Tratto da lavoce.info
di Luca Giustozzi, lavora a Bruxelles per l’EEAS, il Servizio per l’Azione Esterna dell’Unione Europea.
e Paolo Rizzo, lavora per la Commissione Europea presso la Direzione Generale per l’Occupazione, gli Affari Sociali e l’Inclusione
Già provate dal lockdown, difficilmente le imprese potranno assumersi i costi aggiuntivi necessari alla riapertura e li riverseranno sui consumatori. E anche l’aumento dell’offerta monetaria potrebbe tradursi in un incremento dei prezzi. Per l’Italia potrebbe non essere un male.
Prezzi in aumento
A inizio maggio le associazioni di consumatori e produttori segnalavano aumenti dei prezzi. Coldiretti registrava rincari per frutta (+8,4 per cento), verdura (+5 per cento) e latte (+4,1 per cento), mentre Codacons annunciava un aggravio da 536 euro per famiglia.
Potrebbero essere le prime avvisaglie di una prossima impennata dell’inflazione nell’Eurozona, trainata dalle nuove disposizioni sanitarie per esercenti e imprese, dal dissesto nelle catene logistiche e favorita dal radicale mutamento delle politiche fiscali e monetarie.
Sul lato dell’offerta, molte attività devono affrontare nuove misure di sanificazione e, simultaneamente, limitare l’afflusso della clientela e i tradizionali volumi di vendite. In un contesto diverso, le imprese si sarebbero fatte carico di buona parte dei costi senza rivalersi sul consumatore. Ma gli oltre due mesi di quarantena hanno drasticamente eroso i margini, in special modo per le piccole e medie imprese, che hanno registrato perdite importanti di fronte a costi fissi rimasti inalterati e all’assenza di ricavi. La loro capacità di assumersi i costi della riapertura è dunque limitata e sono così probabili rincari per i consumatori. La questione coinvolge settori come commercio, cura della persona, ristorazione, turismo e trasporti.
I nuovi protocolli di sicurezza rischiano di generare costi addizionali e diminuire il tempo di lavoro. Le fabbriche devono garantire sanificazione dei locali e sistemi di controllo della salute dei lavoratori. Anche la rottura delle catene mondiali di produzione potrebbe generare effetti imprevisti sui prezzi, con conseguenze significative, soprattutto per i settori industriali più globalizzati. L’economista Stephen Roach segnala il rischio di inflazione nel medio periodo dovuto all’aumento dei costi di produzione in un mondo meno connesso.
Eppure, queste aspettative inflazionistiche sembrano smentite dagli ultimi dati ufficiali. L’inflazione interannuale dell’area euro di aprile si è attestata sullo 0,3 per cento, il dato più basso dal 2016, a maggio si prevede che scenda allo 0,1 per cento. Vero è però che negli ultimi due mesi la quasi totalità dei paesi dell’Eurozona era in quarantena, in una paralisi totale delle attività economiche non essenziali. Ciò ha provocato un brusco e forzato calo della domanda. La sospensione di molti settori tradizionali ha verosimilmente impedito il rilevamento di molti prezzi che contribuiscono al paniere Eurostat. Sono dunque dati che vanno presi con cautela.
D’altronde, come sottolinea l’Istat, l’azzeramento dell’inflazione in Italia ad aprile è imputabile prevalentemente ai prezzi dei beni energetici. E la tendenza potrebbe invertirsi ora che i regimi di confinamento sono stati gradualmente revocati in tutta Europa e il prezzo del petrolio è in risalita dopo lo storico crollo di aprile.
Tanta liquidità sul mercato
È sul lato della domanda che si concentrano le perplessità. Da una parte, è inevitabile aspettarsi una recessione nel breve termine, con una diminuzione di consumi e investimenti, che avrà conseguenze sulla domanda di asset monetari, generando una spinta al ribasso dei prezzi. Dall’altra, la Banca centrale europea si è impegnata a garantire liquidità nel mercato a volumi che non si vedevano dalla crisi del debito sovrano, annunciando a inizio giugno l’estensione del programma di acquisti di titoli di stato dell’Eurozona per 1.350 miliardi di euro fino alla metà del 2021. L’aumento dell’offerta monetaria potrebbe tradursi in un incremento generalizzato dei prezzi, compensato solo in parte dalla forzata diminuzione della velocità di circolazione della moneta.
È quindi difficile tracciare con ragionevole certezza una previsione sulle conseguenze di questa straordinaria espansione monetaria. Raramente, gli economisti predicono il futuro con successo. Le politiche espansive della Bce degli ultimi anni erano riuscite a malapena a rilanciare l’inflazione e fino a pochi mesi fa serpeggiava il timore di una stagnazione secolare. Oggi, la discussione è aperta. L’Economist sostiene che il ritorno di una inflazione sia improbabile. Altri, come il Financial Times, si aspettano lo scenario opposto.
Bisogna preoccuparsi di un riaccendersi dell’inflazione? Una crescita inaspettata dei prezzi potrebbe avere effetti benefici per paesi indebitati come l’Italia. Un aumento del valore nominale potrebbe alleggerire il peso di un debito che le previsioni ufficiali stimano intorno al 160 per cento del Pil. Il ritorno dell’inflazione non sarebbe necessariamente una brutta notizia.