Il vescovo Francesco Lambiasi
Festa di San Giovanni Bosco, lettera del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi
Carissimi,
vi scrivo oggi, memoria di san Giovanni Bosco, e da lui prendo l’assist per entrare nel Servizio diocesano di tutela dei minori e delle persone vulnerabili (=SDTM) di recente costituzione. Scriveva don Bosco: “L’educazione è cosa del cuore”. Vero: Dio solo ne è il geniale ideatore e l’insuperabile ideale. Ci ha mandato Gesù ad insegnarcene l’arte e ad offrircene le chiavi: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite”. E ancora: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me” (Mc 10,14; 9,37).
Pastori nel suo nome: questo siamo noi presbiteri, se ci vediamo con i suoi occhi. Se guardiamo ai ragazzi e alle ragazze delle nostre comunità cristiane con la sua tenerezza forte e dolce, gratuita e premurosa. Questo siamo noi: poveri uomini ‘trapiantati’, che captano in cuore i palpiti del cuore del grande Pastore. È l’attrazione per Lui che ci spinge a donare tutto di noi, nella lucida consapevolezza che non si è donato nulla finché non si è donato tutto. È la carità pastorale: uno spenderci a fondo perduto. Senza condizioni e senza riserve. Senza calcoli e senza sconti.
Qui si colloca il bacino acquifero da cui sgorga, limpida e lieta, la sorgente della gioia di essere pastori “a servizio”. Non di noi stessi, ma di quanti siamo custodi e affidatari. Penso al nostro don Oreste: chi lo incontrava, aveva la netta sensazione di trovarsi di fronte a un uomo ‘realizzato’. Gli si leggeva negli occhi che aveva scalato la collina della felicità. Penso anche a voi, fratelli miei. Vi vedo fedeli, generosi, tenaci. Sì, anche affaticati, con un carico amministrativo pesante, ma contenti di essere preti. Certo, se tutti noi, a cominciare da me, punteremo più decisamente alla vetta della santità, che fa rima con felicità. Se ascolteremo di più il Signore, che non si stanca mai di farci credito. Se non ci accontenteremo di essere dei ‘santi-preti’, ma dei ‘preti-santi’, niente e nessuno ci potrà scippare la nostra gioia. Parola del Maestro (Gv 16,22).
Pertanto datemi il piacere di dirvi, a nome del Signore e per conto dei vostri fedeli e collaboratori, soltanto una parola: grazie. In particolare, grazie per quanto fate e farete per la cura dei più piccoli, dei minori e di quei ‘fratellini e sorelline’, che versano in condizione di vulnerabilità. Con il catechismo. Con l’oratorio. Con i grest, i centri estivi, i campi scuola e il molto… ‘quant’altro’. Il fatto del numero ancora alto di bambini e ragazzi che frequentano i nostri percorsi educativi – un numero che in questi anni in diversi casi è perfino aumentato – dice quanto i rispettivi genitori, pur con diverse motivazioni, ripongano una solida fiducia in voi e nei vostri preziosi collaboratori.
È in questa linea che si colloca il SDTM, per le cui finalità e possibilità di valorizzazione mi permetto di rinviarvi a quanto già apparso sui numeri del 19 e 26 gennaio u. s. de ilPonte (vedi http://www.ilponte.com/la-comunita-riminese-protegga-minori-indifesi e http://www.ilponte.com/minori-nuova-rete-un-cambio-di-mentalità). Qui mi preme ricordare che è papa Francesco a chiederci questo prezioso, inderogabile Servizio, in linea con il magistero di Benedetto XVI. Lo chiediamo anche noi vescovi della Conferenza episcopale italiana e di quella emiliano-romagnola. Senza mai dimenticare che è tutta la comunità che deve prendersi cura dei piccoli: genitori, diaconi, catechisti, animatori, insegnanti, allenatori e quanti sono impegnati in attività di culto, carità, animazione e ricreazione.
Se ci sintonizzeremo su queste prospettive, non solo riusciremo a neutralizzare interpretazioni improprie e riduttive, come quelle apparse nei giorni scorsi su alcuni media, ma anche a offrire una immagine trasparente e attendibile del bene che vogliamo a “questi nostri figli”, a questi nostri “fratellini e sorelline”, come li chiamavano affettuosamente don Bosco e don Oreste.
