Tratto da lavoce.info
DI MASSIMO BALDINI, Professore di Politica Economica presso il Dipartimento di Economia “Marco Biagi” dell’Università di Modena e Reggio Emilia
E SIMONE PELLEGRINO, professore associato di Scienza delle finanze presso il Dipartimento di Scienze Economico-sociali e Matematico-statistiche (ESOMAS) dell’Università di Torino
La proposta della Lega non disegna una vera flat tax, ma un’imposta in cui le aliquote diventano moltissime. L’analisi rivela una “fase 2” solo apparentemente semplice, ma in realtà complessa e confusa, che produce benefici limitati per i contribuenti.
La proposta della Lega
La campagna elettorale vede nel fisco uno dei campi di battaglia più importanti. Molta eco mediatica riceve, di nuovo, la proposta di flat tax targata Lega, basata su un disegno di legge presentato alla fine di maggio del 2020, tornato alla ribalta in questi giorni perché il partito di Matteo Salvini ha reso disponibile una app, scaricabile sul cellulare, in cui si confronta l’imposta netta attuale con quella che deriverebbe dall’applicazione della proposta.
Secondo il programma della Lega, tuttavia, la sua introduzione sarebbe parziale (perché limitata a certe fasce di reddito) e non attuabile subito, bensì in una fase 2 (è poi prevista una fase 3 in cui la flat tax si applicherebbe a tutti i soggetti). Nell’immediato (fase 1) si propone di estendere da 65 mila a 100 mila euro di fatturato il regime agevolativo per gli autonomi già in vigore e la flat tax incrementale (che assoggetta ad imposta sostitutiva gli incrementi di reddito da un anno all’altro), come primo passo verso la fase 2, in attesa, si legge, “di una ridefinizione complessiva del sistema di imposizione sul reddito”.
L’analisi
Di seguito valutiamo, dal punto di vista tecnico, la struttura della flat tax così come prevista dal disegno di legge nella fase 2. Si applicherebbe a tre tipologie di “famiglie fiscali”: i contribuenti single (tipo A), le famiglie con un unico percettore e almeno un familiare a carico (coniuge, figli o altri individui) (tipo B); le famiglie composte da due coniugi percettori di reddito, con o senza altri familiari a carico (tipo C).
Con una svolta radicale rispetto alla tradizione dell’Irpef, il reddito di riferimento dell’imposta non sarebbe più quello individuale, ma quello familiare, dato dalla somma dei redditi di tutti i membri del nucleo; sarebbero esclusi i redditi già oggi tassati separatamente, come avviene nel caso del regime agevolativo per i lavoratori autonomi.
Scomparirebbero tutte le attuali deduzioni e detrazioni per oneri (per queste ultime molti partiti propongono il passaggio a un cash back; ne consegue che per una valutazione completa della flat tax qui analizzata occorrerebbe conoscere anche questo dettaglio, altrimenti i benefici fiscali discussi sono sovrastimati per la quasi totalità dei contribuenti), nonché i crediti di imposta, fatto salvo però quel che rimane del bonus Irpef (il cosiddetto trattamento integrativo), perché in caso contrario si genererebbero contribuenti perdenti. Le attuali detrazioni per carichi di lavoro e famiglia sarebbero trasformate in deduzioni.
I limiti di reddito al di sotto dei quali si applicherebbe il nuovo regime sono: 30 mila euro per i single, 55 mila per le famiglie monoreddito con familiari a carico e 70 mila per quelle bireddito. Per i single (tipo A) è prevista una deduzione (che sostituisce la detrazione per lavoro) dal reddito complessivo di 14 mila euro per i redditi fino a 14 mila euro che poi decresce linearmente fino ad azzerarsi a quota 30 mila euro. Per le famiglie di tipo B, al reddito familiare si applica una deduzione di 13 mila euro fino a 20 mila euro di reddito, che poi decresce fino ad azzerarsi a quota 33 mila euro. Sono poi previste specifiche deduzioni per il coniuge a carico (3 mila euro fino a 22 mila, per poi decrescere fino a 40 mila euro) e altri familiari a carico (4 mila euro per il primo fino a 23 mila, che si azzera a 43 mila; 5 mila euro per il secondo fino a 26 mila euro che si azzera a 48 mila euro, e così via). Per le famiglie del tipo C, invece, si prevede: per il primo contribuente, una deduzione di 14 mila euro fino a 28 mila, che poi decrescere fino a 55 mila euro; per il secondo contribuente, una deduzione di 13 mila euro fino a 28 mila, che poi decresce fino a 50 mila euro; con la stessa logica sono previste specifiche deduzioni per gli altri familiari a carico.
