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Coronavirus. Economia, l’Europa rimanda che cosa fare…

Redazione di Redazione
28 Marzo 2020
in Focus, Regione Emilia Romagna, Riccione, Rimini
Tempo di lettura : 5 minuti necessari
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Tratto da lavoce.info

di Angelo Baglioni (professore di Economia politica alla Cattolica, Milano)
e Massimo Bordignon (professore di Scienze della finanza alla Cattolica di Milano)

In Europa si continua a rimpallare una decisione sulla risposta comune alla crisi creata dal coronavirus. Ma quali sono le diverse opzioni? Dai corona-bond al prestito del Mes fino a un intervento della Bei i vantaggi e svantaggi delle diverse soluzioni.
L’Europa rimanda
Le conclusioni del vertice europeo (a livello di capi di stato e di governo) del 26 marzo mostrano tutta la difficoltà dell’Europa nel raggiungere un consenso su come affrontare l’emergenza economica creata dal coronavirus. Nessuna soluzione immediata è stata trovata, nonostante l’urgenza dei problemi sul tappeto, sottolineata anche da Mario Draghi nel suo intervento sul Financial Times dello stesso giorno. C’è stato un sostanziale rinvio di due settimane, con un invito ai ministri finanziari (Eurogruppo) a individuare soluzioni: lo stesso Eurogruppo che due giorni prima, nell’impossibilità di trovare un accordo, aveva passato la palla al vertice dei capi di governo. Se continua questo palleggio, non ne usciamo. L’unica indicazione specifica è un invito, sempre rivolto ai ministri finanziari, ad approfondire la possibilità di potenziare gli interventi della Banca europea degli investimenti (Bei), anche con l’utilizzo del bilancio della Ue. Dietro le quinte dell’impasse c’è lo scontro tra la maggioranza dei paesi appartenenti all’Eurozona (nove di essi hanno firmato una lettera in cui si chiede l’introduzione di uno strumento di debito comune emesso da una istituzione europea) e alcuni paesi tradizionalmente ostili a qualsiasi evoluzione istituzionale che suoni come una possibile mutualizzazione dei debiti: Olanda, Austria, Finlandia, ma soprattutto Germania.
Quali sono le ipotesi sul tappeto? Ma soprattutto, quali sono quelle realisticamente accettabili sul piano politico?
Eurobond, Mes e Bei
Eurobond. In questi giorni, da più parti è stata auspicata l’introduzione di uno strumento di debito comune nell’area euro. Tecnicamente, si può pensare che una istituzione europea emetta titoli garantiti dai governi di tutta l’area euro: ciò significa che essi si impegnano in solido alla restituzione del capitale e degli interessi su questi titoli. I proventi raccolti sarebbero utilizzati per fare fronte alla emergenza economica creata dal coronavirus: fornire liquidità e garanzie alle imprese, sostenere i redditi delle famiglie, incrementare gli investimenti nella sanità e in altre aree ritenute prioritarie (per esempio, l’ambiente). Il vantaggio di questa soluzione è che, grazie alla garanzia comune, i titoli potrebbero essere emessi a tassi estremamente bassi, praticamente zero, mentre i titoli di paesi fortemente indebitati pagano ancora un tasso di interesse elevato. Un rischio di questa soluzione è che gli Eurobond sarebbero presumibilmente senior rispetto ai titoli nazionali, un problema potenziale per paesi fortemente indebitati come il nostro. Per evitarlo e alla luce del fatto che logicamente la risposta a una crisi di queste dimensioni dovrebbe essere finanziata da più generazioni, è stato proposto di emettere eurobond a lunghissimo termine o addirittura perpetui, supportati da acquisti da parte della Banca centrale europea che in questo modo contribuirebbe, nonostante la lunga scadenza, a tenerne molto bassi i tassi di interesse. L’emissione dei titoli, naturalmente, rappresenterebbe un passo avanti molto significativo nella costruzione europea e contribuirebbe anche a risolvere altri problemi, quale l’assenza di un “safe asset” rilevante per i sistemi finanziari che investono in euro. Il problema è che questa soluzione rappresenterebbe di fatto una mutualizzazione del debito creato per fare fronte alla pandemia, e sembra un passo ancora non digeribile per i paesi europei già citati, perfino in una fase di estrema emergenza.
