, Riva ha raccontato le guerre balcaniche degli anni ‘90 da inviato de “il Giorno”.
Originario di Bergamo, si diceva santarcangiolese di adozione, dal 1989. Giunge a Rimini per raccontare le mucillagini della riviera; incontra la donna della vita, Alessandra. Hanno due figli: Tito e Greta. Tanti gli amici santarcangiolesi: Luciano Manuzzi, Graziano Spinosi, Rossella Perazzini, Gibo Vittori, Remo Vigorelli, Paola Donini.
Dei romagnoli racconta: “Gente che è riuscita a trovare il giusto equilibrio tra il lavoro e il divertimento: lavorano molto e se la godono altrettanto. Per noi bergamaschi il lavoro è preponderante; invece a Roma, dove lavoro, prevale il divertimento. Forse i romagnoli sono così aperti perché hanno il mare, il turismo. Hanno un senso della globalità a livelli innati. Insomma, hanno vedute più ampie delle nostre. Nel’89, dopo la mucillagine, investirono 400 miliardi di lire per piscine e rinnovare gli alberghi. Nelle difficoltà danno il meglio. Hanno capito che la riscossa passa attraverso la strada della qualità. In Romagna c’è un valore aggiunto che va oltre la qualità, il prezzo, il saper fare ed è la simpatia verso gli altri. Il tratto dei romagnoli è davvero unico”.
A chi gli chiede se la barca Italia ce la può fare , risponde: “Certo che ce la possiamo fare. I presupposti li abbiamo tutti. Forse tutti noi per arrivare a questo punto abbiamo mancato in qualcosa. Se accettiamo di rinunciare a qualcosa, staremo meglio. Esiste anche una decrescita felice. Dobbiamo anche pensare che tutti noi siamo finiti nella parte fortunata del mondo”.