Tratto da lavoce.info
DI FRANCESCO RAMELLA, insegna “Trasporti” all’Università di Torino
Secondo Giorgio Parisi, il Pil non è una buona misura dell’economia e la sua crescita è in contrasto con la lotta al cambiamento climatico. Però sviluppo e riduzione della vulnerabilità agli eventi meteorologici estremi dipendono dal reddito dei paesi.
Un problema del breve periodo
Pochi giorni dopo essere stato insignito del premio Nobel per la fisica, Giorgio Parisi è intervenuto alla riunione parlamentare pre-Cop26 esprimendo anche una considerazione di natura economica: “il prodotto interno lordo dei singoli paesi sta alla base delle decisioni politiche, e la missione dei governi sembra essere di aumentare il Pil il più possibile, obbiettivo che è in profondo contrasto con l’arresto del cambiamento climatico”. È così. O per meglio dire, è così nel breve periodo, considerando invariati tutti gli altri fattori che influiscono sul livello di emissioni di gas serra. A parità di energia utilizzata e a parità di “intensità carbonica” ossia di quanta CO2 si produce per unità di energia consumata, quanto più cresce la produzione tanto più aumentano le emissioni e, quindi, tanto più si altera il sistema climatico. Vale anche l’opposto: se il Pil si riduce, calano le emissioni e il clima ne beneficia. Ne abbiamo avuta una chiara conferma nel corso del 2020: la forte limitazione delle attività economiche e della mobilità con le misure predisposte per limitare la diffusione del Covid-19 hanno determinato una riduzione del Pil mondiale di oltre il 3 per cento; nello stesso anno le emissioni di CO2 in atmosfera sono calate, come mai era prima successo, del 6,7 per cento.
Le conseguenze umane, oltre a quelle dirette della pandemia, sono state drammatiche: per la prima volta negli ultimi decenni è aumentato (di 120 milioni) il numero di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta.
Pil e sviluppo umano
Parisi ha altresì sostenuto che “il Pil non è una buona misura dell’economia. Cattura la quantità ma non la qualità della crescita. Sono stati proposti molti indici diversi, tra cui l’indice di sviluppo umano”. Tuttavia, i due indicatori, se non proprio gemelli, sono parenti molto stretti: la correlazione tra di essi è molto forte.
Una delle ragioni è che, accanto alle misure relative all’aspettativa di vita e al livello di istruzione, l’indice di sviluppo umano ingloba anche il livello del reddito. Ma, anche qualora si ricalcoli l’indicatore escludendo quest’ultimo fattore, il quadro che emerge rimane in larga misura invariato. Si vive meglio là dove il Pil è più alto e viceversa.
Che si viva meglio dove il Pil è più alto è una considerazione generale valida anche in riferimento alla vulnerabilità climatica. Se da un lato, l’immissione in atmosfera di gas serra nel corso degli ultimi centocinquanta anni ha incrementato la frequenza di alcuni eventi estremi, dall’altro la crescita economica e lo sviluppo della conoscenza scientifica si sono rivelati vaccini efficacissimi nel ridurne l’impatto umano: al crescere del Pil, il numero di vittime si riduce drasticamente. Esemplare al riguardo è il caso del Bangladesh, uno dei Paesi ritenuti più a rischio a causa dell’aumento del livello del mare: mezzo secolo di sviluppo economico e buon governo lo hanno reso molto più resiliente di quanto non fosse fino agli anni Settanta. E negli Stati Uniti dagli anni Sessanta a oggi, grazie soprattutto alla diffusione degli impianti di condizionamento, la mortalità per eccessi di calore è diminuita del 75 per cento.
Il premio Nobel ha evidenziato la necessità di maggiori investimenti scientifici: non c’è dubbio che un paese ricco abbia la possibilità di destinare a tal fine maggiori risorse di uno povero. Ed è proprio grazie alla innovazione che i paesi ricchi hanno già fortemente ridotto le emissioni di inquinanti locali e, in misura più limitata, quelle di CO2 mostrando come si possa continuare a crescere e, al contempo, inquinare di meno. Un altro fronte che ha fatto registrare un’inversione di tendenza in alcuni dei paesi più ricchi è quello della biodiversità: mentre a livello globale tra il 1970 e il 2010 si è registrato un trend di forte peggioramento, in Europa occidentale il numero delle specie è cresciuto del 36 per cento.
L’importanza del clima e quella del Pil
Si può quindi concordare con Parisi quando dice che l’obiettivo dei governi non può essere quello di “aumentare il Pil il più possibile” ignorando tutto quello che l’indicatore non misura. Lascia assai perplessi invece l’affermazione che “se il Pil rimarrà al centro dell’attenzione, il nostro futuro sarà triste”. Accettare una diminuzione del nostro reddito per ridurre le emissioni è necessario, ma altrettanto importante è non dimenticare che anche in futuro le condizioni complessive di vita, soprattutto per i paesi più poveri, dipenderanno molto di più dalla crescita del reddito che non dalla evoluzione del clima.
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