Tratto da lavoce.info
di Alessia Amighini, professore associato di Politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale e Associate Senior Research Fellow nel programma Asia dell’ISPI.
Tra Russia e Cina si è sviluppata una alleanza finanziaria. Detronizzare il dollaro come valuta internazionale di riserva per ora è impensabile. Ma è certo possibile svincolarsene. Nel lungo periodo ciò potrebbe erodere la supremazia degli Usa.
Le pessime relazioni tra Pechino e l’Occidente
Dopo la chiusura del Summit in Alaska tra Stati Uniti e Cina, che era atteso perché avrebbe potuto inaugurare relazioni più costruttive tra i due paesi, i rapporti tra le maggiori potenze versano in condizioni pietose.
Il Summit ha fatto notizia non tanto per i pochi contenuti, ma per i toni e il linguaggio poco appropriati in un dialogo tra ministri degli Esteri e alti rappresentanti di stato (come racconta Mario Del Pero).
Come se non bastasse, si aggravano anche le tensioni tra Unione europea e Cina. A meno di tre mesi dalla firma di un accordo bilaterale sugli investimenti, ancora da ratificare, ma presentato come una vera e propria svolta a favore di relazioni costruttive in un contesto multilaterale compromesso su più fronti, Bruxelles e Pechino oggi sanciscono invece una svolta in direzione opposta, con un’escalation di sanzioni “personali” reciproche.
Per la prima volta dal 1989, il 22 marzo l’Ue ha approvato sanzioni su quattro funzionari cinesi. I provvedimenti dell’UE sono in risposta alle presunte violazioni dei diritti umani nell’estrema regione occidentale dello Xinjiang, dove la Cina è accusata di detenere un milione di uiguri e altre minoranze etniche in campi di rieducazione. Pechino, secondo la quale i campi sono centri di formazione professionale e fanno parte degli sforzi per combattere il terrorismo, ha risposto quasi immediatamente, con sanzioni su dieci cittadini europei (tra cui diplomatici, funzionari, accademici e politici) e quattro enti, descritti come colpevoli di posizioni “gravemente dannose per la sovranità e gli interessi della Cina e di maliziosamente diffondere bugie e disinformazione”.
Tra le dieci persone ci sono cinque membri del Parlamento europeo: Reinhard Butikofer, Michael Gahler, Raphaël Glucksmann, Ilhan Kyuchyuk e Miriam Lexmann. Sono presi di mira anche i parlamentari Sjoerd Wiemer Sjoerdsma dei Paesi Bassi, Samuel Cogolati del Belgio e Dovile Sakaliene della Lituania, così come lo studioso tedesco Adrian Zenz e l’accademico svedese Björn Jerdén. I quattro enti sono il Comitato politico e di sicurezza (Cps) del Consiglio dell’Ue, la sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo, il think tank Mercator Institute for China Studies (Merics) in Germania, e la Alliance of Democracies Foundation in Danimarca, un forum guidato dall’ex capo della Nato Anders Fogh Rasmussen. Queste persone – e le loro famiglie – hanno il divieto di entrare nella Cina continentale, Hong Kong e Macao, mentre alle aziende e alle istituzioni a loro associate sarà vietato non solo entrare nel paese, ma anche fare affari con la Cina, secondo quanto ha detto il ministero degli Affari esteri (tra questi “associati” ci sono decine di individui ed enti in tutta Europa, indirettamente colpiti nelle sanzioni).
Con la Russia un’alleanza finanziaria
In quelle stesse ore di lunedì 22 marzo era in corso una visita in Cina del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. Il ministro ha definito le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Cina e la Russia “poco sagge”, ha sostenuto che la risposta delle due nazioni dovrebbe essere la cooperazione e ha dichiarato che i due paesi dovrebbero lavorare insieme e rafforzare l’autosufficienza nella scienza e nella tecnologia, allontanandosi dal dollaro Usa per il commercio.
Cosa c’entri la visita di Lavrov in Cina con il Summit in Alaska è presto detto: Pechino vuole mostrare concretamente all’Occidente che il ricorso alle sanzioni sta per diventare un’arma spuntata.
