Tratto da lavoce.info
DI MASSIMO GRECO, Laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Palermo
Sulla natura giuridica delle libere università non statali bisognerebbe fare chiarezza, per garantire certezza del diritto. L’attuale limbo può infatti rivelarsi comodo, per rivendicare in alcuni casi la natura pubblica e in altri quella privata.
I soggetti “ibridi”
Il nostro ordinamento è pieno di presenze istituzionali ibride impegnate sia nel campo delle funzioni pubbliche (a monte) sia in quello della gestione dei servizi pubblici (a valle). Anche in forza del costituzionalizzato principio di sussidiarietà orizzontale, c’è una vera e propria galassia di enti che non possono essere annoverati tra gli enti pubblici né tra gli enti privati.
Al netto delle diverse declinazioni sul versante più propriamente pubblico generate dal legislatore (pubbliche amministrazioni ed enti pubblici) e dalla normativa comunitaria (organismo di diritto pubblico ed amministrazioni aggiudicatrici), il nostro ordinamento prevede, per lo più, una bipartizione tra enti (con o senza personalità giuridica) caratterizzati da finalità ideali, civiche, di beneficio comune, altruistico-solidaristiche (enti non profit) ed enti caratterizzati da finalità egoistico-strategiche orientate al profitto derivante dall’organizzazione dell’esercizio in comune di un’impresa economica (enti for profit).
La questione della plurisoggettività si è complicata allorquando alcuni degli enti, formalmente di diritto privato, hanno autonomamente inteso gestire le medesime attività strategiche curate dagli enti pubblici (per esempio, scuola, formazione, cultura, università, attività sanitarie). Da qui l’esigenza d’individuare la natura giuridica dell’ente per una corretta applicazione dei diversi istituti, partendo dal dato di fatto – diffuso – che ci sono enti privati che perseguono interessi a carattere generale ed enti pubblici che svolgono attività economiche. È evidente la difficoltà per chi opera in questi enti, costretto a muoversi a “macchia di leopardo”, ritenendoli pubblici per alcuni aspetti e contestualmente privati per altri; peraltro, l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione “funzionale” e “cangiante” di ente pubblico.
In sostanza, giurisprudenza e dottrina collimano nell’insegnamento secondo cui il criterio da utilizzare per definire i contorni dell’ente pubblico non è sempre uguale a se stesso, ma muta in funzione dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato alla correlata ratio.
Nel nostro ordinamento, gli enti in cui spicca la cui la natura giuridica “cangiante” sono le libere università non statali.
Le libere università non statali
Prima della riforma del 2010, avvenuta con la legge n. 240 (cosiddetta legge Gelmini), la disciplina delle università non statali legalmente riconosciute, e la loro istituzione e soppressione, scaturiva essenzialmente dalla disciplina generale contenuta nel regio decreto n. 1592/1933, nella legge n. 168/1989, nella legge n. 243/1991 e nel Dpr n. 25/1998.
L’articolo 1 del regio decreto riconosce tra i soggetti idonei a impartire l’istruzione superiore, anche le università non statali e gli istituti liberi, dotati di personalità giuridica e autonomia amministrativa, a tal fine autorizzate, con provvedimento avente forza di legge, a rilasciare titoli accademici relativi all’ordinamento universitario di valore legale identico a quelli rilasciati dalle università statali. La copertura costituzionale si è avuta con l’articolo 33 che, al comma 6, riconosce il diritto agli istituti di alta cultura, università e accademie di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato.
Se questo è il contesto normativo di riferimento, il concetto di “non statale” non è speculare a quello di “non pubblico”, e pertanto possono anche esserci libere università non statali di provenienza pubblica perché generate da enti pubblici del territorio. Infatti, se si leggono gli elenchi delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato del 2010 e 2011, figurano anche l’università della Valle d’Aosta, la libera università di Bolzano e la libera università Kore di Enna, vale a dire, tutte università non statali, nate su iniziativa di enti pubblici non statali, e per questo assoggettate a obblighi differenziati in ragione della loro qualificazione pubblica.
Le libere università non statali, in considerazione della rilevanza pubblicistica dell’attività di ricerca e di formazione e della connessa funzione pubblica di certificazione svolta, sono sottoposte a una disciplina pubblicistica che riguarda singoli aspetti dell’organizzazione e dell’attività, finalizzata ad assicurare che il servizio pubblico fornito dal privato non sia di qualità inferiore a quello direttamente erogato dallo stato.
La casistica
La presenza di libere università non statali sia private che pubbliche rende ancora più disomogeneo il quadro normativo e rende impossibile una generalizzazione sulla natura giuridica di questi enti. L’esame degli indicatori sintomatici è stato, infatti, svolto fin qui caso per caso, fornendo uno spaccato a tratti sconfortante.
Così, ad esempio, la libera università non statale Luiss ha natura di persona giuridica di diritto privato ai fini del versamento degli oneri contributivi dei propri dipendenti (Cassazione sentenza n. 14129/1999); la Lumsa è un ente di diritto privato e come tale autorizzato a procedere alla stipula di contratti di lavori, servizi e forniture senza necessità del previo esperimento di procedure a evidenza pubblica (Consiglio di stato, parere n. 2427/2018). Al contrario, la libera università non statale Kore è un ente pubblico non economico ai fini dell’applicazione del Codice dei contratti (Anac, delibera n. 30/2015).
Ancora, la libera Università non statale Cattolica del Sacro Cuore è un ente pubblico agli effetti della giurisdizione della Corte dei conti (Corte conti sezione Lazio, sentenza n. 477/2010), per l’aggiudicazione dell’appalto di servizi (Consiglio di stato, sentenza n. 5522/2012) e ai fini della giurisdizione per la regolazione dei propri rapporti di lavoro (Tar sentenza 155/2021).
Infine, le libere università non statali, enti di diritto privato alle quali non si applica la disciplina sulla trasparenza in materia di anticorruzione (Consiglio di stato, sentenza n. 3043/2016), possono anche acquisire la forma di società di capitali (Consiglio di Stato, parere n. 18/2019).
Appare evidente che in assenza di una normativa chiara che irrobustisca l’esigenza di certezza del diritto, si rischia di fornire a questi enti una “doppia natura giuridica”, vale a dire, quella di poter assumere ora la veste del soggetto pubblico ora del soggetto privato, a seconda dei casi che più convengono. Ad alcuni può infatti fare comodo stare nel limbo camaleontico, in modo da potere rivendicare la natura pubblica per ottenere l’esonero dei tributi locali o per ricevere contributi pubblici e rivendicare la natura privata per scongiurare l’obbligo di procedure a evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi, per il reclutamento delle risorse umane e per evitare l’occhio della trasparenza in materia di anticorruzione.
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