Vi ringrazio per l’attenzione. Vi abbraccio fraternamente. Vi benedico di cuore.
vi scrivo oggi, memoria di san Giovanni Bosco, e da lui prendo l’assist per entrare nel Servizio diocesano di tutela dei minori e delle persone vulnerabili (=SDTM) di recente costituzione. Scriveva don Bosco: “L’educazione è cosa del cuore”. Vero: Dio solo ne è il geniale ideatore e l’insuperabile ideale. Ci ha mandato Gesù ad insegnarcene l’arte e ad offrircene le chiavi: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite”. E ancora: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me” (Mc 10,14; 9,37).
Pastori nel suo nome: questo siamo noi presbiteri, se ci vediamo con i suoi occhi. Se guardiamo ai ragazzi e alle ragazze delle nostre comunità cristiane con la sua tenerezza forte e dolce, gratuita e premurosa. Questo siamo noi: poveri uomini ‘trapiantati’, che captano in cuore i palpiti del cuore del grande Pastore. È l’attrazione per Lui che ci spinge a donare tutto di noi, nella lucida consapevolezza che non si è donato nulla finché non si è donato tutto. È la carità pastorale: uno spenderci a fondo perduto. Senza condizioni e senza riserve. Senza calcoli e senza sconti.
Qui si colloca il bacino acquifero da cui sgorga, limpida e lieta, la sorgente della gioia di essere pastori “a servizio”. Non di noi stessi, ma di quanti siamo custodi e affidatari. Penso al nostro don Oreste: chi lo incontrava, aveva la netta sensazione di trovarsi di fronte a un uomo ‘realizzato’. Gli si leggeva negli occhi che aveva scalato la collina della felicità. Penso anche a voi, fratelli miei. Vi vedo fedeli, generosi, tenaci. Sì, anche affaticati, con un carico amministrativo pesante, ma contenti di essere preti. Certo, se tutti noi, a cominciare da me, punteremo più decisamente alla vetta della santità, che fa rima con felicità. Se ascolteremo di più il Signore, che non si stanca mai di farci credito. Se non ci accontenteremo di essere dei ‘santi-preti’, ma dei ‘preti-santi’, niente e nessuno ci potrà scippare la nostra gioia. Parola del Maestro (Gv 16,22).
Pertanto datemi il piacere di dirvi, a nome del Signore e per conto dei vostri fedeli e collaboratori, soltanto una parola: grazie. In particolare, grazie per quanto fate e farete per la cura dei più piccoli, dei minori e di quei ‘fratellini e sorelline’, che versano in condizione di vulnerabilità. Con il catechismo. Con l’oratorio. Con i grest, i centri estivi, i campi scuola e il molto… ‘quant’altro’. Il fatto del numero ancora alto di bambini e ragazzi che frequentano i nostri percorsi educativi – un numero che in questi anni in diversi casi è perfino aumentato – dice quanto i rispettivi genitori, pur con diverse motivazioni, ripongano una solida fiducia in voi e nei vostri preziosi collaboratori.
È in questa linea che si colloca il SDTM, per le cui finalità e possibilità di valorizzazione mi permetto di rinviarvi a quanto già apparso sui numeri del 19 e 26 gennaio u. s. de ilPonte (vedi http://www.ilponte.com/la-comunita-riminese-protegga-minori-indifesi e http://www.ilponte.com/minori-nuova-rete-un-cambio-di-mentalità). Qui mi preme ricordare che è papa Francesco a chiederci questo prezioso, inderogabile Servizio, in linea con il magistero di Benedetto XVI. Lo chiediamo anche noi vescovi della Conferenza episcopale italiana e di quella emiliano-romagnola. Senza mai dimenticare che è tutta la comunità che deve prendersi cura dei piccoli: genitori, diaconi, catechisti, animatori, insegnanti, allenatori e quanti sono impegnati in attività di culto, carità, animazione e ricreazione.
Se ci sintonizzeremo su queste prospettive, non solo riusciremo a neutralizzare interpretazioni improprie e riduttive, come quelle apparse nei giorni scorsi su alcuni media, ma anche a offrire una immagine trasparente e attendibile del bene che vogliamo a “questi nostri figli”, a questi nostri “fratellini e sorelline”, come li chiamavano affettuosamente don Bosco e don Oreste.
Vi ringrazio per l’attenzione. Vi abbraccio fraternamente. Vi benedico di cuore.