Quell’inutile e pericoloso ponte sullo Stretto di Messina…
In relazione agli impegni che alcuni uomini politici si assumono di intraprendere, dopo la vittoria del proprio partito, nelle elezioni politiche nazionali italiane del 25 settembre, vi è anche la costruzione del ponte.
A prescindere dalla vera e reale necessità per la Sicilia, di eseguire un ponte, viste tutte le altre opere strutturali e viarie mancanti nell’isola, qualsiasi persona di buon senso, avrà sicuramente avuto nozione che la regione siculo-calabra, sotto l’aspetto sismologico, è una delle più instabili esistenti in tutta l’Europa.
Il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908, alle ore 5,20 del mattino, interessò ambedue le sponde dello stretto, sia quella di Messina e sia quella di Reggio Calabria per circa 90 chilometri di estensione, fino all’isola dei Vespri, con molto più di centomila morti e distruzione del novanta per cento dei fabbricati, ed oltre il decimo grado della scala Mercalli.
Ma ciò che devesi ricordare è che il maremoto fu con onde alte dai tre ai sei metri e che la repentina subsidenza del litorale fu di oltre settanta centimetri di abbassamento istantaneo.
Quando si tratta di opere così importanti, per imponenza, per dimensioni, per costi e per il coinvolgimento della vita futura delle persone che si troverebbero presenti su una complessa e pesante struttura veicolare e ferroviaria, come è un ponte per collegare le due coste, occorrerebbe un grande senso di responsabilità in certe scelte che possono coinvolgere poi migliaia di cittadini.
Allo scopo si era già espresso nel 1873 il professore austriaco Eduard Suess, dicendo che in quel luogo è naturale aspettarsi periodicamente, sotto l’aspetto sismologico, dei ritorni di eventi oltremodo disastrosi, che non possono certamente rappresentare nulla di straordinario e di inaspettato.
Infatti la grande frattura che ha per centro le isole Eolie, comprende anche la zona dello stretto ed è oltremodo insano pensare di costruire un ponte che sarebbe eccessivamente vulnerabile quando si ripresenterà nel futuro lo stesso disastroso evento sismico del 1908.
Allo stesso modo ebbe ad esprimersi il professor Luigi De Marchi, gran maestro della geofisica italiana, in una delle sue opere circa la incoscienza e la improvvisazione con cui l’uomo a volte edifica, senza troppo riflettere, né pensare che lo sta facendo “sulle scorie di d’un altoforno che, molto lentamente, si raffredda”.
E queste scorie dureranno a raffreddarsi ancora milioni e milioni di secoli.
Infatti quelle terre ridenti; baciate dal sole e dal mare che assurgono a mirabile plaga, cui arride, nei limpidi e calmi mattini, il fenomeno ottico della “Fata Morgana”, simile al consueto miraggio che proprio su quello stretto sovente si osserva (a causa di naturali fenomeni fisici per la presenza di strati atmosferici di diversa densità che provocano immagini fluttuanti di rifrazione e riflessione), si trovano, dette terre ridenti e memori di tutta l’arcaica bellezza mitologica, però costantemente sull’orlo di un abisso sismico nella grande conca del Tirreno.
Silvio Di Giovanni