Stefano Zamagni, il riminese è economista di prestigio mondiale
– “Manca il senso del futuro, oggi c’è il presentismo. Il debito pubblico è un grande cancro che ci impedisce di ragionare ed operare”. Il prestigioso economista Stefano Zamagni è in grande forma. Si diverte, analizza, propone… L’ultimo libro ha preso spunto dalla crisi economica. titolo: “Prudenza”.
Che cosa pensa del debito pubblico italiano?
“E’ un grande cancro che ci impedisce di ragionare e operare; in base ad un principio della fisica, si crea ma si può cambiare. E’ un fatto sociale, per l’italiano medio è immodificabile come una montagna. Fino agli anni Settanta, il debito non c’era. Allora si sapeva fare politica con le teste sulle spalle; dal dopoguerra crearono il boom economico senza indebitare il Paese. Oggi, purtroppo, abbiamo una classe dirigente non all’altezza. Senza cultura; cultura non vuol dire istruzione, perché ha cultura anche chi non è andato a scuola. E’ un errore di strategia politica, che favorisce i consumi piuttosto che gli investimenti strutturali. Con quest’ultimi si aumenta la produttività e si crea ricchezza. Anche gli 80 euro sono un errore”.
Quali conseguenze con un debito così alto?
“Siamo ricattabili da chiunque ha concentrazione di potere. Noi così non abbiamo le mani libere per lo sviluppo. La conseguenza è che 300mila giovani tra i migliori se ne vanno all’estero. Insomma, siamo in un vicolo cieco. Gli attuali governanti dicono che non è colpa loro ed hanno ragione. Ad iniziare a far correre il debito fu Craxi, poi gli altri hanno proseguito fino ad arrivare al 130 per cento del Prodotto interno lordo. L’unico a tentare di abbassarlo fu Romano Prodi. La sua politica razionale dava fastidio. Dà fastidio a chi vive di rendita”.
Chi sono coloro i quali vivono di rendita?
“La finanza, la burocrazia e le imprese che hanno concentrazione senza centralizzazione. I burocrati hanno nelle mani il governo effettivo dello Stato e non ne sono responsabili; il politico, al contrario, se sbaglia rischia di non essere eletto. Invece, i burocrati sono deresponsabilizzati e prendono le decisioni. Sono loro a divorare quote di Pil e potere. E più la vuoi semplificare, la burocrazia, e più aumenta. Per togliere loro potere ci vuole un progetto trasformazionale in grado di cambiarli in blocchi. Ci vuole che i cittadini lo capiscano e lo vogliano. Altrimenti è come mettere una pezza ad una camera d’aria a pezzi. Inutile.
Il ponte crollato a Genova appartiene alla terza categoria: concentrazione di potere senza centralizzazione. Cioè il potere c’era, ma non sapeva niente delle periferia. Se concentri il potere devi centralizzare anche le responsabilità. Su Genova tutti sapevano ma si è tirato avanti il più possibile, pensando solo agli utili”.
Perché siamo in questo stato?
“E’ un problema di società civile, manca la cultura di base. Quando gli italiani sbatteranno il naso, allora diventeranno saggi. Bisogna essere buoni e non bravi. Dove i buoni sono coloro i quali perseguono il bene; mentre i bravi fanno soltanto il loro dovere, seguendo magari le leggi anche quando sono ingiuste. Va applicata la filosofia di don Benzi, che violava le legge ingiusta. Spesso chi fa semplicemente il proprio dovere è ipocrita: si nasconde dietro la norma”.
“Perché si ha paura del futuro?
“La vita è legata al presente, al mondo delle imprese e si arraffa il più possibile. Si passa troppo tempo nel presente, ma se non si allunga la visione, tutto è destinato a collassare, come avvenuto per l’impero romano. Siccome tale situazione non potrà durare, quando arriverà una bella botta, lascerà sul campo tantissima miseria. E gli italiani capiranno”