Tratto da lavoce.info
di Matteo Gallone, laureato in Intermediari, Finanza Internazionale e Risk Management presso l’Università di Roma La Sapienza e frequenta un master di specializzazione in Financial Management presso la Luiss Business School
Anche l’Italia è entrata nel mercato del debito sovrano collegato alla finanza sostenibile. Una buona mossa visto l’interesse degli operatori. In tempi di sovraindebitamento è poi utile promuovere investimenti che migliorano la sostenibilità del debito.
Il successo del Btp Green
Attraverso l’emissione dei nuovi Btp Green, l’Italia è entrata nel mercato del debito sovrano collegato alla finanza sostenibile. Una mossa programmata da tempo dal ministero dell’Economia e delle Finanze per dare una spinta al raggiungimento degli obiettivi dell’European Green Deal, in vista anche del processo di transizione ecologica insito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Il nuovo titolo dedicato al finanziamento delle spese sostenute dallo stato a positivo impatto ambientale ha riscontrato un notevole successo sul mercato: il collocamento si è chiuso con una raccolta di 8,5 miliardi, ma la domanda è stata dieci volte più alta, intorno agli 80 miliardi.
Sulla base dei dettagli dell’emissione comunicati dal ministero, si nota che alla sottoscrizione hanno partecipato circa 530 investitori, e a quelli Esg (ossia coloro che integrano i fattori ambientali, sociali e di governance nei processi di asset allocation) va oltre la metà del collocamento. Più precisamente, alle società di gestione è stato allocato il 53,1 per cento del collocamento, mentre gli intermediari ne hanno sottoscritto il 18,5 per cento. Inoltre, si è registrata una marcata diversificazione sulla distribuzione geografica del collocamento. Il 73,7 per cento dell’emissione è stato sottoscritto da investitori esteri, mentre solo il 26,3 per cento è stato sottoscritto da investitori interni.
Pur con ampie divergenze geografiche nella sottoscrizione, il trend degli investimenti sostenibili durante l’anno pandemico ha subito una crescita marcata. A livello europeo, secondo dati Morningstar, su fondi ed Etf (exchange traded fund) sostenibili nel 2020 ci sono stati flussi netti per 233 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto al 2019 (figura 1).
Se guardiamo all’Italia, l’anno della pandemia sembra aver impresso un segnale di forte apertura verso la finanza sostenibile da parte degli investitori domestici. La Mappa trimestrale del risparmio gestito pubblicata da Assogestioni segnala che nel quarto trimestre del 2020 i fondi aperti sostenibili e responsabili avevano un patrimonio promosso (ossia il patrimonio delle gestioni proprie) pari a 80 miliardi di euro, determinando una crescita di circa 50 miliardi rispetto al quarto trimestre 2019.
Figura 1 – Flussi annuali verso i fondi sostenibili (miliardi di euro).Fonte: Morningstar research
Le motivazioni dietro all’exploit della finanza sostenibile
In sostanza, la pandemia ha spinto gli investitori a scegliere prodotti di investimento socialmente responsabili. Il grande interesse può essere legato a fattori sia etici che tecnici.
In primo luogo, l’evento pandemico potrebbe aver creato maggior consapevolezza negli investitori riguardo al tema della sostenibilità, aumentando la preferenza per investimenti eticamente corretti. In secondo luogo, l’interesse potrebbe essere dato dal fatto che spesso il rispetto di criteri Esg va di pari passo con un buon rendimento: non a caso, questi fondi tendono a sovrappesare i settori che hanno superato meglio la crisi, come l’healthcare e la tecnologia, e sottopesare quelli che sono stati maggiormente colpiti, come trasporti ed energia. Inoltre, è probabile che gli investitori abbiano dimostrato una maggiore “fedeltà” verso gli investimenti sostenibili. Alcune evidenze empiriche indicano infatti che i flussi verso i fondi sostenibili sono più sensibili ai rendimenti positivi passati rispetto ai fondi tradizionali, ma meno sensibili ai rendimenti negativi. L’ipotesi alla base di tale approccio di investimento potrebbe essere giustificata dal fatto che gli investitori traggono utilità dall’attributo socialmente responsabile dell’investimento, determinando una compensazione dei possibili effetti negativi associati alla performance.
Un altro elemento da tenere in considerazione potrebbe essere il fatto che i fondi sostenibili possono aver svolto il ruolo di “bene rifugio” all’interno dei mercati azionari, dato che in periodi di incertezza gli investitori ribilanciano i propri capitali non solo tra asset class ma anche all’interno di ciascuna asset class tra diversi segmenti di mercato.
