Tratto da lavoce.info
DI LORENZO GASBARRI, assegnista di ricerca in diritto internazionale pubblico sotto la supervisione del Professore Roger O’Keefe
Già l’invasione russa della Crimea nel 2014 costituiva una violazione della proibizione dell’uso della forza sancita dalla Carta delle Nazioni Unite. L’attacco di questi giorni è ancora più grave. E le basi giuridiche addotte da Mosca sono pretestuose.
Il supporto e il riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donetsk e Luhansk
Il 21 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato il riconoscimento di due regioni dell’est-Ucraina come stati indipendenti. Dal 2014, questi territori erano di fatto controllati da forze separatiste, sostenute dal governo di Mosca. Come stabilito dalla Corte internazionale di giustizia (Cig) nel caso Nicaragua contro Stati Uniti, il finanziamento, l’addestramento e, in generale, l’aiuto a gruppi armati non statali non costituiscono, di per sé, una violazione della proibizione dell’uso della forza in assenza di un controllo effettivo di uno stato. Tuttavia, possono costituire una violazione di un diverso obbligo, la non ingerenza negli affari interni. Non c’è dubbio che il riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche separatiste costituisce una violazione della sovranità territoriale dell’Ucraina e del principio di non ingerenza negli affari interni, sanciti nell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite.
L’annessione della Crimea e l’invasione su larga scala dell’Ucraina
Nei primi mesi del 2014, la Russia ha invaso la penisola della Crimea. Questa prima aggressione già costitutiva una violazione della proibizione dell’uso della forza sancita all’articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite. Nelle settimane successive, lo stato russo ha organizzato un referendum, ritenuto illegittimo dal governo ucraino, sulla base del quale la regione è stata annessa alla Federazione Russa. Per il diritto internazionale, l’annessione di un territorio non può avvenire tramite l’impiego della forza. In ogni caso, è legale solo se rispetta le norme costituzionali dello stato di appartenenza. Poiché l’Ucraina non ha autorizzato il referendum, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo ha dichiarato illegittimo e ha condannato la violazione della sua sovranità territoriale. Su questi fatti e sulla guerra nel Donbass, diversi procedimenti giudiziali sono tuttora in corso, in particolare di fronte alla Cig, alla Corte europea dei diritti dell’uomo, e alla Corte penale internazionale.
Ancora più grave è stata l’invasione su larga scala del territorio ucraino iniziata il 22 febbraio e tutt’ora in corso. Secondo il diritto internazionale, una seria violazione di una norma imperativa come la proibizione dell’uso della forza (cosiddetto ius cogens) comporta conseguenze ulteriori che coinvolgono tutti gli stati della comunità internazionale (articoli 40-41). Come spiegato dalla Corte internazionale di giustizia nell’opinione sul muro in Palestina, tutti gli stati devono cooperare per porre fine alla violazione, sono obbligati a non riconoscere la situazione come legittima e a non fornire assistenza allo stato responsabile.
Gli argomenti giuridici sostenuti dalla Russia
Dal suo canto, la Russia ha giustificato le sue azioni usando una strategia simile in tutti i casi sopra menzionati (qui la lettera inviata all’Onu poco prima dell’aggressione). In sostanza, ha sostenuto il proprio diritto di agire in legittima difesa contro le politiche dello stato ucraino, e, più in generale, del blocco politico occidentale riferendosi all’articolo 51 della Carta Onu. Inoltre, ha affermato di dover intervenire per bloccare il genocidio che stava avvenendo contro la minoranza russa dell’est-Ucraina.
Sono basi giuridiche assolutamente pretestuose. L’articolo 51 si applica solo “nel caso che abbia luogo un attacco armato”, inteso, sempre in Nicaragua contro Stati Uniti, come un attacco in corso. Non permette di agire in maniera preventiva. Inoltre, l’impiego della forza deve essere proporzionale e necessario. Tuttavia, è vero che, a partire dalla fine della guerra fredda, la Nato, gli Stati Uniti e alcuni stati europei hanno contribuito a ‘diluire’ il divieto di proibizione dell’uso della forza e l’eccezione della legittima difesa, compiendo operazioni militari chiaramente in violazione del diritto internazionale, come il bombardamento della Serbia nel 1999 e l’invasione dell’Iraq nel 2003.
Inoltre, l’accusa della Russia contro l’Ucraina di genocidio è del tutto inventata. L’Ucraina ha risposto citando la Russia di fronte alla Cig per aver utilizzato in mala fede la Convenzione del 1948 come pretesto per l’invasione, e chiedendo misure cautelari.
Il ruolo delle Nazioni Unite
Il Consiglio di sicurezza si è riunito lo scorso 26 febbraio per esaminare la crisi, ma, come previsto, il veto imposto dalla Russia ha impedito l’adozione di una risoluzione. Tuttavia, il giorno successivo, il Consiglio di sicurezza ha chiesto all’Assemblea generale di riunirsi in una sessione di emergenza, sulla base di una procedura che non era stata attivata da circa quaranta anni. In questo caso, il voto negativo espresso dalla Russia non costituisce un veto, perché la decisione, di natura procedurale, non è soggetta al voto affermativo dei cinque membri permanenti.
Il 2 marzo, l’Assemblea generale, per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite, ha approvato una risoluzione che riconosce l’aggressione perpetrata da un membro permanente del Consiglio di sicurezza contro un altro stato membro. Le risoluzioni dell’Assemblea generale non sono vincolanti, ma costituiscono uno strumento politico unico per dare valore all’opinione dell’intera comunità internazionale.
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