Tratto da lavoce.info
DI DILETTA CATTAN, studentessa presso l’Università di Trento in Studi Europei e Internazionali
E MARCO VISENTIN, research assistant a lavoce.info.
L’economia russa è dipendente in larga misura dalle esportazioni di materie prime e dall’importazione di tecnologie avanzate da Occidente e Cina. Le sanzioni approvate nelle ultime settimane potrebbero avere effetti pesanti nel lungo periodo.
La Russia è l’undicesima economia mondiale (dati 2017), sotto al Canada e sopra alla Corea del Sud. L’evoluzione del Pil reale negli ultimi trent’anni è strettamente legata alle vicende storiche attraversate dal paese. Con la caduta dell’Unione Sovietica, i primi anni della nuova Federazione Russa videro una severa crisi economica. Si tornò alla crescita solo a partire dal 1999 e, nel 2007, il paese è si è riportato ai livelli del 1990. Dopo un breve, ma intenso, crollo dovuto alla Grande Recessione, il Pil è tornato a crescere, raggiungendo i livelli precrisi nel 2011.
Guardando al ruolo delle sanzioni americane ed europee in risposta alla Crisi della Crimea del 2014, l’impatto sembra piuttosto limitato nel tempo: la crescita del Pil nel 2014 si è fermata a +0,7 per cento, mentre nel 2015 si è registrato un calo del 2 per cento. Tuttavia, già nel 2017 la crescita era tornata all’1,8 per cento, seguito dal +2,5 per cento del 2018. Sembra quindi che la Russia, pur continuando a procedere a rilento, sia riuscita a proteggere la sua economia dalle sanzioni occidentali.
Il Pil pro capite si attestava nel 2019 a 9.942 dollari del 2010: un dato notevolmente inferiore a quanto osservato nei paesi occidentali (in Italia era a 32.078 dollari e in Germania e Stati Uniti il valore era ancora più alto). Anche un confronto con la Polonia, paese dell’ex blocco sovietico che nel 1990 era più povero della Russia, rivela una situazione di sostanziale arretratezza: il Pil pro capite polacco è circa il 50 per cento più alto di quello russo.
Inoltre, recentemente la disuguaglianza del reddito in Russia è aumentata in modo tale che il reddito combinato dell’1 per cento di chi guadagna di più arriva al 20-25 per cento del reddito nazionale. Questo è comparativamente molto più alto dei paesi dell’Europa dell’Est, dove il primo 1 per cento del reddito rappresenta circa il 10-14 per cento del totale.
Dal 1996, la Russia ha sempre avuto una bilancia commerciale positiva, con una significativa variabilità nell’ammontare. Nel 2020, si è attestata a 73,6 miliardi di dollari. Questo risultato è dovuto in larga misura all’esportazione di combustibili e prodotti minerari, che hanno costituito nel 2020 il 51,5 per cento delle esportazioni di beni (e quote ancora più rilevanti negli anni precedenti). Al netto di questa componente, la Russia avrebbe registrato un deficit commerciale ogni anno a partire dal 1998. Tuttavia, bisogna anche osservare che negli ultimi anni la rilevanza delle esportazioni di prodotti agricoli e manifatturieri è cresciuta.
A partire dal 2011, la Russia ha messo in pratica una politica economica espansiva di forte incremento della spesa pubblica che, dopo aver toccato il minimo nel 2011 (con una percentuale del 23,3 per cento sul Pil), ha aumentato notevolmente il suo peso, soprattutto tra 2014 e 2015, in concomitanza con la crisi in Crimea. Il picco si è toccato nel 2016, quando la spesa pubblica rappresentava il 31 per cento del Pil.
Dal 2014, la Russia ha investito molto sull’accrescimento della capacità militare e negli ultimi tre anni la spesa dedicata all’ambito militare e della difesa ha raggiunto una media del 3,8 per cento del Pil, al di sopra di altre potenze, come Stati Uniti (3,4 per cento) e Cina (1,7 per cento), e, in generale, superiore alla media globale (2,4 per cento). Il paese si pone sopra alla Cina per capacità militare e per le sue reti di difesa nella regione asiatica, ma è anche lo stato che investe di più in difesa in Europa e, ancora oggi, possiede un arsenale militare inferiore solo a quello statunitense.
La spesa sanitaria pubblica è cresciuta negli ultimi anni fino al 5,5 per cento del Pil. Contrariamente alla spesa militare, questo è un dato molto basso rispetto ad altri paesi (l’Italia è all’8,7 per cento e la Germania all’11,7 per cento) e alla media dell’Unione Europea (9,92 per cento).
Prospettive di lungo periodo
Ci si può basare sull’impatto delle sanzioni americane ed europee legate all’annessione della Crimea per ipotizzare le conseguenze che la guerra odierna avrà nel lungo periodo, per quanto si tratti di due conflitti molto diversi fra loro. Questa ipotesi è supportata dai dati sul prezzo del gas: già prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il costo del gas è aumentato a 5,56$ per metro cubo, rispetto ai 2,08$ nel 2020, similmente a quanto accaduto tra il 2012 e il 2014, quando il prezzo era aumentato a 6,06$ da 3,01$ (Figura 5). La previsione è che il protrarsi del conflitto in Ucraina e le conseguenti sanzioni dei paesi occidentali continueranno a spingere verso l’alto i prezzi del gas in Europa.
Anche dal punto di vista della stabilità finanziaria, la crisi in Crimea rappresenta una buona base per cercare di comprendere possibili cambiamenti e conseguenze sull’economia russa. Infatti, il conflitto in Ucraina sta già determinando un aumento della volatilità finanziaria, come successe tra il 2013 e il 2014. Il tasso di inflazione in quegli anni era passato dal 6,45 per cento all’11,36 per cento e, se a dicembre 2021 era all’8,39 per cento, ora si attesta al 9,2, il livello più alto dal 2015.
Il congelamento di un vasto ammontare di riserve della banca centrale russa da parte di vari paesi occidentali dovrebbe impedire al paese di affrontare efficacemente la svalutazione del rublo e, quindi, l’elevata inflazione che seguirà. Tuttavia, bisogna considerare che la Russia continuerà a esportare gas e petrolio: l’obbligo per gli esportatori di convertire in rubli le valute occidentali con cui sono pagati potrebbe sostituire in parte le riserve congelate, tenendo sotto controllo l’inflazione.
Le sanzioni che probabilmente avranno l’effetto più significativo nel lungo periodo sono quelle legate alle importazioni di tecnologia: la Russia dipende dall’estero per vari macchinari e attrezzature industriali, senza i quali la sua competitività sarà fortemente limitata. Un esempio: senza la tecnologia straniera, la Russia non sarà in grado di modernizzare la sua industria petrolifera ed espanderla nell’Artico, una delle aree più promettenti. Le conseguenze sui patrimoni degli oligarchi russi si fanno già sentire. Resta da capire in quale misura la Cina sarà in grado di (e vorrà) proteggere l’alleato russo dagli effetti di queste misure.
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