– Avere troppi argomenti è come non averne nessuno. Quando si legge la cronaca, l’azione di governo è protagonista. D’altra parte, l’uomo-spettatore non guarda mai troppo lontano. Se poi l’uomo è del PD, il suo sguardo fatica ad andare oltre il proprio ombelico per via di un riflesso condizionato dall’abitudine al potere: la parola-chiave di quel che si andrà scrivendo.
In assenza di un Parlamento consapevole di essere espressione della volontà popolare, anziché della scelta di partiti tenuti in vita da una legge elettorale di comodo, il potere è del governo: lui amministra, lui legifera, lui nomina i propri rappresentanti in Authority e partecipate pubbliche. In Italia, il potere di governo è esercitato da una donna che si è accorta che, in mancanza di risultati concreti, può raccontare sé stessa: narrazione esaltata dal testosterone di uomini di governo senza arte né parte.
La salvifica rivelazione al popolo della presidente del Consiglio: la sua è una ‘finanziaria politica’, non racconta invece nulla di nuovo. Ogni atto di governo è politico ed è espressione di un potere, inteso come facoltà cui altri sono soggetti. In quest’ordine di idee, non esiste la distinzione tra governi tecnici e governi politici. Politico è stato pure il potere che ha gestito la cosa pubblica dei vituperati governi Monti e Draghi, il cui mandato era nientepopodimeno che evitare il fallimento dell’Italia. Il problema è se il governo Meloni, oltre ad essere espressione di un potere politico, è almeno un po’ tecnico nel suo esercizio, ossia se ha sufficienti competenze tecniche e consapevolezza costituzionale.
Non è mai stato facile gestire il potere e il consenso sociale che può minarlo. In una società dove tutto è digitalmente noto, c’è bisogno dell’ignoto, del mistero, del complotto. Il colpo da maestro della diplomazia del governo italiano è stato quello di spostare l’attenzione dalla manovra finanziaria alle organizzazioni non governative (ONG) che con le loro navi s’azzardano a salvare i migranti in mare, senza per questo essere causa di tali traffici (giudizio confermato anche di recente, valutando i dati forniti da Frontex e dal ministero degli Interni italiano: Mira, 2022). In pratica, per contestare lo sbarco di 200 persone salvate da una ONG si è dato il pretesto alla Francia di bloccare quel che non era mai iniziato: la ripartizione su base volontaria di 8.000 migranti. In breve: politica simbolica per morti reali.
Ma non è stato l’unico colpo da maestro del potere alla ricerca di consenso sociale. Si può solo immaginare la strenua resistenza esercitata dal ministro della Giustizia Nordio che, dopo una vita passata a contestare — giustamente — le troppe, le inutili, le abborracciate fattispecie penali dell’ordinamento italiano, si ritrova in un governo che abbozza in decreto-legge un’ennesima, inutile, abnorme fattispecie penale sui cosiddetti rave. Ministro che ben potrebbe dolersi di essere vittima di complotti all’interno della sua maggioranza (l’opposizione risulta ancora non pervenuta), giacché non fa poi in tempo a dichiarare guerra alle troppe intercettazioni autorizzate dalla magistratura che subito viene fatto trapelare come, in sede di conversione del decreto-legge, i miglioramenti della stessa disposizione sui rave non toccheranno la possibilità di svolgere proprio le intercettazioni.
Sulla carta ci sarebbero altri argomenti che richiedono impegnativi atti di potere esercitati a favore della comunità. Alla conferenza delle Nazioni Unite di Sharm El Sheik sul clima (COP 27, numero che sta per le conferenze finora dedicate al tema), nessun passo concreto è stato fatto per incidere sulle cause del riscaldamento climatico. In Ucraina, invece, i continui bombardamenti d’infrastrutture civili aggiungono nuovi crimini di guerra a un’aggressione militare che darà lavoro ai tribunali internazionali, se ancora si avranno corti di giustizia in grado di tutelare la pace dei popoli e l’incolumità delle persone. Ma le notizie su clima e Ucraina pagano lo scotto di un’assenza: la novità. L’attenzione ha ormai i ritmi e sceneggiature di una serie Netflix: non importa come va a finire la storia, se tutto rimane in movimento.
