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Home Economia

Economia. Capitali cinesi per le batterie made in Europe

Redazione di Redazione
14 Giugno 2023
in Economia
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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Vignetta di Cecco

Vignetta di Cecco

DI MONICA BONACINA, docente a contratto presso varie università (tra cui l’Università dell’Insubria).

E ANTONIO SILEO, ricercatore associato presso la Fondazione Eni Enrico Mattei.

 

Dal 2017 gli investimenti greenfield in Europa delle aziende cinesi sono diretti verso impianti di produzione di batterie per veicoli elettrici, rafforzando il ruolo di fornitori chiave per i costruttori europei. Le implicazioni sotto il profilo ambientale.

La domanda di auto elettriche

Sospinta da normative e incentivi, la domanda di auto a batteria (elettriche e ibride plug-in) è aumentata a un tasso medio annuo prossimo al 130 per cento, con una crescita piuttosto eterogenea: +60 per cento negli Stati Uniti, +130 per cento in Europa, +160 per cento in Cina. Nel giro di pochi anni, le differenze – che riflettono anche il diverso sostegno politico allo sviluppo di una mobilità privata a batteria – hanno prodotto enormi discrepanze nella distribuzione geografica della domanda, dell’offerta e degli investimenti necessari ad adeguare la produzione alle nuove richieste.

Nel 2022, per ogni dieci auto elettriche e plug-in prodotte, sei sono state acquistate in Cina, due in Europa, una negli Stati Uniti. Nello stesso anno, il 60 per cento della produzione di auto è avvenuta nell’area asiatica (Cina, Giappone e Corea), il 20 per cento in Europa, il 15 per cento in Nord America (fonte Acea). Sotto lo stimolo eterogeneo della domanda, e ancor di più delle norme, sono poi cresciuti gli investimenti privati negli input essenziali per la produzione di auto elettriche e ibride plug-in, primo fra tutti le batterie. Anche le auto ibride non ricaricabili, molto apprezzate in Italia e non solo, adottano sempre più batterie a litio, le stesse delle elettriche, benché più piccole.

Se all’inizio gli investimenti in fabbriche di batterie rappresentavano un’urgenza produttiva – senza quell’input essenziale non ci sarebbe stato alcun output – con il tempo hanno assunto anche una valenza strategica: nel caso delle auto elettriche, almeno un terzo del valore aggiunto è rappresentato dalle batterie.

Gli investimenti diretti cinesi in Europa

L’Europa è dunque il secondo mercato per immatricolazioni di auto a batteria, eppure, a differenza della Cina e di altri paesi produttori di auto (Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti) non ha investito in fabbriche di batterie e non ha neppure sviluppato un know-how dedicato.

In questo contesto, non poteva passare inosservato il rapporto dei centri studi Merics e Rhodium Group sugli investimenti diretti esteri (Ide) della Cina in Europa. Lo studio evidenzia una contrazione nei livelli assoluti di investimento e un cambiamento nel peso relativo delle tipologie (merger & acquisition rispetto a greenfield). Tra il 2016 e il 2022, gli Ide di Pechino nel Vecchio Continente passano da 47,7 a 7,9 miliardi di euro. In termini relativi si ha un’inversione del peso percentuale di investimenti M&A e greenfield: 97 per cento contro 3 per cento nel 2016; 43 per cento contro 57 per cento nel 2022 (figura 2).

In particolare, già dal 2017, a dominare gli investimenti greenfield delle aziende cinesi sono stati quelli in impianti di produzione di batterie per veicoli elettrici. Calt ha investito 7,6 miliardi di euro in Ungheria nel 2022 e 2 miliardi in Germania nel 2018, Geely, che dal 2010 possiede Volvo, 2,6 miliardi nel Regno Unito nel 2017, Envision 2 miliardi in Francia nel 2021, SVolt 2 miliardi in Germania nel 2020 e 450 nel Regno Unito nel 2021.

La produzione di batterie in Europa offre diversi vantaggi alle aziende cinesi, che possono aggirare i dazi doganali, abbattere le spese di trasporto e, forse più di tutto, proteggersi dalle tensioni politiche che possono ripercuotersi sul commercio; il riferimento è alla crisi con Taiwan.

La svolta degli investimenti rientra anche in un più generale cambiamento nella direzione degli Ide cinesi legati alla mobilità elettrica. Dopo essersi assicurate il controllo delle materie prime con investimenti in Congo, Indonesia e Cile, le aziende cinesi si sono impegnate nell’installazione di capacità manifatturiera, in particolare di batterie, in prossimità o all’interno dei mercati finali. Che ciò rappresenti o meno un beneficio per i consumatori finali e, più in generale, per le economie ospitanti è un altro discorso. È chiaro, tuttavia, che attraverso gli investimenti greenfieldin Europa le aziende cinesi oltre a produrre autovetture – e sempre più numerosi sono i modelli non solo elettrici acquistabili – puntano a rafforzare il ruolo di fornitore fondamentale per i costruttori europei di autoveicoli.

 

E per quanto riguarda gli aspetti energetici e ambientali? L’impatto ambientale dei mezzi elettrici dipende dal mix di generazione dell’energia utilizzata in fase di alimentazione e di produzione sia dei veicoli sia delle batterie. Dunque, sul piano ambientale il paese in cui vengono prodotte le batterie ha una certa importanza.

Oggi nell’Ue il mix di generazione elettrica, benché destinato a migliorare, resta molto eterogeneo. In alcuni paesi, a cominciare dalla Polonia, pare ancora davvero poco conveniente usare, e ancor più produrre, autoveicoli elettrici.

Il divario tra i fattori di emissione comporta una diversa competitività ambientale tra paesi. La Germania è meno appetibile dell’Ungheria che, a sua volta, è lontana dalla virtuosità di Francia e Svezia. La Francia, peraltro, forte anche di un basso costo dell’energia, ha convinto ProLogium a investire – per la prima volta oltre i confini di Taiwan – 5,7 miliardi di euro a Dunkerque. L’annuncio è stato dato addirittura dal presidente Emmanuel Macron nel presentare un disegno di legge con incentivi per l’auto elettrica legati, similmente agli Stati Uniti, all’origine (europea) della produzione.

Per i prossimi anni nella competizione tra paesi europei per attrarre investimenti automobilistici crediamo sia facile prevedere una crescente attenzione ai costi (la produzione di autoveicoli elettrici è molto più energivora), ai consumi energetici e alle emissioni legate a questi ultimi. Del resto, è già previsto nel regolamento (Ue) 2023/851 (quello che avrebbe dovuto contenere il discusso bando alle auto endotermiche) che le emissioni di CO2 dovranno essere valutate durante l’intero ciclo di vita delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri.

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