Tratto da lavoce.info
DI ANGELO BAGLIONI, professore ordinario di Economia Politica presso l’Università Cattolica di Milano,
Una manovra fiscale discutibile scatena la tempesta sui titoli di Stato inglesi e sulla sterlina. La Bank of England interviene prontamente. La Bce non potrebbe fare altrettanto: il futuro governo italiano lo sappia.
Il pasticcio inglese
L’esordio del nuovo governo inglese, guidato da Liz Truss, non poteva essere peggiore. Venerdì 23 settembre ha annunciato un piano di espansione fiscale che ha colto di sorpresa tutti, non solo per la dimensione ma anche per il tipo degli interventi, chiaramente volti a favorire la parte più abbiente della popolazione. L’aliquota fiscale più alta, quella del 45% applicata ai redditi superiori alle 150.000 sterline, è stata abbassata al 40%. Il tetto alla parte variabile delle retribuzioni dei manager bancari (i famosi bonus), che era stato imposto dalle regole UE, è stato abilito, con il chiaro intento di rendere più attrattiva la City. L’aumento delle imposte societarie dal 19% al 23%, previsto dal precedente governo, è stato sospeso. Il tutto per un costo complessivo di 45 miliardi di sterline (circa 50 miliardi di euro) da finanziare a debito. A ciò si aggiungono i provvedimenti per sostenere imprese e famiglie di fronte al caro-energia. La reazione dei mercati finanziari non si è fatta attendere: brusco calo del cambio e della borsa, impennata dei rendimenti dei titoli di Stato (Gilts).
La reazione dei mercati ha costretto la Bank of England (BoE) a intervenire tempestivamente, per salvaguardare la stabilità di quegli intermediari finanziari, a cominciare dai fondi pensione, imbottiti di Gilts e quindi danneggiati dal deprezzamento di questi titoli. Il 28 settembre la BoE ha annunciato, e immediatamente dato avvio operativo, ad un piano di acquisti di Gilts potenzialmente illimitato nelle quantità (“whatever scale is necessary”) seppure temporaneo (la durata prevista è fino al 14 ottobre, ma nulla vieta che sia rinnovato). Allo stesso tempo, la BoE ha rinviato l’avvio del piano di vendite di titoli sul mercato, destinato a ridurre la dimensione del suo bilancio nei prossimi mesi. L’inizio degli acquisti ha riportato un po’ di ordine sul mercato dei Gilts, minore sembra essere l’impatto sul valore della sterlina. Al di là dell’efficacia dello “scudo” introdotto dalla BoE, che va valutata giorno per giorno, la vicenda inglese fornisce alcune indicazioni interessanti per il governo che tra poco si insedierà in Italia e per l’assetto istituzionale dell’area euro.
Lezione per l’Italia
Il debito pubblico inglese è pari al 100% del PIL, ampiamente inferiore a quello italiano (145%). Tuttavia, i mercati hanno reagito bruscamente ad una manovra inattesa nelle sue dimensioni, nella sua composizione e completamente finanziata a debito. Una manovra espansiva, che va contro la priorità di politica economica del momento: la lotta all’inflazione. Quanto successo sul mercato dei Gilts è un monito su quanto potrebbe accadere sul mercato dei Btp nostrani se il nuovo governo italiano desse seguito alle promesse fatte dalle forze politiche della nuova maggioranza durante la campagna elettorale, quali l’estensione della flat tax, l’aumento delle pensioni minime a mille euro e l’applicazione di “Quota 41” come requisito per il pensionamento. L’incremento dello spread Btp-Bund, registrato nei giorni seguenti all’esito delle elezioni, non è nulla rispetto a quanto potrebbe accadere se la futura premier desse l’impressione di non sapere controllare coloro che, nella coalizione di governo, spingono per sostanziosi tagli di tasse e/o aumenti di spesa.
Lezione per l’Europa
La BoE ha deciso di intervenire a sostegno del mercato dei Gilts con una rapidità degna di nota: nel giro di un paio di giorni ha predisposto e avviato uno “scudo” contro la speculazione finanziaria che ha colpito i titoli di Stato, nonostante ciò la costringesse ad invertire (seppure temporaneamente) la rotta rispetto al piano di riduzione del portafoglio-titoli che era stato da poco annunciato. Il lavoro di “prestatore di ultima istanza” richiede questo: velocità e disponibilità ad agire senza condizioni, con misure potenzialmente illimitate, seppure temporanee. Non altrettanto si può dire per lo “scudo anti-spread” varato nel luglio scorso dalla Bce: il Trasmission Protection Instrument (TPI). Questo è uno strumento che, come abbiamo già rilevato, potrà essere attivato solo a valle di una valutazione di sostenibilità del debito pubblico del paese interessato e solo se una serie di condizioni saranno soddisfatte. Se un paese membro dell’area euro annunciasse un improvviso aumento del disavanzo pubblico, e questo annuncio venisse accolto male dai mercati finanziari, sarebbe difficile per il Consiglio direttivo della Bce intervenire prontamente a sostegno del debito di quel paese attivando il TPI: è facile immaginare le divisioni che si creerebbero al suo interno. Per non parlare dell’altro strumento, introdotto dieci anni fa e mai usato: l’OMT (Outright Monetary Transactions), che richiede un accordo tra il governo del paese interessato il famigerato MES (Meccanismo Europeo di Stabilità).
Queste differenze tra le due sponde della Manica dipendono dal diverso assetto istituzionale. Nel Regno Unito, la BoE può decidere di finanziare (temporaneamente) il settore pubblico, anche a fronte di una maldestra manovra di politica fiscale: se questo è necessario per preservare la stabilità finanziaria e la trasmissione della politica monetaria, lo si fa e basta. Nell’area euro è tutto più complicato, perché il sostegno al debito di un singolo paese è sempre mal visto dagli altri. Torniamo sempre al problema di fondo mai risolto: politica monetaria unica e politiche fiscali nazionali.
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