Tratto da lavoce.info
DI RICCARDO CESARI, professore ordinario di Metodi Matematici per l’Economia e le Scienze Attuariali e Finanziarie dell’Università di Bologna
Quando il rapporto con la politica è utilitaristico e non-ideologico, le condizioni materiali e sociali della popolazione guidano la partecipazione elettorale e spiegano l’impennata dell’astensionismo. È una tendenza generale e un campanello d’allarme.
Astensionismo in crescita
Il trend dell’astensione dei cittadini alle elezioni politiche ha subìto, lo scorso 25 settembre, una forte accelerazione, come d’altra parte previsto.
Dal 27 per cento delle elezioni 2018 si è arrivati al nuovo record del 36 per cento (Figura 1), con una crescita di 9 punti, contro i circa 2 del 2018.
L’interpretazione che ne avevamo dato, ripresa anche qui, si basa su una lettura economica, post-ideologica, della partecipazione alla vita politica.
Il livello di benessere attuale e prospettico è alla base della partecipazione, nel senso che finisce per partecipare col proprio voto alla vita democratica solo chi non ha gravi problemi economici e chi, pur avendoli, crede nella capacità della politica di dare risposte efficaci alle proprie difficoltà.
Quando le ristrettezze economiche personali e famigliari sono sovrastanti o l’esperienza pregressa alimenta sfiducia verso il ceto politico, la scelta della non partecipazione tende a diffondersi anche in un paese, come l’Italia, con una tradizione partecipativa elevata.
D’altra parte, il legame tra astensione e reddito pro capite si nota anche a livello europeo. Per i 27 paesi dell’Unione europea nelle elezioni europee del 2019, si vede come al crescere del reddito pro capite cali l’astensione e dunque aumenti il grado di partecipazione (turnout).
La relazione si ripresenta, in modo ancora più netto, a livello delle regioni italiane: il coefficiente di correlazione lineare tra reddito pro capite e astensionismo arriva al -75 per cento e indica che, anche a livello subnazionale, le aree a più basso reddito sono quelle a maggiore astensione.
Dai dati dell’ultimo decennio (2013-2022) si ricava che, a fronte di un aumento di oltre 11 punti dell’astensione, tutti gli indicatori di povertà assoluta e relativa sono aumentati, sia a livello nazionale (Figura. 4) sia nelle macroaree del Nord (famiglie e individui) e del Mezzogiorno (a livello individuale).
Il campanello di allarme
Non esistono evidenze dirette sulle scelte di astensione dal voto per classi sociali, ma il rifiuto della politica al crescere delle ristrettezze economiche e del disagio sociale si può ricavare dalle indagini Istat sugli aspetti della vita quotidiana: l’aumento del disinteresse verso la politica (“persone che non si informano mai di politica italiana”) è generale, ma lo si registra in particolare tra i disoccupati rispetto agli occupati e tra i meno scolarizzati rispetto ai laureati.
La crescita dell’astensionismo osservata alle ultime elezioni politiche sembra quindi in linea con l’evidenza passata. Il dato preoccupante è che c’è ampia evidenza, a livello internazionale, del legame a due vie tra democrazia e performance economica: l’una supporta l’altra (si vedano qui i riferimenti).
Quello che è stato meno esplorato è il rischio di una progressiva riduzione dei diritti politici e civili e quindi della qualità della democrazia, in presenza di difficoltà economiche e di crescenti diseguaglianze. Pertanto, il venir meno della partecipazione politica può essere un campanello d’allarme di un processo che mette in discussione le istituzioni democratiche nel momento in cui non riescono a dare risposta a istanze ancora più elementari.
Nella Bibbia (Esodo, 16,2) si racconta che il popolo, in fuga dal faraone attraverso il deserto, rimpiangeva gli anni della schiavitù, “seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà”. La libertà garantita dalla democrazia può perdere la sua forza e la sua capacità attrattiva quando povertà e diseguaglianza, anziché ridursi, si diffondono nella società.
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