Meccanismo europeo di stabilità. In realtà, esiste già una istituzione, il Meccanismo europeo di stabilità, che si finanzia sul mercato con il supporto della garanzia di tutti i paesi membri ed eroga finanziamenti a tassi estremamente favorevoli agli stati che ne facciano richiesta. Il problema è che l’istituzione è stata pensata per venire in aiuto di singoli paesi che si trovino in difficoltà finanziaria, cioè impossibilitati ad accedere ai mercati: finora il Mes è venuto in aiuto di Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro e Irlanda negli anni bui della crisi del debito sovrano. Un altro problema è che l’assistenza finanziaria del Mes è soggetta a una condizionalità: il paese che ne fa richiesta si deve sottoporre a un programma di aggiustamento dei conti pubblici, da sottoscrivere nel Memorandum of Understanding, per intenderci quello da concordare con la tristemente famosa Troika. L’idea dietro alle limitazioni (non se ne discute qui l’applicazione nei casi concreti) è che se un paese si trova una situazione di difficoltà è perché ha sbagliato politiche e dunque deve rimuovere gli “errori” in cambio dei finanziamenti accordati. Ma il Covid-19 è ovviamente uno shock esterno, oltretutto comune a tutti, di cui nessuno stato specifico porta responsabilità, anche se naturalmente si può sempre disquisire se singoli paesi avrebbero potuto far di più per ridurre il proprio debito prima che la crisi colpisse. Per queste ragioni, il Mes, con le condizioni attuali, non è utilizzabile per fare fronte all’emergenza coronavirus.
Il Mes potrebbe essere utilizzato solo davanti a un forte alleggerimento nella condizionalità per accedere alle sue linee di credito. In particolare, si dovrebbe limitare solo a una sorveglianza sull’utilizzo dei fondi prestati, per controllare che siano effettivamente usati per fare fronte alle spese sanitarie e di sostegno ai settori dell’economia colpiti dal blocco dell’attività economica in corso. La maturità dei prestiti del Mes dovrebbe inoltre essere molto allungata per evitare restrizioni eccessive nel medio termine sui paesi che vi facessero accesso. Un ulteriore vantaggio di questa soluzione è che potrebbe essere la pre-condizione per far scattare le Omt (le Outright monetary transactions, ovvero il whatever it takes di Mario Draghi), l’acquisto in funzione anti speculativa dei titoli pubblici di un paese. È un tema che potrebbe diventare rilevante in futuro, quando la situazione attuale di eccezionalità della politica di quantitative easing della Bce cessasse. Infine, sarebbe anche opportuno che il Mes, in questa nuova veste, non fosse utilizzato da un solo paese, per evitare che subisca la perdita di reputazione legata alla richiesta di assistenza finanziaria. È certamente una soluzione meno ambiziosa degli Eurobond. Tuttavia, potrebbe rivelarsi politicamente più percorribile; non dovrebbe dunque essere rifiutata a priori dal governo italiano (e di altri paesi in condizioni simili) per paura delle resistenze ideologiche dell’opposizione o di parte della sua maggioranza. Si tratta di un prestito e come per tutti i prestiti il problema è solo quello delle condizioni richieste: se sono sufficientemente convenienti si accetta, se no si rifiuta e nel frattempo si contratta.
Banca europea degli investimenti. La Bei è una istituzione europea che fornisce assistenza finanziaria alle imprese, in particolare a quelle medio-piccole. È molto attiva nel finanziamento di quelle innovative e nella finanza sostenibile. Ha diversi strumenti a disposizione: dai prestiti diretti alle imprese, alle partecipazioni azionarie, alla prestazione di garanzie; queste ultime sono in grado di mobilitare ulteriori risorse finanziarie rispetto a quelle messe direttamente a disposizione dalla Bei, con un effetto di leva. Gli azionisti della Bei sono i paesi della Ue, che partecipano al capitale in proporzione al loro Pil. Di recente, ha annunciato un piano da 40 miliardi di euro per potenziare i suoi interventi in reazione alla emergenza coronavirus; di questi, la metà dovrebbe avvenire proprio grazie ai finanziamenti bancari mobilitati dalle garanzie fornite dalla Bei. In mancanza di un accordo sulle soluzioni precedenti, comunque migliori, il potenziamento della dotazione e della capacità di intervento della Bei potrebbe essere una strada utile da percorrere, purché la si intraprenda con la necessaria convinzione, cioè con rapidità e nella dimensione adeguata. La recente apertura della Bce, che ha abolito il limite del 50 per cento relativo all’acquisto di obbligazioni emesse da enti sovranazionali nel suo nuovo programma di acquisti (Pandemic Emergency Purchase Program), dovrebbe garantire che non ci siano problemi dal lato del funding. Peraltro, la Bei è già un emittente AAA, quindi non ha al momento problemi a finanziarsi a tassi estremamente contenuti. Tuttavia, questa soluzione non deve diventare uno strattagemma per fare poco e con i soliti tempi lunghi europei. L’Europa non se lo può permettere.
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