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Home Economia

Economia. Quali fondi per il turismo che cambia

Redazione di Redazione
15 Dicembre 2021
in Economia
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Tratto da lavoce.info

 

DI PAOLO FIGINI, professore associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna dove insegna dal 2000 e professore straordinario di Economia presso la North-West University in Sudafrica dal 2016

Con un decreto, il governo ha stabilito come verranno spesi i finanziamenti del Pnrr destinati al turismo. Si conferma una concezione tradizionale del settore, che invece mai come ora avrebbe bisogno di innovazione, capacità di visione e azione sistemica.

I fondi per il turismo nel Pnrr

A fine ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge n. 152, con alcune norme che traducono in dispositivi di legge gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Fra le altre cose, il decreto stabilisce in dettaglio come verrà spesa la fetta più grande (circa 1,7 miliardi) dei finanziamenti destinati al turismo e relativi all’Investimento 4.2 “fondi integrati per la competitività delle imprese turistiche”, nella terza componente della prima missione del Pnrr.

In primo luogo, i finanziamenti sembrano cadere a pioggia, senza alcuna valutazione di mercato e del rischio associato agli investimenti. L’eventualità, quindi, è che il Piano finanzi la riconversione green e digitale di strutture e attività localizzate in destinazioni dove i turisti non hanno più intenzione di viaggiare. Località in cui le difficoltà economiche sono strutturali e non contingenti alla crisi pandemica. A questo riguardo, chi ha esposizioni debitorie classificate come inadempienze probabili o come esposizioni scadute o deteriorate accede alla concessione di garanzie sui finanziamenti in concorrenza con i giovani che vogliono avviare nuove attività nel settore. Forse sarebbe stato meglio prevedere una separazione tra le due linee di finanziamento.

In secondo luogo, i fondi sono destinati agli investimenti delle singole imprese e non alla progettazione di prodotti turistici unitari (itinerari culturali, club di prodotto o altro, anche attraverso la creazione di consorzi d’impresa) che siano appetibili, innovativi e coerenti con gli obiettivi di Next Generation Eu. Insomma, manca una visione sistemica orientata alla gestione complessiva dei flussi turistici nelle destinazioni, le vere protagoniste della competizione sui mercati turistici internazionali. Il rischio è quindi che il Pnrr finanzi la ristrutturazione di edifici, sì finalmente in regola con le norme antisismiche, ma in situazioni in cui manca il coordinamento territoriale necessario a sviluppare il turismo. È come se ci si preparasse a competere in Formula 1 realizzando i tanti componenti necessari, ma senza pensare allo sforzo ingegneristico e organizzativo necessario ad assemblare il tutto in una macchina vincente.

Governare i cambiamenti

C’è ancora tempo per rimediare alla mancanza di visione strategica complessiva per il turismo italiano dei prossimi decenni. Ci sono i 500 milioni del Fondo per il turismo sostenibile affidati alla Banca europea degli investimenti, di cui si sa ancora poco. E soprattutto, bisogna spendere bene i 114 milioni che il Pnrr dedica alla riorganizzazione del Portale Italia, di cui il Dl non si è occupato. Il portale non dovrà essere una mera vetrina dell’offerta turistica italiana, ma diventare un vero e proprio route planner, in grado di mettere a sistema l’ospitalità con la cultura e con tutti gli altri comparti che nel Pnrr sono trascurati (servizi ricreativi, ristorazione, shopping locale, noleggio mezzi di trasporto e così via). Il portale deve costituire l’elemento portante del coordinamento territoriale, necessario se vogliamo che il turista si muova in tutto il paese e in tutte le stagioni.

Inoltre, è fondamentale governare i cambiamenti che hanno investito il turismo negli ultimi anni, non solo a causa della pandemia. Per esempio, si deve lavorare per assecondare la crescita della domanda di vacanze più a contatto con la natura, per cui investire nella promozione delle aree interne diventa essenziale. E ancora, il ricorso sempre più massiccio allo smart e remote working permetterà di mischiare in maniera nuova lavoro e tempo libero, residenza e viaggio: aumenteranno i lavoratori che decideranno di risiedere temporaneamente (per periodi, ad esempio, di 3-4 mesi) in località o borghi minori, aiutando così la destagionalizzazione e la distribuzione spaziale dei flussi turistici, e creando al contempo opportunità per vivacizzare territori ricchi di storia, ma che hanno subìto negli anni recenti dinamiche di spopolamento e di invecchiamento. Interventi in questo ambito necessitano però di investimenti specifici, in coordinamento con le politiche industriali e del lavoro.

C’è molto altro ancora: per esempio riordinare il mercato degli affitti brevi e renderlo compatibile con quello residenziale; o gestire il rapporto con le grandi piattaforme digitali, da cui oggi passa gran parte delle prenotazioni. C’è poi ancora da pensare alla riconversione di quei segmenti che non torneranno a crescere alla fine della pandemia. Per esempio, le agenzie che lavorano con il turismo business sanno che i viaggi per brevi incontri di lavoro risentiranno in maniera permanente della concorrenza delle video conferenze. Sarebbe sbagliato se i 98 milioni dedicati dal Dl alle agenzie e ai tour operator servissero per tenere in vita attività che il mercato non richiede più. Mai come in questo periodo il turismo ha bisogno di innovazione, capacità di visione e azione sistemica. Il lavoro del governo, in questa direzione, deve ancora iniziare.

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