Giovanni Guareschi
Il 10 settembre a Riccione c’è stata la presentazione di un libro su
Guareschi. Rodolfo Francesconi ha tenuto un piccolo intervento. Eccolo.
Ho incontrato Guareschi per la prima volta leggendo Il destino si chiama Clotilde o durante gli ultimi anni di guerra o nei primi successivi. Della storia narrata non ricordo quasi nulla, se non il motivo perchè mi era piaciuta: il personaggio principale si chiamava Pio Pis ed era obbligato, se voleva entrare in possesso di una eredità, a bere un bicchiere di olio di ricino, lui che si era sempre rifiutato di farlo. Era un periodo nel quale l’olio di ricino (della Carlo Erba) mi perseguitava, perchè ogni volta che dovevo fare un viaggetto a trovare i miei parenti ero costretto a berne un bicchiere “Per il cambiamento d’aria! Ricordatelo!”, quindi avevo scoperchiato un sodalizio fra me e il signor Pis.
Scopersi poi “Candido”, ma non lo leggevo (preferivo il Marc’Aurelio) perchè ero un “trinariciuto”, e, se mi capitava, lo sfogliavo con curiosità e mi allontanavo, ma con dispiacere, da questo giornale inverecondo.
Mi avvicinai a Don Camillo attraverso il cinema gustandomi tutti i film di Cervi e di Fernandel (che avevo già apprezzato con Le vacanze di Monsier Hulot) e poi lo persi di vista.
Alcuni anni più tardi mi abbonai a un settimanale satirico “di resistenza umana” come si definiva allora Cuore, perchè ero attratto dalla satira. che altro non è se non una branca della morale, come mi avevano già insegnato i Fratelli De Rege negli avanspettacoli milanesi e Fortebraccio sull’Unità.
Non mi meravigliai se proprio quel giornale (di sinistra e non anti-progressista come invece si era dichiarato Guareschi) nel 1994 ristampasse Don Camillo, lo lessi e finalmente lo gustai appieno.
Era un periodo, per me, quello in cui mi interessavo di marionette e burattini (proprio quelli illustrati da Roberto Leydi che conobbi ed invitai a Riccione a tenere una conferenza) fino ai pupari siciliani e mi resi conto allora dei motivi del successo avuto dai film e dal libro di Guareschi.
Don Camillo e Peppone erano gli eredi della Commedia dell’Arte con le tipologie di personaggi come l’Augusto ed il Bianco che improvvisavano dialoghi anche buffi, illustrati mimicamente da contorsioni e cascate che interrompevano l’azione, così come nel Teatro dei burattini con Pantalone e il dottor Balanzone o oppure fra Orlando e Rinaldo del Teatro dell’Opera dei Pupi di Macrì, che si scambiavano bastonate, urti e spintoni.
Don Camillo è infatti costruito di tante scene, proprie di un Teatro di Piazza, dove valgono più i fatti che le parole e dove oltre all’eroe (il prete) e all’antagonista (il comunista), vi è un terzo personaggio: il Cristo parlatore. Questa triade richiama i tre protagonisti clown ideati dalla famiglia Fratellini che erano appunto il Parlatore, il Compare e il Sempliciotto.
Quindi, oltre a essere uno scrittore popolare dal linguaggio forte e semplice, come lo aveva presentato in quella ristampa Michele Serra (proprio quello dell’Amaca su La Repubblica), Guareschi ha saputo raccontare storie con un capo e una coda, un inizio e una fine, gesta, frasi celebri, colpi di scena ed emozioni e queste sono le ragioni profonde della sua affermazione.