Stefano Zamagni
– “Il debito pubblico è una droga; ti fa tirare il fiato, ma non risolve i problemi. Dopo pochi anni il nodo torna al centro. Lo creano i politici che non sanno fare il loro mestiere. Nel dopo-guerra i nostri grandi statisti erano competenti ed hanno creato il boom economico senza indebitarsi. La Flat tax è ingiusta ed immorale. La società e l’Università va trasformata e non riformata”.
Chiaro, appassionato e con un forte senso della comunità le argomentazioni economiche di Stefano Zamagni, presidente dell’Accademia Pontificia delle Scienze. Riminese, professore di Economia a Bologna (è stato anche preside di facoltà), Zamagni è tra i più prestigiosi economisti al mondo. Piazza gli allievi a Bankitalia e Federal Reserve (la banca centrale americana). Un gruppo di amici di tanto in tanto lo invitano in provincia per tenere delle conferenze. Scende, si paga il treno e poi fanno a gare per riaccompagnarlo a Bologna in macchina. “Il piacere di stare con lui un paio d’ore è irraccontabile”, dice Teresio.
Professore, come legge questo scoramento e pessimismo economico?
“Le ragioni ci sono ma vanno legate alla fase congiunturale; in altre fasi storiche sono state peggiori. L’inadeguatezza della nostra struttura economica è l’affrontare le sfide. Il Pil (Prodotto interno lordo) che non cresce è l’effetto e non la causa. In Italia, il tasso di imprenditorialità è diventato negativo, cioè le imprese che muoiono sono di più di quelle che nascono. L’imprenditorialità è il segno del tempo che stiamo vivendo: non si coltiva fiducia nel futuro. E questo finisce per determinare il peggio. L’economista inglese Keynes, quello del New Deal, affermava che se ci si aspetta il peggio, il peggio si realizza”.
Da dove andare ad iniziare?
“Non stiamo facendo abbastanza sulla digitilizzazione della produzione. Delle nostre sei milioni di aziende, soltanto mezzo milione lo sono. Per accogliere la tecnologia ci vuole personale specializzato. Questo significa produttività più alta e maggiori possibilità di export.
Altro settore dove agire è la scuola. L’Università. Non da riformare, ma trasformarla, cambiando l’impianto tecnico. Va modificato il modello tayloristico dell’inizio del 1900, che ha dato buoni risultati come catena di montaggio. Il principio base è che il vertice comanda e gli altri ubbidiscono. Cioè il professore è in cattedra ed ha sempre ragione. Spesso non si aggiornano e dicono sciocchezze agli allievi. E’ ancora il modello Gentile di tipo fascista. Il modello verticale deve diventare orizzontale. Negli Stati Uniti hanno introdotto l’apprendimento cooperativo, con gli studenti che danno il voto agli insegnanti. Ai gruppi vengono affidati progetti di ricerca; in difficoltà vanno dai professori per superarle. Dall’altra si sviluppa la socializzazione tra loro. Questo progetto è stato introdotto nelle quattro maggiori università americane. Purtroppo la nostra università è rimasta indietro, nonostante che le nostre teste siano tra le migliori. Così non riusciamo ad esprimere le potenzialità”.
Che cosa pensa del debito pubblico italiano?
“E’ chiaro che non va aumentato il debito; chi lo propone è un incapace e criminale. E’ il massimo dell’ingiustizia, che va a gravare sulle spalle delle generazioni future. Il debito pubblico ha la conseguenza di far diminuire la produttività; non è con la redistribuzione ma con la produzione che si crea ricchezza. Ricchezza che dovrebbe essere inclusiva e non come avviene in Italia. Il debito è droga; ti fa tirare il fiato. Dopo pochi anni il nodo torna ad essere al centro. Lo creano i politici che non sanno fare il loro mestiere. Nel dopo-guerra i politici avevano grande competenza e grande responsabilità. Fino alla fine degli anni ‘70 l’Italia non aveva debito. Il miracolo economico del dopo-guerra, va ricordato, è stato fatto senza debito”.
E la Flat tax?
“E’ ingiusta ed immorale. Le argomentazioni sono tutte fasulle; serve alle diseguaglianze sociali. Nessun economista, di qualsiasi orientamento è d’accordo. Non puoi chiedere opinioni a persone che non capiscono di economia. Ci vuole l’intelligenza per spiegare. Coloro che sanno sono una minima parta. In Italia non c’è cultura economica; siamo ultimi in Europa. E’ ovvio che succedono questi fatti. La gente non sa quello che fa. Lo avverte anche Gesù quando dice di perdonare perché non sanno quello che fanno. La responsabilità ce l’hanno gli intellettuali. Sono loro ad essere chiamati a dire la verità, altrimenti si ha il tradimento dei chierici come scrisse nel 1927 il filosofo Julien Benda. Sono convinto che gli italiani un po’ alla volta apriranno gli occhi. Adesso è crollato il M5S; poi toccherà alla Lega”.
Il riminese ha appena dato alle stampe (Edizioni il Mulino) un libro in tinta con questo strano periodo storico dal titolo: “Responsabili”. Il penultimo lavoro, sempre per restare con questo avvincente periodo, invece si intitolava “Prudenza”.