Tratto da lavoce.info
DI STEFANIA ALBANESI, Professoressa di Economia alla University of Pittsburgh.
La decisione di non garantire più a livello federale l’aborto negli Stati Uniti si colloca all’interno di un’epoca di riduzione di diritti sanitari per le donne nel paese. Ma garantire maggiore libertà e accesso alle cure sanitarie ha importanti effetti positivi, anche dal punto di vista economico.
La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di rovesciare la sentenza Roe v. Wade comporterà la negazione dell’assistenza sanitaria essenziale alle donne incinte. Questa non è solo una violazione dei loro diritti umani fondamentali, ma è un colpo terribile per la società. Causerà altri decessi, disabilità e notevoli difficoltà economiche per le persone cui è stata negata l’assistenza, per i loro figli e per le loro famiglie, e avrà un forte impatto sull’economia in generale.
La storia della salute materna negli Stati Uniti insegna una lezione importante sull’impatto che la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria in gravidanza ha sulle donne. Nei primi tre decenni del Novecento, gli Stati Uniti hanno registrato il più alto tasso di decessi legati alla gravidanza tra le nazioni comparabili. Nel 1920, una donna moriva ogni 125 nati vivi. La mortalità materna era la seconda causa di morte per le donne dopo la tubercolosi. Per ogni decesso, si stima che ogni anno un numero venti volte maggiore di madri soffrisse di diversi gradi di disabilità. Queste condizioni portavano anche ai sintomi più debilitanti se le donne sopravvivevano, come disturbi neurologici, anemia cronica, gravi forme di lacerazioni perineali e infertilità. L’alta frequenza di nati morti e aborti spontanei aumentava ulteriormente il rischio per la salute di rimanere incinte.
A partire dagli anni Trenta si è assistito a un drastico miglioramento della salute materna grazie a un maggiore accesso alle cure prenatali, a una migliore formazione ostetrica, all’introduzione di farmaci sulfamidici per il trattamento delle infezioni e alla conservazione del sangue in caso di emorragie. Tra il 1930 e il 1960, la mortalità materna è diminuita del 94 per cento, accompagnata da un corrispondente calo delle patologie legate alla gravidanza. Di conseguenza, la partecipazione alla forza lavoro delle donne in età fertile è passata dal 10 per cento del 1920 al 40 per cento dei primi anni Sessanta. Con il diminuire dei rischi per la salute legati alla gravidanza, le donne hanno deciso di avere più figli. Il tasso di fertilità totale è aumentato da 2,2 figli per donna nei primi anni Venti a un massimo di 3,6 figli per donna nel 1960. Il calo dei rischi legati alla gravidanza può spiegare circa la metà dell’aumento della partecipazione alla forza lavoro e della fertilità delle donne sposate tra il 1930 e il 1960.
Ma non è tutto. I genitori si sono resi conto che la gravidanza e la maternità non limitavano le opportunità di partecipazione delle figlie all’economia. Di conseguenza, sono aumentati gli investimenti nell’istruzione delle ragazze. Per le persone nate tra il 1933 e il 1950, il calo della mortalità materna è stato un fattore chiave per far sì che il tasso di laurea delle donne raggiungesse quello degli uomini. Con il miglioramento dell’istruzione sono aumentate anche le possibilità di impiego delle donne, favorendo il loro ingresso nei ranghi professionali. Di conseguenza, la fertilità è diminuita rispetto al picco dei primi anni Sessanta e sono aumentate le risorse che i genitori dedicano alla salute, al benessere e all’istruzione dei figli.
Sfortunatamente, questi miglioramenti nella salute materna sono stati parzialmente invertiti negli ultimi 40 anni. Gli Stati Uniti sono tornati alla poco invidiabile posizione di paese con il più alto tasso di mortalità materna tra le nazioni ad alto reddito. E la mortalità legata alla gravidanza è più del doppio per i cittadini neri e nativi americani rispetto ai cittadini bianchi.
La mancanza di accesso all’assistenza all’aborto che deriverebbe dall’annullamento della Roe v Wade farebbe arretrare ulteriormente gli Stati Uniti. Un divieto totale dell’aborto comporterebbe un aumento del 7 per cento delle morti materne nel primo anno e del 21 per cento negli anni successivi, solo a causa del maggior rischio di mortalità derivante dal proseguimento della gravidanza. Questo non include nemmeno i rischi sanitari aggiuntivi associati agli aborti non sicuri. L’aumento dei decessi colpirà tutte le razze e le etnie, ma sarà maggiore per le minoranze. Ogni anno, dal 4,7 per cento al 13,2 per cento dei decessi materni può essere attribuito ad aborti non sicuri.
La partecipazione delle donne alla forza lavoro negli Stati Uniti è rimasta stagnante dall’inizio degli anni Novanta, mentre ha continuato a crescere nella maggior parte dei Paesi comparabili, soprattutto a causa della mancanza di accesso a servizi di assistenza all’infanzia a prezzi accessibili, orari di lavoro flessibili e congedi parentali retribuiti per la maggior parte dei lavoratori. Il Covid ha colpito duramente l’occupazione femminile, escludendo in particolare le madri single dalla forza lavoro.
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La decisione della Corte Suprema di eliminare il diritto costituzionale di interrompere una gravidanza comprometterà ulteriormente le prospettive delle donne nel mercato del lavoro, oltre a mettere in pericolo la salute di chiunque possa rimanere incinta.
Il Congresso dovrebbe muoversi rapidamente per stabilire un diritto legale all’aborto sicuro. Questo non solo ripristinerà un diritto umano fondamentale e salverà delle vite, ma la storia ci insegna che quando l’aborto è illegale provoca conseguenze economiche sostanziali e di lunga durata per le famiglie e ha un effetto negativo sull’economia in generale.
Tradotto dall’inglese da Massimo Taddei. La versione originale uscita su The Initiative for Policy Dialogue è disponibile qui.
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