Le sanzioni contro la Russia sono efficaci o a pagarne il prezzo sono i cittadini europei? Per ora hanno dato risultati le misure finanziarie e personali. Nel lungo periodo Mosca dovrà fare i conti con calo del Pil, minori investimenti e fuga di cervelli.
Gli obiettivi delle sanzioni
In queste settimane di grande tensione per l’inasprirsi della crisi energetica in Europa, proprio alla vigilia dei mesi più freddi dell’anno, ci si interroga sempre di più sull’efficacia delle sanzioni a cui è sottoposta la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, avvenuta lo scorso febbraio. Se davvero si tratta delle misure sanzionatorie più forti e di maggior portata mai imposte a una grande potenza dopo la seconda guerra mondiale, più numerose e più complete di tutte le altre misure attualmente in vigore contro qualsiasi altro paese sanzionato, allora perché la guerra in Ucraina continua e nel frattempo i paesi che le hanno decise ne subiscono effetti di ritorno così grandi?
Per rispondere alla domanda, prima bisogna chiedersi quando e quanto le sanzioni siano strumenti efficaci e da che cosa dipenda la loro efficacia. Purtroppo, sono domande che non hanno una risposta né facile, né univoca.
Innanzitutto, è utile ricordare che le sanzioni sono misure alternative al ricorso alla forza militare, che è esattamente ciò che si vuole evitare, scegliendo risposte meno cruente di quella che si intende appunto sanzionare. Si tratta di misure restrittive di tipo commerciale, finanziario, logistico, tecnologico, personale e politico; cioè utilizzano tutti i canali possibili – diversi da quello dell’intervento militare diretto e dopo che la via diplomatica non ha sortito effetti – per mettere in difficoltà il paese bersaglio, fino a dissuaderlo dal continuare nelle sue azioni, in questo caso l’occupazione. Di conseguenza, l’obiettivo diretto delle sanzioni è la fine delle violazioni sanzionate e la riduzione nel tempo della frequenza delle violazioni. Tuttavia, questo obiettivo – che possiamo chiamare di efficacia massima – è l’esito meno probabile, almeno nel breve periodo. Infatti, è perseguito indirettamente, attraverso una serie di difficoltà inflitte, di tipo economico, che hanno bisogno di tempo per diventare insostenibili e portare alla fine delle violazioni: in questo caso si tratterebbe di una rapida fine delle ostilità, magari accompagnata dal ritorno dei territori ucraini occupati al governo di Kiev e da un cambio di regime in Russia (possibilmente verso uno più favorevole a comportamenti più rispettosi dei principi del diritto internazionale).
Indispensabili le interazioni tra paesi
Va anche considerato che la pratica delle sanzioni economiche è possibile solo se esistono interazioni economiche tra gli stati (quanto meno tra il mittente e il bersaglio) e un certo grado di interdipendenza economica. Le sanzioni consistono appunto nel tagliare una serie di legami del paese bersaglio per indurlo a porre termine alla violazione – per esempio, la possibilità di importare ed esportare, di utilizzare valuta estera, o per i suoi cittadini di spostarsi nel mondo. Nel caso estremo di un paese senza interdipendenze economiche con il resto del mondo, le sanzioni non avrebbero alcun modo di essere applicate. Viceversa, un paese con molti legami economici con il resto del mondo ha una varietà di canali attraverso i quali può essere sanzionato.
È proprio la necessità di un certo grado di interdipendenza tra il/i paese/i mittente e quello bersaglio a rendere difficile e ambigua la risposta sull’efficacia delle sanzioni, il che spiega la grande frammentazione della letteratura economica sul tema. Infatti, quali siano i canali più efficaci dipende dal tipo di interdipendenza che lega il paese bersaglio agli altri. Gli studi che hanno iniziato a considerare la struttura dell’interdipendenza come fattore che condiziona l’efficacia delle sanzioni hanno mostrato che ci sono due aspetti delle reti che sono importanti per l’efficacia delle sanzioni. La prima determinante è l’architettura della rete, costituita dal tipo di relazioni del mittente, del bersaglio e dei paesi terzi. Il secondo fattore è il modello di rete, ossia la natura dei legami e le conseguenze della loro distribuzione sui payoff degli agenti. La stessa architettura potrebbe avere conseguenze molto diverse sui pay-off a seconda che il modello descriva una rete di accordi di libero scambio, di acquirenti e venditori, di alleanze militari, di beni pubblici o di risorse di proprietà comune. Le due caratteristiche di una rete – l’architettura e il modello – determinano congiuntamente l’efficacia delle sanzioni. Detto diversamente, le sanzioni sono punizioni che infliggono non solo uno shock esogeno al bersaglio, in quanto inserito in una rete di interazioni, ma anche una modifica progressiva di tutta la rete di legami tra il bersaglio e i paesi terzi (effetto endogeno). Quest’ultimo non è totalmente imprevedibile, ma dipende dalle caratteristiche della rete. Finora la letteratura ha poco studiato empiricamente gli effetti di rete delle sanzioni, ma la teoria suggerisce che tendano a essere più efficaci quanto maggiore è la complementarietà (e minore la sostituibilità) dei legami sanzionati, quanto minore è la reciprocità da parte del bersaglio, quanto maggiore è la platea di paesi che le adottano (e quanto minore la presenza dei cosiddetti black knights, cioè i paesi che compensano i legami recisi intensificando i propri con il paese bersaglio).
