Tratto da lavoce.info
DI ANDREA CERON, Ricercatore in Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Milano
E ELISA VOLPI, ricercatrice in scienze politiche presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole
I cambi di gruppo parlamentare in corso di legislatura comportano un danno di immagine rilevante, con i partiti che reagiscono di conseguenza. Non tutte le strategie, però, sono efficaci allo stesso modo.
Le defezioni parlamentari (switches), dovute a politici che cambiano gruppo parlamentare, possono danneggiare la reputazione del partito, producendo un grave danno di immagine agli occhi degli elettori, con conseguenze negative sulla performance elettorale. In un nostro recente articolo pubblicato sullo European Journal of Political Research, mostriamo che i partiti reagiscono a tale danno di immagine investendo sulle valence, ossia su caratteristiche positive apprezzate da tutto l’elettorato, per ristabilire la propria reputazione agli occhi degli elettori: modificano il programma elettorale enfatizzando la propria competenza, lealtà e chiarezza e si concentrano su pochi temi sostantivi sui quali detengono un vantaggio reputazionale. Strategie effettivamente utilizzate, ad esempio, da Boris Johnson, con il suo slogan “get Brexit done”, e più recentemente da Beppe Grillo nel suo colorito attacco ai transfughi, definiti “zombie”, contrapposti ai parlamentari grillini rimasti invece fedeli al mandato degli elettori.
I cambi di casacca, in Italia e in Europa
Storicamente, già a partire dal trasformismo parlamentare di De Petris a fine ottocento, l’Italia detiene il primato in tema di defezioni parlamentari. Nella legislatura che si avvia alla conclusione, ci sono stati 415 cambi di casacca, ad opera di 280 parlamentari, numeri vicini al record raggiunto nella legislatura precedente quando si verificarono 566 cambi di gruppo.
Nonostante questi record, il fenomeno degli switches avviene anche in altri paesi. Analizzando i dati su 14 democrazie europee, dal 1945 al 2015, abbiamo registrato complessivamente 2053 cambi di casacca; il 70 per cento dei partiti analizzati (94 su 135) è stato vittima almeno una volta di defezioni in questo arco temporale. La Francia mostra livelli di trasformismo analoghi ai nostri, ma anche Spagna, Norvegia, Svizzera, Grecia e Irlanda registrano spesso valori sopra la media (Figura 1).
Figura 1 – Percentuale di defezioni parlamentari annue in ciascun paese (1945-2015)
L’importanza delle valence
In campagna elettorale, i partiti competono adottando posizioni diverse, spesso alternative, sui temi di policy al centro dell’agenda politica: per esempio, pro o contro il reddito di cittadinanza, la costruzione di inceneritori, l’aumento delle pensioni minime o il bonus per i 18enni. Sono temi, questi, sui quali gli elettori hanno solitamente visioni diverse: alcuni saranno favorevoli mentre altri si opporranno a una data politica.
Accanto a questa competizione “posizionale”, però, esiste anche una competizione “valoriale”: i partiti competono sulle valence per mostrarsi migliori dei rivali su tematiche e caratteristiche apprezzate dall’intero elettorato. I più classici esempi di valence sono la competenza, l’onestà e l’unità. Tutti gli elettori (o quasi) preferiscono un partito onesto, competente ed unito, rispetto a uno corrotto, incapace e dilaniato da lotte intestine. L’unità del partito è dunque una delle principali caratteristiche di valence che gli elettori tengono in considerazione. Precedenti studi hanno dimostrato che divisioni interne e spaccature riducono il livello di valence del partito che le subisce, producendo giudizi negativi da parte degli elettori sulle effettive capacità di quel partito di governare, con conseguenti effetti dannosi sulla performance elettorale.
