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Home Economia

Economia. Spese fiscali: costose e regressive

Redazione di Redazione
2 Giugno 2021
in Economia
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Vignetta di Cecco

Vignetta di Cecco

 

Tratto da lavoce.info

DI LEONZIO RIZZO, professore ordinario di Scienza delle Finanze presso quest’ultima Università di Ferrara
E RICCARDO SECOMANDI, dottorando in Economia e Management dell’Innovazione e della Sostenibilità presso le Università degli Studi di Ferrara e di Parma.

Quando si parla di riforma dell’Irpef, si indica spesso come punto di partenza la revisione delle spese fiscali. Ma quali sono quelle da eliminare? Le detrazioni incentivanti, per esempio, avvantaggiano molto i redditi alti e ben poco quelli medio-bassi.

Spese fiscali nel mirino

Negli ultimi mesi, le Commissioni finanza della Camera e Senato hanno tenuto varie audizioni, in vista della riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Molti degli auditi hanno proposto di mettere mano anche alle cosiddette spese fiscali, cioè quel lungo elenco di misure che riducono il gettito per uno specifico gruppo di contribuenti.

In Italia, le spese fiscali si sono stratificate nel tempo e sono in continua crescita, come più volte segnalato dalla Commissione per la redazione del rapporto annuale sulle spese fiscali. La cancellazione di una spesa fiscale rappresenta un’impresa ardua, in quanto comporta uno sforzo politico elevato perché elevate sono le pressioni da parte di alcuni settori dell’economia per il loro mantenimento. Spesso poi rappresentano un modo più facile per il parlamentare di privilegiare certe tipologie di spese pubbliche rispetto all’approvazione diretta delle singole voci nella legge di bilancio.

Nell’ottica della sostenibilità – e soprattutto della progressività – di una nuova imposta sul reddito, dovrebbero tuttavia essere riviste in modo considerevole. Ma quali spese fiscali nell’attuale sistema Irpef sarebbero le principali candidate a essere abolite?

Non è facile rispondere alla domanda. La maggior parte della progressività dell’imposta è sicuramente da ricondurre al sistema di aliquote e detrazioni per carichi di famiglia e lavoro, tuttavia alcune tipologie di detrazioni possono incidere negativamente sulla progressività dell’imposta così come disegnata oggi.

Il ruolo delle detrazioni per incentivi

Utilizzando le dichiarazioni fiscali di lavoratori dipendenti e pensionati per l’anno di imposta 2018 (l’ultimo attualmente a disposizione), disponiamo dell’ammontare di tutte le detrazioni di imposta. Se escludiamo quelle per tipologia di reddito, carichi di famiglia e bonus Irpef, ammontano a circa 13,5 miliardi di euro, quasi il 9 per cento dell’imposta netta.

Tra queste prevalgono le detrazioni connesse a politiche di incentivazione (come, ad esempio, interventi di riqualificazione di immobili, di risparmio energetico e di acquisto di mobili ed elettrodomestici), che costituiscono oltre il 58 per cento del totale (circa 7,9 miliardi). Le rimanenti detrazioni per 5,6 miliardi possono essere classificate come spese per oneri personali, tra le quali spiccano le spese sanitarie (3,5 miliardi), interessi su mutui ipotecari per abitazione principale (800 milioni), spese per istruzione universitaria (300 milioni), assicurazioni sulla vita, contro infortuni e invalidità (250 milioni) e numerose altre (si veda la tabella 1).

Dalla figura 1 si può osservare come le detrazioni per incentivi siano quelle maggiormente concentrate nella popolazione con redditi più elevati (che corrispondono ai decili più a destra sull’asse delle ascisse). Infatti, la detrazione media per incentivi nell’ultimo decile (redditi superiori a 50 mila euro) corrisponde a 1.143 euro per contribuente, mentre a metà della distribuzione (redditi compresi tra 15 mila e i 20 mila euro) la detrazione arriva a 117 euro, e per il primo decile (redditi inferiori a 4 mila euro) corrisponde a circa 5 euro per contribuente. È evidente come l’esistenza di questo tipo di detrazioni mini fortemente la progressività dell’imposta. Tale caratteristica persiste anche per le detrazioni per oneri personali. Se infatti la detrazione media dell’ultimo decile è pari a 409 euro per contribuente, a metà distribuzione è 132 euro, mentre nel primo decile è pari a 7 euro per contribuente.

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Passando a un’analisi più dettagliata delle singole spese fiscali, se prendiamo a prestito alcuni indicatori globali solitamente utilizzati nello studio delle disuguaglianze dei redditi, si osserva una forte eterogeneità tra le diverse tipologie. In particolare, quelle che abbiamo classificato come detrazioni per incentivi – quali le detrazioni per il risparmio energetico, per il recupero del patrimonio edilizio e per acquisto arredo – risultano essere tra le più concentrate: hanno un rapporto tra detrazione media dell’ultimo e primo decile più elevato superiore a 200 e l’indice di Gini, calcolato sui ventili di reddito resi disponibili dall’Agenzia delle entrate, risulta superiore a 0,5 (un indice pari a 1 si ha nel caso di massima concentrazione).

Invece, tra le spese fiscali meno concentrate nella fascia di reddito più ricca della popolazione, troviamo in particolare le detrazioni per interessi su mutui ipotecari per l’abitazione principale, le spese per intermediazione immobiliare, le spese per istruzione universitaria e le spese funebri, con un rapporto tra la detrazione media dell’ultimo e primo decile inferiore a 50 e con un indice di Gini inferiore a 0,4.

Benefici da una cancellazione parziale

In conclusione, le detrazioni incentivanti o per oneri, oltre a essere molto costose (più di 13 miliardi), avvantaggiano molto i redditi alti e in misura quasi insignificante quelli medio-bassi.

Le detrazioni incentivanti, quelle per cui il carattere di regressività è più marcato, per loro natura dovrebbero essere temporanee, ma di fatto ormai si sono trasformate in permanenti, diminuendo in modo definitivo la progressività dell’Irpef.

Una completa cancellazione di queste detrazioni risulta impossibile, a meno di non rendere retroattiva la norma, in quanto parte delle detrazioni incentivanti sono spalmate su più anni. Tuttavia, eliminarle almeno in parte, utilizzando ad esempio le risorse liberate per finanziare la correzione delle aliquote marginali erratiche e l’abbassamento dell’aliquota relativa al terzo scaglione come già da più parti proposto, permetterebbe di rendere il sistema non solo più efficiente, ma anche più progressivo.

Ad esempio, l’abbassamento di tre punti dell’aliquota legale del terzo scaglione, di due punti dell’aliquota del quarto e l’incremento di un punto dell’aliquota marginale massima, insieme a una detrazione unica da lavoro dipendente e bonus Irpef che decresca linearmente con il reddito dai 28 mila ai 75 mila euro, secondo le stime dell’Upb costerebbe circa 3 miliardi: meno di un quarto delle spese fiscali che abbiamo considerato. E se proprio si vuole continuare a incentivare il settore edilizio o quello dell’arredo, sarebbe più lineare e trasparente concedere direttamente sgravi fiscali o trasferimenti alle imprese del settore, senza modificare così la progressività dell’Irpef.

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