Alla base imponibile familiare (ovvero la differenza tra il reddito familiare e le deduzioni ammesse) si applica l’aliquota legale del 15 per cento fino a 26 mila euro per le famiglie del tipo A, 50 mila per quelle del tipo B e 65 mila per quelle del tipo C. Oltre questi gli importi, che si riferiscono alla base imponibile familiare, l’aliquota legale sale linearmente dell’1 per cento ogni mille euro fino a 30 mila per le famiglie del tipo A, 55 mila per quelle del tipo B e 70 mila per quelle del tipo C. Quindi l’aliquota legale base del 15 per cento e il suo incremento si applicano a tutta la base imponibile di riferimento e non solo alla parte di base imponibile che eccede 26 mila euro; inoltre, l’aliquota legale totale (base e maggiorazione) dipende dal reddito complessivo e non dalla base imponibile.
Infine, “linearmente” implica che l’aliquota sale nel continuo. Ad esempio: per un single con reddito complessivo di 26 mila euro, la deduzione è di 3.500; alla base imponibile di 22.500 euro si applica l’aliquota del 15 per cento, a cui corrisponde una imposta netta (e lorda, poiché, si ricorda, non sono più previste detrazioni di alcun tipo) pari a 3.375 euro. Se il reddito complessivo sale a 26.100 euro, la base imponibile diviene pari a 22.687,5 euro, a cui si applica l’aliquota del 15,1 per cento, da cui deriva una imposta netta pari a 3.425,8. Si noti che su 100 euro di reddito in più, 50,8 vengono prelevati dal fisco. L’aliquota marginale effettiva è quindi, a 26 mila euro di reddito, del 50,8 per cento.
Similmente, per un reddito pari a 26.200 euro, l’aliquota è pari al 15,2 per cento (3.477 di imposta netta), e così via fino a 30 mila euro, dove l’aliquota legale raggiunge il 19 per cento, la deduzione si annulla e l’imposta netta è pari a 5.700 euro.
Superato il limite di 30 mila euro per il single (o i limiti superiori già visti per gli altri tipi di famiglie), si applicherebbe ancora il regime Irpef ordinario, quindi con le attuali quattro aliquote e le deduzioni e detrazioni oggi in vigore. Con l’ulteriore complicazione che l’unità impositiva tornerebbe a essere il singolo individuo e non più la famiglia.
La proposta non descrive quindi una flat tax, ma un’imposta in cui l’aliquota legale da applicare varia, per certi intervalli di reddito, in modo continuo. Altro che flat tax: le aliquote diventano moltissime. Era più vicina a una flat tax la proposta della campagna elettorale del 2018, idea poi non realizzata per tanti motivi (costo della misura e caduta del governo in particolare). Infatti, l’attuale proposta della Lega per la cosiddetta fase 2 contiene, rispetto a una vera flat tax, una revisione del sistema molto più contenuta per quanto riguarda gli effetti finanziari e, specularmente, con vantaggi più modesti per i singoli contribuenti. Il fisco, d’altra parte, deve fare i conti con la realtà, in particolare con due vincoli: i conti di finanza pubblica e l’effetto redistributivo dell’imposta, di cui oggi l’Irpef è il pilastro, nonostante i suoi difetti.
Se l’obiettivo è proporre una vera e semplice flat tax, non è sicuramente raggiunto. Se l’obiettivo è ridurre, ragionevolmente, le imposte per il ceto medio, si potrebbe facilmente ottenere lo stesso risultato modificando l’attuale struttura dell’Irpef. Negli ultimi dieci anni, l’Irpef è stata oggetto di diversi interventi che ne hanno ridotto il peso sui redditi medio-bassi, senza bisogno di rivoluzioni. La struttura impositiva della flat tax proposta della Lega è inoltre molto complicata, contraddicendo uno dei motivi per cui i suoi sostenitori ne propongono l’introduzione. Inoltre, questo sistema è obbligato a prevedere una clausola di salvaguardia rispetto alla normativa attuale, in particolare per i dipendenti con reddito inferiore a 14 mila euro, che oggi beneficiano di quel che rimane del bonus Irpef, che continuerebbe di fatto a rimanere in vigore.