Da questo punto di vista, gli switches possono essere particolarmente nocivi. Le defezioni parlamentari costituiscono una minaccia al legame tra elettori ed eletti perché alterano il mandato elettorale trasmesso al momento del voto (quando ciascun candidato si era presentato all’interno della lista di uno specifico partito) e rendono più difficile l’accountability al termine del mandato (perché la specifica accoppiata partito-candidato non esiste più). Più in generale, gli switches rendono evidente l’esistenza di divisioni interne, segnalano agli elettori l’incapacità della leadership di mantenere l’unità e di saper selezionare parlamentari fedeli, minacciando la credibilità e la reputazione dell’intero partito. Gli elettori possono infatti legittimamente chiedersi perché votare quel determinato partito, se esiste il rischio che molti dei suoi parlamentari cambieranno casacca, come già accaduto in passato.
Come reagire ad un danno di valence?
Analizzando dati del Comparative Manifesto Project su 1131 programmi elettorali di 135 partiti europei (colpiti, o meno, da switches) nell’arco di 70 anni, e mettendo in relazione queste strategie elettorali con un nuovo dataset che misura il numero di switches subiti da ciascun partito nel periodo pre-elettorale, abbiamo osservato che la principale soluzione adottata per rispondere a tale danno è esattamente quella di focalizzarsi su alcuni elementi di valence, per cercare di ristabilire un livello reputazionale più adeguato a sostenere la battaglia elettorale.
In effetti, i partiti colpiti da switches investono di più in valence rispetto ai partiti che non hanno avuto transfughi. L’analisi statistica indica che, maggiore la percentuale di transfughi, maggiori saranno l’enfasi sulla competenza, la chiarezza e la semplificazione del programma e l’attenzione a tematiche di policy apprezzate dalla base del partito (Figura 2).
Si delineano così tre analoghe e concrete modalità di risposta. Primo, i partiti possono rivendicare la propria competenza e lealtà, dichiarandosi in grado di risolvere i problemi, di adottare scelte coerenti con le promesse fatte e attaccando i “traditori” fuoriusciti dal partito. Una seconda soluzione mira ad enfatizzare la chiarezza del proprio programma, adottando posizioni nette, evitando ogni ambiguità. La terza strategia consiste nel focalizzarsi su un numero ridotto di tematiche, incrementando l’attenzione verso quelle su cui il partito detiene un vantaggio competitivo rispetto ai rivali. Tutte queste strategie contribuiscono a migliorare la propria reputazione.
Due esempi recenti: Grillo e la Brexit
Queste strategie sono state adottate da alcuni partiti che hanno recentemente sofferto importanti defezioni parlamentari. In Italia, il Movimento 5 Stelle ha subito un numero impressionante di switches, individuali e collettivi: da Italexit di Paragone ai parlamentari di Alternativa, da Insieme per il Futuro di Di Maio fino ai casi più recenti dell’ex capogruppo Crippa e del ministro D’Incà. Di fronte a questa ondata di defezioni, Grillo ha avviato la campagna elettorale dei pentastellati con un post (tanto discutibile quanto potenzialmente efficace) in cui ha pesantemente attaccato i transfughi definendoli “zombie”, elogiando invece i parlamentari grillini rimasti fedeli al mandato degli elettori.
Nel Regno Unito, di fronte al dissenso interno e alle defezioni avvenute a poche mesi dalle elezioni del dicembre 2019, il leader dei conservatori, Boris Johnson, decise di adottare una linea chiara e netta sul tema della Brexit. Il suo programma elettorale si apriva con un messaggio forte, ripetuto più volte, riga dopo riga: “get Brexit done… get Brexit done… get Brexit done” (realizzare la Brexit). Questa strategia si rivelò vincente nel superare il danno di immagine prodotto dalle spaccature interne e consentì a Johnson di ottenere una netta vittoria elettorale ed una ampia maggioranza parlamentare. Di fronte a scandali, debolezze o danni di immagine, il primo passo per sperare in una buona performance elettorale sembra quindi essere quello di ristabilire una reputazione positiva agli occhi degli elettori.
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