Al centro Marina Pasquini
– “Chi viene da me si deve riportare un’emozione che gli deve restare incisa nell’anima per tutta la vita e da raccontare. L’ospitalità non è un sistema di prenotazione online, ma passione. Essere unici ed originali. E’ un lavoro che non si fa con i numeri, ma con il cuore. Per farlo ci vogliono sensibilità, generosità e concentrarsi sugli ospiti. Posso dire che non ho mai lavorato un giorno della mia vita. L’albergo non è il mezzo, ma il mio modo di vivere. Di essere. Qui realizzo le mie passioni da condividere”.
Con questo spirito Marina Pasquini, fa accoglienza a Riccione dai primi anni ‘80. E’ la signora delle eccellenze romagnole, italiche e non solo.
In questo arco di tempo, ha costruito cose meravigliose. Meraviglie che TripAdvisor le ha riconosciuto: nel 2018 miglior albergo d’Italia e d’Europa e sesto nel mondo. E miglior albergo d’Italia nel 2011 e nel 2013. Apprezzamenti che rendono nulle le parole…
La sua avventura al “Belvedere” inizia nel 1981 insieme a Romeo; fidanzato da 6 mesi (oggi il marito). Non ha che 19 anni e si era appena iscritta all’università, quando succede un fatto imprevisto; quell’anno, per improvvisi motivi familiari, l’affittuario del Belvedere si trova costretto a lasciare. Così, seguendo non so bene quale intuizione, e con una buona dose di azzardo, il padre Giuliano, riminese del Borgo San Giuliano, le chiede a bruciapelo: «Vuoi provare tu?»
Con l’entusiasmo dell’età (e anche tutta l’inesperienza del caso) si lancia dunque in questa avventura. L’albergo era un 3 stelle, con una clientela fedelissima che di anno in anno tornava e che di certo all’inizio interagiva faticosamente con una gestione così giovane, dinamica e innovativa. Del resto, Marina era abituata alle vacanze trascorse con la sua famiglia nei Villaggi Vacanze e quello che voleva era divertirsi nel suo hotel come quando era in vacanza. Così ha iniziato a inserire una serie di servizi ben lontani dalla tradizionale gestione romagnola: animazione, biciclette per i clienti, prima colazione a buffet, feste in giardino, eventi sulla spiaggia.
Racconta: “Tutto con il mio totale coinvolgimento. Per me, da lì in poi, il Belvedere è stato una 24 ore no stop. Dai miei venti ai miei trent’anni (cioè nel pieno degli anni Ottanta) siamo stati l’albergo della gestione spontanea, della rottura con il vecchio modo di vedere l’ospitalità in Romagna: le feste, l’allegria, gli anni delle discoteche a Riccione… Da maggio a settembre, quando l’hotel era aperto, abbiamo letteralmente guidato le danze. In inverno, mi dedicavo allo studio delle lingue e a girare il mondo in cerca di nuove idee.”
Con due occhi saettanti ed accorti da un angolo della hall ingentilita dalle orchidee bianche, il suo colore, ricorda: “La mia cultura alberghiera non nasce da una formazione specifica, ma dalla famiglia. Ai miei genitori piaceva avere amici in casa; con mia madre ai fornelli: cucina benissimo. La nostra casa di campagna con piscina a Spadarolo, costruita negli anni ‘70 (allora sembrava lontana anni luce da Rimini eppure non distava che pochi chilometri), era un approdo affollato. Racconto questo episodio non per fare un generico amarcord ma per sottolineare un elemento importante della mia biografia ‘psicologica’: è così che ho imparato, anzi ho assimilato, il significato di ospitalità.
Il mio primo approccio con il mondo del turismo arriva a 16 anni: come gran parte degli studenti della Romagna, durante le vacanze scolastiche sono andata a lavorare in un hotel riminese, Il Continental, acquisendo così la più elementare esperienza nel settore. Libertà, via da casa e qualche soldino in tasca: l’impatto era stato decisamente positivo”.
