di Gianfranco Vanzini
Nell’ultimo post che ho pubblicato si urlava: ”Ci stanno mettendo uno contro l’altro, sorella contro fratello” e oggi aggiungo: la cattiveria reciproca ha contagiato più o meno tutti e ci ha resi tristi.
Questa volta, attingendo a piene mani dal bellissimo articolo della dottoressa De Mari apparso su La Verità del 17 scorso, vorrei richiamare l’attenzione dei lettori su un fenomeno che, proprio a causa di questa politica persecutoria, si sta ampliando a dismisura: la depressione.
Il martellamento continuo, ad ogni ora del giorno, di notizie, più o meno corrette e/o contradditorie, riguardanti contagi, ricoveri, morti, senza la prospettiva di giorni migliori, ci ha resi tutti tristi e depressi.
Scrive la De Mari: ”La tristezza, priva di una causa specifica rischia di essere progressiva. Dalla depressione lieve si passa a quella media, da quella media si può passare a quella grave, che è una vera e propria malattia invalidante. La depressione lieve però si può combattere.
Occorre rifiutarsi di eseguire i suggerimenti della depressione che ci spinge a non fare nulla, ad alzarci tardi al mattino, a non sorridere mai, a richiuderci.
Se però noi riusciamo ad alzarci presto al mattino, ci costringiamo ad uscire, a fare, a sorridere, allora la depressione moderata non diventa media, ma scompare. Una persona che si sia sforzata di sorridere, dopo un po’ si rasserena. Si racconta che in alcuni monasteri era richiesta la disciplina del sorriso. Dopo la morte di mio padre, mia madre fu costretta a riprendere immediatamente il suo lavoro di maestra. Non poteva raccontare il suo dolore a dei bambini di otto anni ed era costretta a sorridere molto. Dopo un po’ si sentiva bene. Il sorriso dei bambini riempiva la sua mente.
Gli attori che recitano parti dove devono sorridere molto hanno un umore migliore di quelli che aspettano Godot o che hanno assassinato Desdemona. Esiste quindi una autodisciplina del sorriso.”