La novità potrebbe allora essere il potere contestato da proteste popolari: ormai morte in Russia, vive in Iran, nascenti in Cina. La morte della protesta in Russia fa però rientrare dalla finestra quel che si è appena chiuso con la porta per mancanza di novità (l’invasione dell’Ucraina). Rimane speranza per l’Iran, dove giovani, genitori, nonni, e pure giovani che ancora non sono, perché bambini, lottano contro una oligarchia teocratica, maschilista, stupida. Un pasticcio sociale che camuffa di religione la solita posta in gioco: il potere.
Il potere così si dimostra un filo conduttore utile per interpretare anche quanto avviene in Cina, con le inedite proteste popolari contro la politica zero-covid e i lockdown imposti dal governo di Pechino. Un potere che si è appena auto-confermato con i fasti idolatri di un partito monocellulare. Un potere che tutto controlla e tutto vede della vita fisica e digitale della Cina; un potere che ora scopre come pure la fisiologia dell’enorme corpo cinese ha bisogno di spazi di libertà, oltre che di un’economia in incremento da due cifre.
Di fronte a questo potere, dagli inediti aspetti tecnologici, industriali, demografici, storici, l’attenzione si divide tra azione e reazione, tra governati e governanti. Un tratto culturale più forte in Cina che altrove è, infatti, il ‘non perdere la faccia’. Se il potere cinese fosse costretto a rimangiarsi in toto la politica zero-covid, data la minore efficacia del vaccino cinese e lo stato della sanità pubblica del Paese più popoloso al mondo, l’esperienza russa in Ucraina potrebbe essere presto dimenticata occupando la scena con azioni di forza, per esempio, con l’occupazione di altre isole nel mare cinese, in accerchiamento militare a Taiwan. Gli effetti sarebbero più gravi di quelli russi: la Cina moderna è una potenza giovane con nessuna esperienza militare su larga scala. L’occupazione del Tibet, le scaramucce di confine con l’India, la repressione degli uiguri (etnia turcofona dello Xinjaiang) non sono esempi utili perché troppo diversi dalla questione taiwanese: in pratica non ci sono modelli predittivi per mancanza di esperienze pregresse.
Il potere è dunque per la politica quello che il denaro è per la lotta alla criminalità organizzata: se lo si segue si trovano risposte e si può persino, trovare un filo conduttore tra politica nazionale e politica estera. C’è invece da preoccuparsi quando, in nome di una politica dell’apparire, del contingente, dei piccoli interessi, il potere e il denaro battono le stesse strade; quando la corruzione si riaffaccia anche in contesto europeo, con molti tratti italiani; quando le organizzazioni criminali preferiscono il silenzio al clamore, l’affare al conflitto armato con lo Stato; quando, insomma, la politica ammicca, condona, rinuncia a considerare il denaro come espressione di un potere che può essere legittimato solo se rimane strumento di giustizia per l’uomo e la sua società.
Contraltare del potere in uno Stato democratico è la protesta che non trascende nella violenza fisica contro persone e cose. È quanto sta accadendo anche in Germania con il movimento globale, per statuto non-violento, ‘The last generation (L’ultima generazione), che contesta l’inefficacia delle politiche climatiche con cortei, blocchi stradali, lancio di liquidi su quadri protetti da vetri e altre forme di disobbedienza civile. Il movimento chiede alla politica passi concreti e, in Germania, dopo le richieste di modifiche della legge che impedisce di dare in beneficienza per ragioni igieniche prodotti alimentari in scadenza, sul modello italiano e francese, ha ora individuato altri due passi concreti: l’introduzione di un limite di velocità (le autostrade tedesche non hanno un limite generale di velocità) e il biglietto da 9€ mensili per servirsi del servizio di trasporto pubblico locale, così come era stato introdotto dal governo tedesco per i tre mesi estivi dopo la pandemia. Il disagio creato da queste azioni di protesta ha trovato reazioni vivaci di una parte della popolazione; accostamenti con la violenza dei terroristi, da parte di alcuni politici; sanzioni pecuniarie, custodia cautelare preventiva di polizia (fino a un mese, rinnovabile) e un divieto generalizzato di manifestazione (per un mese) da parte del governo regionale bavarese.
È una pessima notizia per la democrazia.
*Professore, Cattedra di Diritto Penale, Direttore Centro Studi Giuridici Europei Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Urbino
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