Tratto da lavoce.info
DI ENRICO RETTORE, professore ordinario di Econometria presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Padova
Nonostante una circolazione del virus favorita da minori restrizioni rispetto al 2020, i ricoveri e i decessi sono ancora sotto controllo grazie ai vaccini. Con così tanti non vaccinati, però, il numero attuale di immunizzati potrebbe non bastare.
È ancora presto per dire se la variante Omicron avrà conseguenze rilevanti per ricoveri e decessi. Ma, anche se, come tutti ci auguriamo, non ne avesse, ci sono comunque buone ragioni per guardare con un po’ di preoccupazione ai prossimi due mesi.
Il 21 dicembre, il numero di ricoverati in terapia intensiva ha superato le mille unità. Da inizio novembre – e ininterrottamente nei due mesi successivi – questo numero è cresciuto seguendo fedelmente un andamento esponenziale, con tempi di raddoppio attorno ai 33 giorni, come mostrato in Figura 1. Il tempo di raddoppio del numero di ricoverati con sintomi, per brevità qui non rappresentato, è pressocché lo stesso. Lungo questo sentiero di crescita, a fine gennaio avremo oltre duemila ricoverati in terapia intensiva e, a inizio marzo, più di quattromila, ossia un numero pari a quello raggiunto nelle fasi peggiori della pandemia.
Secondo l’ultimo monitoraggio settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nel mese dal 12 novembre al 12 dicembre, il 64 per cento degli ingressi in terapia intensiva riguarda soggetti non vaccinati, nonostante i non vaccinati rappresentino solo il 13 per cento della popolazione con più di 12 anni. In particolare, sono i soggetti non vaccinati nelle fasce di età 40-59 e 60-79 – 3.8mln al 4 dicembre – a contribuire al 58 per cento degli ingressi in terapia intensiva nel mese considerato, come mostrato in Figura 2.
La somministrazione delle terze dosi è sicuramente fondamentale per ristabilire un buon grado di protezione per i soggetti che hanno già completato il ciclo vaccinale, ma, in ogni caso, non va dimenticato che la popolazione vaccinata rappresenta solo il 36 per cento degli ingressi in terapia intensiva nel mese considerato. Non è dalla somministrazione della terza dose ai già vaccinati che ci si può attendere la svolta necessaria ad evitare il sovraccarico delle terapie intensive.
Per ridurre in modo rilevante il numero di ingressi in terapia intensiva, servirebbe dunque ridurre (e di molto) il numero di non vaccinati, in particolare tra 40-59 e 60-79 anni.
L’andamento recente della vaccinazione, però, in particolare per queste due fasce di età, non fa ben sperare per le prossime settimane: il numero di vaccinati con ciclo completo, infatti, sta aumentando in modo trascurabile, come mostrato in Figura 3. Per esempio, nella settimana dal 27 novembre al 4 dicembre, dei 3,8 milioni di soggetti non vaccinati in età 40-79, solo poco più di 55 mila hanno completato il ciclo. Per confronto, nella stessa settimana sono state somministrate più di un milione di terze dosi. Sembra molto difficile che i non ancora vaccinati possano modificare il loro comportamento in misura sufficiente a contenere entro limiti sostenibili la crescita del numero di ricoverati in terapia intensiva da qui a inizio marzo.
Non bisogna escludere alcuna soluzione per rilanciare la campagna per le prime dosi, con particolare attenzione alle due fasce di età 40-59 e 60-79, critiche per le ragioni dette sopra. Ma, anche nella migliore delle ipotesi e a meno di svolte al momento imprevedibili, per evitare il tracollo delle terapie intensive a gennaio saranno necessarie misure restrittive. La lezione degli ultimi 22 mesi è chiara: più tardivo l’intervento di contrasto di un andamento esponenziale, peggiori le conseguenze. Vedremo in quale maniera il governo sceglierà di modulare queste misure.
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