La riduzione di imposta e l’aliquota marginale effettiva
Valutiamo ora di quanto si ridurrebbe l’Irpef per un dipendente senza carichi familiari (tipo A) e l’aliquota marginale effettiva. La riduzione di imposta (figura 1) è concentrata sui contribuenti con reddito da circa 13 mila a 29.500 mila euro (tra 8 e 13 mila invece si applicherebbe l’attuale regime (linea rossa) comprensivo del bonus Irpef), con un beneficio massimo nell’intorno dei 25 mila euro, pari a 670 euro annui (figura 2). I benefici medi sono complessivamente contenuti. Tuttavia, il costo per il bilancio della pubblica amministrazione potrebbe essere significativo, poiché nelle fasce di reddito interessate vi sono molti contribuenti.
La fase 2 si ferma, come detto, a 30 mila euro per i single e a 55 e 70 mila per le altre due tipologie di famiglie fiscali. Estendere questo regime a tutti sarebbe molto difficile, a causa di benefici molto forti per i redditi alti – che ridurrebbero decisamente la progressività del sistema tributario – e dell’elevata perdita di gettito.
Non è in linea con le aspettative l’andamento dell’aliquota marginale effettiva, ovvero quanto si paga su ogni euro guadagnato in più. Chi legge la proposta potrebbe giustamente pensare: “se è una flat tax al 15 per cento, allora vuol dire che se guadagno 1 euro in più su questo devo pagare il 15 per cento”. Eppure, come già mostrato nell’esempio relativo a un reddito di 26 mila euro, non è mai così, per via dell’interagire tra aliquote legali e deduzioni decrescenti col reddito.
La no tax area (caratterizzata per costruzione da una aliquota marginale effettiva nulla) sarebbe estesa fino a 14 mila euro; ma da circa 8 mila euro fino a 14 mila, a causa del bonus Irpef, per i dipendenti è quasi sempre più conveniente il regime attuale, che di fatto determina una imposta negativa (per questo è prevista una clausola di salvaguardia). Da 14 a 15 mila euro l’aliquota marginale effettiva sarebbe più alta di quella attuale (28 contro 23 per cento), ma da 15 a 26 mila euro sarebbe più bassa (sempre 28 per cento contro 34) (figura 3). Si considerino due contribuenti single con reddito pari a 20 e 21 mila euro. Per il primo la deduzione vale 8.750, mentre per il secondo 7.875. Il risparmio di imposta dovuto alla deduzione scende di 131,15 euro, mentre la parte di imposta lorda dovuta all’aliquota sale di 150 euro. La somma è pari a 281,25 euro, pari alla differenza tra le due imposte nette (1.687,5 e 1.968,75, rispettivamente), ovvero il 28,125 per cento.
Nella fascia che va da 26 a 30 mila euro, infine, l’aliquota marginale effettiva sarebbe non solo molto più alta di quella attuale, ma anche crescente rispetto al reddito (sempre per l’interagire tra aliquote e deduzioni). Probabilmente, questa caratteristica mal si concilia con l’estensione della flat tax a tutti, posto che i vincoli di bilancio lo consentano. L’aspetto paradossale della proposta sta nel fatto che la “flat tax al 15 per cento” in realtà non ha mai come aliquota marginale effettiva il 15 per cento.
Insomma, una “fase 2” apparentemente semplice, ma in realtà complessa e confusa, con una flat tax che è tale solo nel nome. Visti i limitati benefici per i contribuenti e quindi gli effetti non devastanti per i conti pubblici (ma qui abbiamo considerato solo i single, non le famiglie, per le quali inoltre non è chiara la relazione tra la flat tax e l’assegno unico di recente istituzione), non è escluso che possa essere realizzata durante la legislatura. Tuttavia, le proposte della Lega sul fisco sono diverse e tutte incentrate su riduzioni fiscali. Non è quindi chiaro come potrebbero trovarsi le dovute coperture finanziarie per tutte le misure. Sicuramente non si vede il motivo di stravolgere e complicare il sistema attuale per realizzare risultati che si potrebbero ottenere facilmente agendo sull’Irpef di oggi. Certo la fase 2 è vista dalla Lega solo come una tappa verso la fase 3, in cui la flat tax si estende a tutti. Ma gli effetti sulla distribuzione del reddito e sui conti pubblici della fase finale sarebbero così forti da renderla probabilmente irrealizzabile.
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