Infatti, Cina e Russia di recente hanno iniziato a collaborare per ridurre la loro dipendenza dal dollaro – una vera e propria “alleanza finanziaria” – un fenomeno di “dedollarizzazione” che sta portando a un “momento di svolta”. Negli ultimi anni i due paesi hanno drasticamente diminuito l’uso del dollaro nel commercio bilaterale: ancora nel 2015, il 90 per cento delle transazioni bilaterali era effettuato in dollari, ma dopo lo scoppio della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, e la spinta concertata di Mosca e Pechino ad abbandonare il dollaro, il dato è sceso al 51 per cento nel 2019. Nel primo trimestre del 2020, secondo recenti dati della Banca centrale e del Servizio federale doganale russo, la quota del dollaro negli scambi commerciali tra Russia e Cina è scesa per la prima volta sotto il 50 per cento, mentre il dollaro è stato utilizzato solo per il 46 per cento dei pagamenti tra i due paesi.
La dedollarizzazione è stata una priorità per la Russia e la Cina dal 2014, quando hanno iniziato ad ampliare la cooperazione economica in seguito all’allontanamento di Mosca dall’Occidente per le conseguenze economiche e politiche dell’annessione della Crimea. Allora la sostituzione del dollaro nelle transazioni commerciali era diventata una necessità per eludere le sanzioni statunitensi contro la Russia, ma oggi un’alleanza bancaria e finanziaria, al pari o forse più di una militare o commerciale, è ciò che può garantire l’indipendenza per entrambi i paesi. Infatti, ogni transazione commerciale che avviene nel mondo e che coinvolge il dollaro americano a un certo punto deve essere autorizzata attraverso una banca statunitense, e ciò sottopone le controparti al rischio che il governo degli Stati Uniti ne possa impedire alcune. Ridurre l’uso del dollaro come valuta utilizzata nei pagamenti assicura così contro il rischio di sanzioni da parte degli Stati Uniti. Il processo di dedollarizzazione ha acquisito ulteriore slancio nel 2018, dopo che l’amministrazione Trump ha imposto tariffe su centinaia di miliardi di dollari di merci cinesi.
Il processo è stato facilitato, sin dal 2014, da un accordo triennale di swap valutario bilaterale del valore di 150 miliardi di yuan (24,5 miliardi di dollari), che ha permesso a ciascun paese di accedere alla valuta dell’altro senza doverla acquistare sul mercato dei cambi. Nel 2017 l’accordo è stato prorogato per tre anni. Un’altra tappa cruciale è arrivata durante la visita del presidente cinese Xi Jinping in Russia nel giugno 2019, quando Mosca e Pechino hanno concluso un accordo formale per sostituire il dollaro con le valute nazionali per le transazioni commerciali bilaterali. L’intesa prevede anche che i due paesi sviluppino meccanismi di pagamento alternativi alla rete Swift, dominata dagli Stati Uniti, per gestire il commercio di rubli e yuan.
Oltre a commerciare in valute nazionali, la Russia ha accumulato rapidamente riserve di yuan a scapito del dollaro. All’inizio del 2019, la banca centrale russa ha dichiarato di aver tagliato le proprie riserve in dollari per 101 miliardi di dollari, pari a oltre la metà delle sue attività in quella valuta. Uno dei maggiori beneficiari della mossa è stato lo yuan, che ha visto la sua quota di riserve valutarie russe passare dal 5 al 15 per cento dopo che la banca centrale ha investito 44 miliardi di dollari nella valuta cinese. Come risultato di questo spostamento, la Russia ha acquisito un quarto delle riserve mondiali di yuan. Infine, all’inizio del 2020, il Cremlino ha concesso al fondo patrimoniale sovrano russo il permesso di iniziare a investire in yuan e in titoli di stato cinesi.
La spinta della Russia ad accumulare yuan non consiste solo nel diversificare le sue riserve di valuta estera. Mosca vuole anche incoraggiare Pechino a diventare più assertiva nella sfida alla leadership economica globale di Washington. Detronizzare il dollaro come valuta internazionale di riserva non sarà possibile finché qualche altra moneta non si guadagnerà sul campo tutte le funzioni proprie e indispensabili al ruolo (cosa ben lontana). Svincolarsi dall’uso del dollaro è però certamente possibile, e ciò nel lungo periodo potrebbe erodere la supremazia degli Stati Uniti.