Il comportamento di Cina e India
Nel caso in questione, alcuni paesi stanno diluendo l’efficacia delle sanzioni attraverso l’aumento di legami sostituti. È per esempio l’effetto delle esportazioni russe di gas, petrolio e grano dirottate dai precedenti importatori europei a nuovi importatori tra i paesi che non hanno aderito al gruppo dei paesi sanzionatori, anzi sostengono il bersaglio: soprattutto Cina e India. Gli acquisti di petrolio da parte di New Delhi e Pechino hanno compensato la maggior parte del calo dell’export russo in Europa, minando l’impatto delle sanzioni contro Mosca che, invece, hanno portato a un aumento delle bollette energetiche per i consumatori europei. Un’analisi del Financial Times sui dati disponibili delle statistiche doganali cinesi e indiane mostra che i due paesi hanno importato 11 milioni di tonnellate di petrolio in più dalla Russia nel secondo trimestre del 2022 rispetto al primo trimestre, con pagamenti aumentati di 9 miliardi di dollari. La crescita maggiore in termini di volume si è registrata in India, dove le importazioni di petrolio russo sono passate da 0,66 milioni di tonnellate nel primo trimestre a 8,42 milioni di tonnellate nel secondo.
I dati dei russi
Finora le più efficaci sono state le cosiddette smart sanctions – quelle finanziarie e personali – che agiscono più rapidamente e non colpiscono indifferentemente tutta la popolazione, ma soltanto le transazioni e i movimenti dei pochi che hanno potere finanziario. Le altre sono difficili da valutare. La variabile più facile da monitorare per capire quanto sia duro il colpo inflitto al bersaglio è il valore della produzione nazionale (Pil), una misura aggregata e sintetica che risponde in breve tempo all’introduzione delle sanzioni. I risultati di studi precedenti sono solo parzialmente utili per formulare aspettative sugli effetti delle attuali sanzioni alla Russia, che già ne subiva in seguito all’invasione della Crimea nel 2014. L’impatto negativo sul Pil russo delle precedenti sanzioni è stato risibile rispetto all’entità delle conseguenze che potrebbero avere quelle di oggi. Kholodilin et al. (2016) avevano stimato una perdita immediata del Pil in Russia pari all’1,97 per cento trimestre su trimestre, mentre non era osservabile alcun impatto sul Pil aggregato dei paesi dell’area euro. Uno studio russo (Gurvich e Prilepsky, 2016) aveva previsto per il medio termine una perdita di 2,4 punti percentuali entro il 2017 rispetto allo scenario ipotetico senza sanzioni. Oggi le fonti russe offrono valutazioni ottimistiche della situazione. Lo stesso governatore della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, ha dichiarato alla Duma di stato: “Il periodo in cui l’economia può vivere di riserve è finito. E già nel secondo – inizio del terzo trimestre, entreremo in un periodo di trasformazione strutturale e di ricerca di nuovi modelli di business”. Allo stesso tempo, però, la Banca Mondiale ha previsto che il Pil russo del 2022 diminuirà dell’11,2 per cento a causa delle sanzioni occidentali. Questi numeri, poi, non tengono ancora conto dell’annuncio del sesto pacchetto di sanzioni dell’Ue, che include un embargo sul petrolio, la principale fonte di valuta estera per la Russia.
Queste stime sono realistiche? E quale sarebbe stato lo sviluppo controfattuale senza sanzioni? Se crediamo agli studi passati, e tenendo conto anche della portata e dell’ampiezza senza precedenti delle attuali sanzioni, almeno l’orizzonte temporale, se non la dimensione, delle conseguenze previste dalle autorità russe è certamente sottostimata. Ma al momento c’è troppa incertezza, le ostilità sono ancora in corso e le sanzioni non saranno revocate per un bel po’ di tempo in qualsiasi scenario prevedibile. Uno dei motivi per cui è improbabile che vengano allentate, e per cui si prevede che il loro impatto sarà più forte rispetto ad altri casi, è che le sostiene una coalizione molto ampia di paesi. Non solo, ma i sanzionatori vedono nella condotta della Russia una potenziale minaccia all’ordine mondiale, per cui la motivazione a contrastarla è particolarmente forte rispetto, ad esempio, ai casi dell’Iran, della Corea del Nord o della Birmania.
Inoltre, le stime di perdita non considerano l’embargo sul petrolio annunciato dal sesto pacchetto di sanzioni dell’Ue. Il petrolio è un motore fondamentale della crescita in Russia (secondo alcuni studi, le variazioni dei prezzi internazionali del petrolio ne spiegano i due terzi, non tanto perché rappresenti una quota così elevata del Pil, ma per l’effetto secondario che i proventi dall’export di petrolio genera in termini di consumi e investimenti interni). L’entità delle perdite che ci si può aspettare è ingente e nel lungo periodo implica minori investimenti e una fuga di cervelli (3,8 milioni di persone hanno già lasciato il paese dall’inizio della guerra): inevitabili effetti negativi e certi sulle prospettive future.
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