Tratto da lavoce.info
DI GIANMARCO OTTAVIANO, professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi
Gli attacchi degli Houthi sono un problema per il commercio internazionale di tutte le imprese europee. Ma lo sono soprattutto per le esportazioni delle aziende meno competitive e più piccole che rischiano di sparire dai più dinamici mercati asiatici.
Le due rotte delle merci
Dall’inizio degli scontri tra Israele e Hamas nello scorso ottobre, gli houthi, un gruppo di ribelli yemeniti sostenuto dall’Iran, hanno annunciato il loro sostegno al movimento palestinese, intensificando i loro attacchi con droni e razzi contro navi di proprietà straniera che trasportano merci attraverso lo stretto di Bab al-Mandab. Si tratta del braccio di mare, largo una trentina di chilometri, che collega il golfo di Aden al Mar Rosso, frapponendosi tra Eritrea e Gibuti sulla sponda africana e Yemen sulla sponda asiatica.
È la rotta più breve della figura 1, che le navi solitamente prendono per attraversare il Canale di Suez e trasportare le loro merci tra Asia e Europa. Per questa ragione, Suez è considerato uno dei centri nevralgici degli scambi internazionali. Si stima, infatti, che circa il 12 per cento del commercio globale e il 30 per cento del traffico globale di container lo attraversino, trasportando merci per un valore di circa mille miliardi di euro all’anno. Mediamente ogni giorno lo percorrono 50 navi, con carichi da un valore complessivo tra circa 3 e 9 miliardi di euro e un peso di circa un miliardo di tonnellate, un tonnellaggio paragonabile a quattro volte quello del traffico transitante attraverso il Canale di Panama tra Oceano Pacifico e Oceano Atlantico. Si calcola che circa il 15 per cento delle merci importate in Europa, Medio Oriente e Nord Africa arrivi dall’Asia e dai Paesi del Golfo via mare, tra cui il 21,5 per cento del petrolio raffinato e oltre il 13 per cento del petrolio greggio. Tutto ciò fa di Suez una delle arterie commerciali più importanti e trafficate del mondo, e dello stretto di Bab al-Mandab un passaggio strategico fondamentale per il commercio globale.
I ripetuti attacchi houthi hanno dirottato il traffico navale sulla rotta alternativa molto più lunga illustrata nella figura 1, cioè quella che collega Europa e Asia circumnavigando il continente africano al largo del Capo di Buona Speranza in Sudafrica. Per esempio, come riportato nella figura, la distanza di navigazione tra Singapore e Rotterdam attraverso il Canale di Suez è di circa 8.440 miglia nautiche (circa 14.230 chilometri) mentre il percorso che doppia il Capo di Buona Speranza copre circa 11.770 miglia nautiche (circa 18.860 chilometri). Per le navi portacontainer, il maggior chilometraggio richiede da otto a dodici giorni in più di viaggio. Per quelle portarinfuse, cioè per le navi che trasportano tutto ciò che non è in container o liquido e che tipicamente mantengono una velocità media più bassa, si parla invece di tempi di viaggio dilatati tra gli undici e i diciotto giorni in più.
Per capire la rilevanza della maggiore distanza, che implica maggiore durata e quindi maggiori costi di trasporto, si può fare ricorso a semplici calcoli basati sull’osservazione empirica che il commercio tra due paesi è promosso dalle dimensioni dei loro mercati interni e ostacolato dalla loro distanza reciproca. In particolare, si stima che un aumento di 1 per cento della distanza è associato mediamente a un calo dello 0,85 per cento delle esportazioni. Nel nostro esempio, una nave costretta a circumnavigare l’Africa per collegare Singapore e Rotterdam si ritrova a dover fare un tragitto che è circa il 40 per cento più lungo di quello attraverso Suez. Dato che un aumento di 1 per cento nella distanza è associato a un calo delle esportazioni di circa 0,85 per cento, l’evidenza empirica suggerisce che ci dobbiamo aspettare che il commercio bilaterale tra Singapore e Rotterdam scenda di circa in terzo (40×0.85%=34%). Per quanto approssimativo, il calcolo non è poi così lontano dalla massima riduzione osservata in queste settimane nel traffico marittimo nei sei principali porti italiani.
Gli effetti sulle imprese esportatrici
Mentre il dibattito pubblico su questi temi si concentra soprattutto sul commercio a livello di paesi o di settori, un aspetto interessante spesso trascurato riguarda il possibile impatto di un prolungato dirottamento dei trasporti navali sulle singole imprese esportatrici. Il calo del commercio bilaterale tra Europa e Asia è infatti determinato da due effetti concomitanti. Da un lato, l’aumento della distanza da percorrere (e quindi dei relativi costi di trasporto) provoca una riduzione delle esportazioni medie per impresa esportatrice. Dall’altro, causa anche una diminuzione del numero delle imprese che esportano.
La ragione del secondo effetto risiede nel fatto che in ogni settore ci sono imprese più o meno competitive. Quelle più competitive sono più grandi e continuano a esportare perché riescono ad assorbire i più alti costi di trasporto grazie a margini di profitto più sostanziosi. Esporteranno magari meno, ma rimarranno comunque attive sui mercati globali. Non avendo gli stessi ampi margini, alcune imprese meno competitive e più piccole saranno invece costrette ad abbandonare la loro presenza internazionale.
L’evidenza empirica mostra che la riduzione del numero di imprese attive è un fattore molto importante, che spiega circa tre quarti dell’impatto negativo della maggiore distanza sui flussi di commercio. Nel nostro esempio, del calo previsto del 34 per cento negli scambi tra Rotterdam e Singapore, il 25,5 per cento dipenderebbe dalla riduzione nel numero di imprese esportatrici e soltanto il 9,5 per cento da quella delle esportazioni medie delle imprese che, pur continuando a esportare, esportano meno.
Se continueranno, gli attacchi degli houthi saranno un problema per il commercio internazionale di tutte le imprese europee, ma soprattutto per quello delle imprese meno competitive e più piccole che rischiano di sparire dai più dinamici mercati asiatici.
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