Tratto da lavoce.info
DI ALESSANDRO FRATINI, studente di Economics and Political Science alla Università degli Studi di Milano
E MASSIMO TADDEI, Editor e responsabile del desk editoriale de lavoce.info
Nel 2021, la condizione occupazionale dei laureati è migliorata in modo sostanziale rispetto al 2020, anno di crollo a causa del Covid, ma anche rispetto al 2019, mostrando che la ripresa sta coinvolgendo soprattutto le figure qualificate.
Il tasso di occupazione tra i laureati torna a crescere dopo la pandemia
Il rapporto Almalaurea dello scorso anno evidenziava una battuta d’arresto, dovuta all’arrivo della pandemia, nella crescita del tasso di occupazione tra i laureati, in aumento dal 2015. Al contrario, la XXIV Indagine Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, presentata il 16 giugno 2022, espone dei dati positivi per i laureati italiani, in linea con la ripresa economica generale.
A un anno dal conseguimento del titolo, infatti, sia i laureati di primo livello che di secondo livello mostrano una forte crescita dell’occupazione, superando i numeri del 2019. Interessante è il dato riguardante coloro che hanno ottenuto una magistrale a ciclo unico, che sperimentano una crescita dell’occupazione di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2020 (e di 8 punti percentuali rispetto al 2019). Probabilmente, questo dato è trainato dai laureati del gruppo medico-sanitario e farmaceutico, grazie al forte reclutamento di medici e infermieri avvenuto sin dalle prime fasi della pandemia. La tendenza positiva si mantiene anche per coloro che hanno conseguito il titolo di laurea da 5 anni (che non avevano subito conseguenze nel 2020, se non lievi per il gruppo dei laureati triennali).
Permangono comunque numerose criticità, a partire dalle differenze di genere (gli uomini hanno il 12,8 per cento di probabilità in più di essere occupati rispetto alle donne) e dal precariato (poco meno di un terzo dei laureati nel 2020 aveva un contratto a tempo indeterminato nel 2021).
Le retribuzioni continuano a crescere
Anche le retribuzioni mensili nette dei laureati italiani mostrano una tendenza positiva, che in questo caso non era stata arrestata neanche dalla pandemia. Infatti, la crescita delle retribuzioni a un anno dalla laurea rimane stabile a un tasso prossimo al 5 per cento per tutti i tipi di corsi di laurea dal 2018. Rispetto al 2019, coloro che più hanno visto crescere le proprie retribuzioni sono i laureati a ciclo unico (+19%). Questo dato, però, deve sempre essere confrontato al forte aumento occupazionale sperimentato dal gruppo di lauree medico-sanitario. La crescita rimane elevata anche nelle altre categorie, ed è interessante notare come questa sia maggiore per i laureati triennali rispetto ai laureati biennali. Dati simili si riscontrano a cinque anni dal conseguimento della laurea.
Come mostrato anche dalle precedenti Indagini Almalaurea, esiste una forte differenziazione a seconda del settore disciplinare di studio. Tra i più retribuiti, in media, sono presenti i laureati del gruppo medico-sanitario e farmaceutico (+275 euro rispetto alla media delle retribuzioni), quelli di informatica e tecnologie Ict (+158 euro) e infine quelli di ingegneria industriale e dell’informazione (+110 euro). I tre gruppi di laurea più svantaggiati, invece, sono quelli di architettura e ingegneria civile (-136 euro), psicologico (-67 euro) e agrario-forestale e veterinario (-31 euro).
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La richiesta sempre maggiore di figure qualificate
Pur trattandosi di una notizia generalmente positiva, il forte rimbalzo dell’occupazione e delle retribuzioni, non solo rispetto all’anno di crisi, ma anche rispetto al periodo pre-pandemia, mostra che, come molti temevano, le politiche per la ripresa e la natura della ripresa stessa stanno allargando divari già esistenti. Nonostante la crescita occupazionale tra i laureati, infatti, nel 2021 il numero di occupati tra 18 e 29 anni era del 3,3 per cento inferiore rispetto al 2019, segno che chi non ha proseguito gli studi ha perso molto terreno rispetto ai laureati.
Il netto aumento del ricorso allo smart working rispetto al 2019, anche se in calo rispetto al 2020, potrebbe aver avvantaggiato i laureati, che hanno avuto la possibilità di lavorare nei settori che hanno assorbito meglio l’impatto della pandemia (perché spesso, di fatto, non si sono mai fermati grazie al ricorso al lavoro dal remoto). I giovani con un titolo di studio inferiore, al contrario, nella maggior parte dei casi non hanno avuto l’opportunità di sfruttare la maggiore richiesta di competenze digitali.
Da una parte, questo maggiore “premio” per i laureati si potrebbe considerare un fattore positivo, dal momento che si tratterebbe di un allargamento dei divari basato sul maggiore investimento tra chi possiede un titolo più elevato e chi invece non ha proseguito gli studi. Sarebbe una notizia particolarmente positiva in Italia, che fatica molto più degli altri paesi a valorizzare il titolo di studio. È anche vero, però, che, nei paesi in cui questo divario “positivo” esiste e premia davvero i laureati, le retribuzioni e la qualità del lavoro sono tendenzialmente migliori anche per i non laureati, se confrontati con gli omologhi italiani. È per esempio il caso della Germania.
Una ripresa poco inclusiva, che si limita agli “insider” del mercato del lavoro, come mostrato in un contributo su questo sito, e alle sole figure qualificate rischia di aumentare ulteriormente le disuguaglianze e le tensioni sociali che erano già presenti strutturalmente in Italia prima della pandemia. Se il dato sull’occupazione aumenta, per esempio, va comunque ricordato che i laureati da un anno che risiedono al Nord hanno una probabilità di essere occupati del 43,7 per cento superiore rispetto ai laureati residenti nel Mezzogiorno.
Le notizie che arrivano dal rapporto Almalaurea sono molto positive, ma devono comunque far riflettere su dove sia andato ad incidere in particolare il forte rimbalzo del Pil e del mercato del lavoro nel 2021. Bene aumentare il “premio” per le competenze, ma è importante che la crescita includa tutti.
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