Piano nazionale di ripresa e resilienza, occasione per separare le carriere della pubblica amministrazione
Tratto da la voce.info
di Giuseppe Pisauro*, dal luglio 2006 dirige la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze. Temporaneamente in aspettativa in quanto nominato Presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio
Il successo del programma di investimenti NextGen è legato al miglioramento della capacità del settore pubblico di realizzare i progetti. Urge ripensare l’intera struttura, a partire dalla separazione delle carriere di manager e professionisti.
Le carenze del settore pubblico
Il successo del programma di investimenti (il Piano nazionale di ripresa e resilienza, Pnrr) che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU richiede un profondo miglioramento della capacità – finora molto carente – dello stato e degli enti territoriali di realizzare investimenti pubblici. Le difficoltà non dipendono solo da problemi procedurali (vedi Codice degli appalti) ma anche dalle gravi insufficienze delle strutture tecniche pubbliche. Manca personale capace di disegnare progetti ma anche chi sia semplicemente in grado di valutare quelli formulati da imprese private, con conseguenze ovvie non solo sulle capacità di realizzazione ma anche sulla qualità stessa delle iniziative realizzate. Da decenni l’amministrazione pubblica ha rinunciato a svolgere queste funzioni di progettazione diretta e di valutazione tecnica ed economica dei progetti, affidandosi alla consulenza di imprese private. Il Pnrr è l’occasione per iniziare a ripensare questo modello: una riforma strutturale che merita di essere perseguita e che ci consegnerebbe tra qualche anno un’amministrazione in grado di contribuire alla crescita del paese.
Un modello da rivedere
L’interazione con il settore privato è certamente opportuna; occorre tuttavia che il settore pubblico disponga, per esempio in aree come le opere pubbliche e i sistemi informatici, di competenze tecniche che gli consentano di rapportarsi alla pari con i privati. Occorre, insomma, rafforzare le tecnostrutture pubbliche e, dove mancano, crearle. Le strutture tecniche non devono svolgere attività amministrativa. Il modello quindi deve essere diverso da quello tipico degli uffici pubblici basato su un’articolazione piramidale – un dirigente di prima fascia, alcuni dirigenti di seconda fascia e poi funzionari e personale di segreteria – cui corrispondono differenziali retributivi di grande rilievo, specie tra l’area della dirigenza e il resto del personale. Oggi la retribuzione annua lorda per gli impiegati statali è all’incirca di 40 mila euro per un funzionario, di 100 mila euro per un dirigente di seconda fascia e di 170 mila euro per un dirigente di prima fascia.
Un modello adatto, per esempio, a strutture che forniscono servizi amministrativi ai cittadini e alle imprese. Una struttura, nelle intenzioni di chi l’ha disegnata, manageriale in cui il ruolo centrale è svolto da dirigenti generalisti intercambiabili per i quali si esclude per statuto ogni forma di specializzazione: il ruolo dei dirigenti statali (ministeri, agenzie fiscali, etc.) è unico e così sono quelli di regioni ed enti locali. Non è un caso che le informazioni statistiche su dirigenti e funzionari pubblici (contenute nel “Conto annuale” elaborato della Ragioneria generale) non fanno distinzioni per tipologia di laurea. Di fatto, si tratta per la stragrande maggioranza di laureati in giurisprudenza accompagnati da una minoranza di laureati in economia. Non c’è spazio per strutture tecniche e quel ruolo è svolto da consulenti esterni. I pochi tecnici presenti nei ministeri sono inquadrati come funzionari.
Carriere distinte tra manager e professionisti
Una struttura tecnica idealmente dovrebbe essere formata da una serie di professionisti distinti in fasce sulla base della loro seniority e da una segreteria agile che svolga le funzioni amministrative. La gran parte dei professionisti non svolge compiti dirigenziali ma solo, appunto, professionali. La retribuzione dei professionisti senior deve essere competitiva con quella del settore privato: vale a dire, in pratica, che deve partire da un livello simile a quello attuale dei dirigenti di seconda fascia. Ciò richiede una revisione della struttura per carriere del pubblico impiego. Vanno previste due carriere parallele distinte: una per i manager e una per i professionisti (come avviene, per esempio, nell’amministrazione finanziaria francese), dedicata a figure come ingegneri civili e informatici, geologi, ma anche a esperti di diritto tributario o econometrici.
La legge di bilancio in fase di approvazione in questi giorni prevede l’istituzione di fondi per finanziare le assunzioni di personale a tempo indeterminato (e a partire dal 2019 sono stati superati i limiti al rimpiazzo dei pensionati) e gran parte delle risorse sono destinate a giustizia e forze di polizia. Riguardo al Ngeu non c’è molto: il Mef potrà assumere un contingente di 20 unità di personale (rigorosamente “non dirigenziale”) per le attività connesse all’attuazione del piano. Le amministrazioni operanti nel Mezzogiorno potranno assumere 2.800 persone con contratto a tempo determinato (al massimo tre anni) e avviare concorsi per assunzioni a tempo indeterminato (sempre per personale “non dirigenziale”) per rafforzare la loro capacità amministrativa nella gestione dei fondi della politica di coesione. Un impegno in gran parte temporaneo e dedicato solo agli aspetti amministrativi della gestione dei fondi europei. Serve molto di più: un programma di assunzione di quelle figure che oggi mancano al settore pubblico, garantendo retribuzioni e carriere concorrenziali con quelle del settore privato e con quelle dei colleghi che svolgono attività burocratiche tradizionali.
*Questo articolo è apparso contemporaneamente sul quotidiano Domani