“A me – continua con l’ampio sorriso – piace condividere quello che amo. Nel mio albergo si mangia e si beve quello che piace a me, senza mai anteporre il costo al risultato. Amo circondarmi di cose belle ed uniche da vivere con gli ospiti e fare cose che non si usano fare”.
L’ultimo regalo a se stessa, e ai clienti, quasi unico, è una affettatrice costruita da un artigiano friulano. Ce ne sono tre nel mondo; due in Colorado ed una a Riccione. E’ una affettatrice manuale, ma soprattutto è una scultura che racconta le intelligenze degli uomini.
Un’esperienza che ti porti nel cuore per sempre, come afferma Marina, non può passare che dalla bontà della cucina. Racconta questa donna che coniuga la saggia concretezza del “azdora” (signora della casa in dialetto) al fascino: “In tutto quello che mangi e bevi da noi c’è una storia da raccontare.”
Una volta la settimana ci si immerge nella cultura eno-gastronomica romagnola; a cuocere e servire le piadine: Marina insieme al marito, al figlio Filippo e alla madre Maria Teresa. Il venerdì è l’appuntamento con la Paella. A mezzogiorno, una volta la settimana, tutti all’agriturismo “I Muretti” in Valconca, dove si degustano i piatti della tradizione. Uno su tutti: il coniglio in porchetta.
Nel suo albergo si assaggiano tra le migliori mozzarelle d’Italia, piatti cosiddetti raffinati, come la tartare di filetto di manzo in Armentarola Style (il suo omaggio alla Alta Badia, il luogo del cuore), alle favolose pietanze di quando l’Italia era povera, come riso con le “poveracce” (vongole) e la seppia coi piselli…
Dato che anche l’eno-gastronomia è la civiltà dei popoli, non meno dei monumenti e della cultura, per gli ospiti si organizzano corsi per fare la pasta in casa: tagliatelle, strozzapreti, piadina (quest’ultima per i bambini).
La cucina come spazio è la prosecuzione dell’albergo; forse è ancora più invitante. Mette la persona al centro: musica, finestre con affaccio e soffitto aspirante. Insomma: tecnologica e funzionale. E’ superfluo dirlo: arriva tutta materia prima grezza che lo staff trasforma in sapori e colori.
Ultimo, ma non per questo meno importante è il contenitore: il “Belvedere”, scrigno di una bellezza senza fronzoli. Ogni cinque anni le camere vengono rinnovate. Alla fine di questa stagione si rimette mano in modo importante; le camere passano da 42 a 39 (le suite diventeranno 12). Andando a ritroso, una data da appuntare è il 2005: si costruisce la spa (salus per aquam, benessere attraverso l’acqua). Quasi 500 metri quadrati, dove ritemprare mente e corpo, direbbero i Romani. Un percorso, con due tappe uniche: il bagno turco in ardesia ed una vasca salina di forma circolare e soffitto stellato con la salinità del Mar Morto (75%); con il sale che giunge dalla Giordania.
Dagli inizi ad oggi, numerose le ristrutturazioni che potrebbero essere sintetizzate nel numero delle camere: passate da 61 a 42.
Affacciato su viale Gramsci, aperto da marzo ad ottobre, gli ospiti stranieri (a maggioranza da Australia, Canada e Stati Uniti) sono quasi il 50% della clientela.
Il “Belvedere” poggia sulle fondamenta di una villa costruita da una famiglia romana negli anni ‘30 del secolo scorso; poi viene acquistata dai Brambilla di Milano, che la trasformano in albergo e ne affidano la gestione ai Vannucci di Riccione. Infine, arrivano i Pasquini, costruttori edili di Borgo San Giuliano, Rimini. Ci mettono le mani e per qualche anno lo concedono in affitto. La svolta nel 1981.
Marina, ‘Sotto il sole’ di Riccione ha realizzato il suo sogno: ambasciatrice della dolce vita nel mondo. Marina Pasquini: “ll mio successo inizia da lontano e ringrazio per questo oltre alla mia famiglia il mio staff che da anni mi segue e condivide con me lo stesso entusiasmo e la stessa passione”.