Tratto da lavoce.info
DI PAOLO BALDUZZI, insegna Scienza delle finanze all’Università Cattolica ai corsi diurni e serali, triennali e magistrali
Tra i tanti paradossi del voto che emergono nella letteratura economica e politica, c’è quello relativo all’astensione: perché non andare a votare se il costo del voto è così basso? Ebbene, in realtà per qualcuno votare costa, e anche molto: si tratta di coloro che studiano o lavorano “fuori sede”.
Chi può votare fuori sede…
L’art. 48 della Costituzione, forse il più conosciuto (o, perlomeno, uno dei più citati), recita al secondo e quarto comma rispettivamente che il voto è “personale ed eguale, libero e segreto” nonché che il suo diritto non è limitabile “se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.
È evidente che tra il principio (un articolo della Costituzione) e la sua applicazione pratica bisognerà scendere a dei compromessi. Ma quando si tratta di diritto di voto l’impressione è che di compromessi se ne possono accettare davvero pochi. Addirittura, con legge costituzionale n. 1/2000, l’art. 48 è stato integrato dall’attuale comma 3 (in vigore dal 4/2/2000), che ha poi permesso, con legge 459/2001 (cosiddetta legge Tremaglia) e successivo regolamento (DPR 104/2003), di far votare anche i cittadini italiani residenti all’estero. Ai quali, peraltro, è garantita anche una minima quota di rappresentanza nelle due Camere.
Ma non ci sono solo gli italiani all’estero. E la legge lo sa. Difatti, una serie di ulteriori atti normativi riconosce che alcune categorie di elettori hanno diritto a esercitare il voto (elezioni politiche e referendum) anche in luoghi diversi da quello di residenza (un seggio diverso, ma anche in un comune o regione diversi). Si tratta, nello specifico, dei membri di un seggio elettorale, dei rappresentanti di lista presso il seggio, dei candidati alle elezioni, degli ufficiali e degli agenti della Forza pubblica, in servizio presso il seggio, degli elettori non deambulanti (dotati di certificazione), dei degenti in strutture ospedaliere, dei detenuti, dei ricoverati in case di cura, dei degenti in comunità per tossicodipendenti, dei militari delle Forze armate (nonché Polizia e Vigli del fuoco), dei lavoratori naviganti delle compagnie aeree e marittime che si trovino fuori residenza per motivi di imbarco (che ne abbiano fatto richiesta).
…e chi no
A questo lungo elenco mancano tutti gli altri lavoratori fuori sede ma, soprattutto, gli studenti fuori sede. Per queste ultime categorie di elettori, identici secondo la Costituzione ai precedenti, sono solamente previsti dei rimborsi parziali sul costo del biglietto del viaggio. Non essendo naturalmente possibile rimborsare, nemmeno parzialmente, il tempo utilizzato per esercitare il proprio diritto.
Quante persone sono interessate da questo problema? Secondo il libro bianco sull’astensionismo “Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, ultimato pochi mesi fa, sono quasi 5 milioni gli elettori che svolgono la propria attività lavorativa o frequentano corsi di studio scolastici o universitari in luoghi diversi dalla Provincia (o Città metropolitana) di residenza. Si tratta di una cifra non molto distante dal numero degli italiani residenti all’estero e iscritti all’Aire (Anagrafe per gli Italiani residenti all’estero), 5,8 milioni. Sono 1,9 milioni coloro che per rientrare al luogo di residenza attraverso la rete stradale impiegherebbero oltre 4 ore (tra andata e ritorno). Per il 14 per cento circa del totale (quasi 700 mila elettori, la quinta città italiana per dimensione dopo Roma, Milano, Napoli e Torino), invece, il viaggio complessivo (andata e ritorno) è superiore alle 12 ore.La normativa, come si anticipava, prevede sì un rimborso (parziale) del costo del biglietto. Tuttavia, è una soluzione che si ritiene insoddisfacente. Innanzitutto, ancora una volta, è casomai possibile rimborsare il costo del biglietto ma non certo il tempo di viaggio: e spostamenti di molte ore rendono certamente più probabile la rinuncia all’esercizio del voto da parte di queste categorie di elettori. Inoltre, per quanto riguarda il costo economico, un prezzo da pagare rimane: e ciò rende l’esercizio del voto diverso per chi si trova in questa situazione.
Se il voto deve essere “uguale” allora lo deve essere anche a parità di condizioni economiche: e quindi gratuito per tutti. Infine, si tratta, in ogni caso, di un costo per la comunità oltre che di un costo privato: e se si capisce perché un cittadino debba giustamente contribuire con le proprie imposte per rendere possibile le elezioni, più difficile giustificare l’obolo per le spese logistiche di altri elettori.
Alternative al voto in seggio: proposte e cosa fa il resto d’Europa
Qualcuno se la cava con una battuta: basta farsi nominare rappresentanti di lista; si tratta in effetti dell’unico modo di aggirare l’obbligo di ritorno al proprio luogo di residenza; tuttavia, vale la pena di ricordare che, se svolto seriamente, il lavoro di rappresentante è molto impegnativo e richiede un ammontare di tempo piuttosto lungo. In ogni caso, si tratta di una scappatoia e non è certo così che il legislatore può affrontare la questione.
Ci sono modalità (più serie) alternative al voto nel luogo di residenza? Certamente. Innanzitutto, si può pescare da quanto già offre l’ordinamento italiano: da un lato, sarebbe possibile votare fisicamente in un luogo diverso, stabilendo naturalmente dei criteri e delle certificazioni di domicilio, lavoro o studio per equiparare questi elettori a quelli già considerati dalla legge in vigore. È questo, per esempio, l’approccio scelto da una delle ultime proposte di legge in materia. La proposta di legge (Madia e altri) è stato depositata il 28 marzo 2019 in Parlamento ma il suo iter è cominciato solo due anni dopo, il 5 maggio 2021 e non è mai stato votata da parte di nemmeno uno dei due rami del Parlamento. A questa proposta, per completezza di informazione, la Commissione esaminatrice ne ha abbinate altre quattro di contenuto simile. Dall’altro lato, si può guardare all’estero. In due sensi. Il primo è riprodurre anche all’interno del paese la ricetta utilizzata per gli italiani residenti all’estero, che possono votare per posta (se possono loro, allora perché non gli italiani residenti in Italia?). Il secondo è quello di prendere a prestito una ricetta sperimentata in un altro paese. restando in Europa, La Figura 1 riproduce le modalità di voto alternativo al recarsi fisicamente al seggio che sono in vigore in altri i paesi europei. Sul web sono diverse le iniziative che raccolgono firme per favorire il voto dei fuori sede (per esempio, quella di www.iovotofuorisede.it). È possibile aderire a queste iniziative oppure chiedere esplicitamente ai candidati sul proprio territorio cosa pensano del fenomeno. E, se ci si tiene sufficientemente, condizionare il proprio voto alla risposta.
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