Tratto da lavoce.info
DI GABRIELE SERAFINI, professore associato di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano
L’accordo europeo sul salario minimo ripropone il tema della riduzione delle disuguaglianze. Meglio sarebbe, però, diminuire il carico fiscale sui redditi più bassi. Si eviterebbe una rincorsa prezzi-salari e si chiarirebbero le responsabilità politiche.
La questione del salario minimo
Dopo mesi di discussioni, le varie forze politiche nel Parlamento europeo sono arrivate a un primo accordo sull’emanazione di una direttiva europea per un salario minimo adeguato. L’obiettivo è invero generico, tanto da essere largamente condiviso, ma riteniamo che ci saranno difficoltà per la sua realizzazione, sia per l’identificazione concreta di questa grandezza, che per le variegate possibilità della sua attuazione.
Un salario dovrebbe intendersi adeguato, ad esempio, rispetto al suo potere d’acquisto; quindi il suo importo, già espresso in euro nei vari paesi che lo hanno adottato, dovrebbe sempre essere rapportato al paniere di beni che può acquistare. Nella conferenza stampa nella quale si è annunciato l’accordo, si è però indicato che il salario minimo, stabilito per legge oppure tramite contrattazione collettiva, potrà essere ritenuto adeguato se pari almeno al 60 per cento del salario mediano. In questo modo, più che un salario minimo si prospetta l’indicazione di un salario meno differenziato fra lavoratori.
Un salario minimo perseguito mediante un aumento dei salari più bassi, come ricordavamo in un nostro precedente intervento, non sarebbe del resto un obiettivo facile da raggiungere in un’economia di mercato come la nostra, poiché un aumento dei salari può essere seguito da un aumento dei prezzi al dettaglio in grado di compensare il primo incremento. In quell’occasione, in alternativa all’aumento del salario minimo, per aumentare il potere d’acquisto dei salari e ridurre le disuguaglianze, proponevamo una riduzione del carico fiscale sui redditi più bassi, da realizzare mediante una liquidazione periodica dell’importo da parte del fisco. Alla luce della bozza di accordo europeo, ritorniamo su quella proposta, che avrebbe almeno quattro effetti positivi: poter stabilire il livello adeguato del salario minimo; contemperare gli interventi di politica economica con le esigenze delle finanze pubbliche; non sostituire la contrattazione collettiva con un provvedimento legale di difficile ideazione; incidere sul cuneo fiscale senza intaccare i contributi a fini pensionistici.
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Perché intervenire sul cuneo fiscale
Il primo effetto, l’individuazione del livello adeguato del salario minimo, potrebbe essere ottenuto tramite la riduzione del carico fiscale sui redditi più bassi, perché non si legherebbe, per questa via, l’aumento del salario all’aumento dei costi per le imprese, col rischio di determinare un effetto retroattivo negativo sui salari reali. Si potrebbe anche prevedere congiuntamente un suo importo minimo in euro, quantomeno per orientare le parti sociali, ma sempre considerando che vi sarà la necessità di una sua revisione periodica collegata all’andamento dei prezzi di un certo paniere di merci.
Il secondo effetto, relativo alla necessità che ogni intervento consideri i vincoli di finanza pubblica, sarebbe perseguito tramite l’emanazione di provvedimenti normativi per un salario dignitoso, a chiara firma e responsabilizzazione politica.
Il terzo effetto, quello di non sostituire la contrattazione collettiva con un salario legale di difficile realizzazione, sarebbe ottenuto chiarendo, da un lato, le responsabilità delle stesse parti sociali nello stabilire il salario lordo e, dall’altro, la responsabilità politica nel perseguimento della riduzione delle disuguaglianze tramite la rimodulazione del carico fiscale.
Il quarto effetto – la riduzione del cuneo fiscale, che in Italia è fra i più alti dell’area Ocse – può essere perseguito più chiaramente mediante la diminuzione del carico fiscale sui redditi più bassi, perché questa permette di evidenziare, al contempo, la netta separazione fra lato fiscale e lato contributivo del cuneo, a volte confusi anche da fonti autorevoli.
L’individuazione per via fiscale del salario netto permetterebbe anche di stabilire eventuali trasferimenti diretti a favore dei percettori di redditi inferiori al limite imponibile, e la separazione di questa fase da quella della contrattazione del salario lordo, ridurrebbe la possibilità che una revisione del carico fiscale possa influire sulla determinazione di quest’ultimo.
In conclusione, per aumentare i salari reali più bassi e ridurre le disuguaglianze fra i redditi, più che puntare su un salario minimo conviene procedere verso una redistribuzione dei carichi fiscali e quindi una maggiore progressività dell’imposizione tributaria.
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