Maggior impegno per la sostenibilità, minor rischio di credito sovrano
In definitiva, si può dire che la crisi del Covid-19 ha dato una forte spinta operativa alle tematiche ambientali, sociali e di governance (i cosiddetti pilastri Esg). Non solo il mercato degli investimenti finanziari sostenibili ha registrato una forte espansione, ma anche i singoli paesi sembrano aver compreso a pieno l’importanza delle questioni legate alla sostenibilità e ai cosiddetti principi responsabili. Non a caso, nei piani nazionali di recupero dalla crisi, vari paesi europei hanno messo al centro dell’agenda temi come la transizione ecologica, la tutela della biodiversità e degli ecosistemi, la riduzione delle disparità di genere e il miglioramento della governance nelle amministrazioni pubbliche.
Il maggior impegno dei paesi europei verso le tematiche Esg nei piani di rilancio porterà poi un notevole beneficio anche in termini di sostenibilità creditizia, proprio in un periodo di notevole incremento degli indebitamenti sovrani per far fronte alla pandemia. Diverse ricerche dimostrano infatti che i paesi con una buona performance sulla sostenibilità ambientale, sociale e di governance tendono ad avere meno rischi di insolvenza sul debito pubblico e spread obbligazionari più bassi. Più nel dettaglio, in una recente analisi empirica, è stato studiato come la performance extra-finanziaria dei paesi sui fattori Esg influenza il rischio di credito sovrano, il quale viene misurato dagli spread sui credit default swap (Cds) dei paesi stessi.
Con l’utilizzo di un modello statistico con i Cds come variabile dipendente espressa in forma logaritmica, su un panel dataset di 50 paesi (suddivisi in economie avanzate ed economie in via di sviluppo) nel periodo 2006-2018, l’analisi mostra che una migliore performance extra-finanziaria sui fattori Esg è associata con un rischio di credito più basso. In più, viene dimostrato che tale performance a livello paese ha un effetto differenziale sugli spread dei Cds sovrani. In modo particolare, si nota che il fattore “governance” è l’aspetto extra-finanziario più significativo in termini di impatto sul rischio di credito sovrano, seguito dalla dimensione sociale e dall’aspetto ambientale.
Il Ngeu non è solo un pacchetto di aiuti straordinari per la ripartenza, ma anche un investimento per creare discontinuità col passato, gettando le basi per un’Europa più sostenibile e inclusiva. Proprio per tale motivo, la Commissione Ue ha riservato il 30 per cento dei fondi alla lotta ai cambiamenti climatici (la più alta percentuale di sempre per il bilancio dell’Ue) e ha inserito voci di finanziamento apposite per il miglioramento dei sistemi di governance e per l’incentivazione di serie politiche per la parità di genere.
Tuttavia, il Ngeu è uno strumento temporaneo, mentre un processo di transizione verso economie più sostenibili si concretizza solo nel lungo termine. Per imprimere una svolta verso un effettivo cambio di paradigma di sviluppo, la finanza sostenibile può ricoprire un ruolo cruciale, sia in ottica di reperimento delle risorse necessarie al finanziamento delle iniziative di mitigazione e adattamento nel corso del tempo sia in termini di responsabilizzazione degli investitori attraverso un’attenta integrazione dei fattori Esg. Quindi, nonostante il recente exploit degli investimenti responsabili, sarà fondamentale promuovere il superamento di alcuni ostacoli che ancora ne frenano la piena valorizzazione. In particolare, come suggerito dal Forum per la finanza sostenibile, da parte del settore pubblico c’è la necessità di investire per formare gli enti pubblici sugli strumenti sostenibili, mentre, da parte del settore privato, occorre rendere più efficace la formazione degli operatori finanziari sulle procedure amministrative legate ai finanziamenti su progetti in tema di sostenibilità e migliorare i processi di definizione e interpretazione degli score di sostenibilità, sui quali c’è ancora elevata incertezza.
In definitiva, se un’agenda politica che promuove attivamente progetti di sostenibilità imprime una diminuzione del rischio di credito sovrano, proprio in questo periodo storico di sovraindebitamento pubblico sarà necessaria una piena valorizzazione degli strumenti della finanza sostenibile. Così facendo, si potrà favorire una maggiore integrazione di rischi e opportunità di natura ambientale, sociale e di governance nelle politiche di sviluppo e contribuire alla costruzione di modelli socio-economici più resilienti nei confronti delle crisi esogene.