SPIEGA L’ESPERTO: rubrica a cura di Daniela Sammarini
Capodanno 2024: brindisi alcol tolleranza zero, non resta che il gusto
Creato da Dario Di Maria, maitre e docente di sala presso Scuola di Ristorazione IAL di Riccione
Capodanno 2024 un brindisi a zero tolleranza alcol, ma non di gusto, così abbiamo pensato di creare un cocktail analcolico delizioso appartenente alla famiglia degli sparkling, perchè non si può pensare ad un cin cin senza bollicine.
Per brindare al nuovo anno 2025 nasce “Kir Romagnolo Analcolico”
preparazione:
In un bicchiere flute aggiungere
2 cl di Saba romagnola,
10 cl di Ginger Ale raffreddato precedentemente.
Come tocco finale aggiungere una scorza di arancia.
Si è voluto dare il nome di “Kir Romagnolo Analcolico”, prendendo spunto dal famoso cocktail francese “Kir Royal” con crème de cassis, un liquore a base di ribes e champagne.
Nel Kir Romagnolo è stata messa la Saba Romagnola (sciroppo dolce ottenuto dalla lenta bollitura del mosto) al posto della crème de cassis e aggiunto il ginger ale, che grazie al colore dorato e alla bollicina, dà sapore e freschezza, pensate che in alcuni casi viene usato anche come variante analcolica dello Champagne.
Tocco finale, la scorza di arancia, dona il profumo di agrumato, ben apprezzato in inverno.
Gli ingredienti usati, ginger ale e Saba, sono prodotti ingegnosi carichi di sapori e di storia.
GINGER ALE: bibita frutto di uno studio o causalita’ fortunata?
In una piccola cittadina dell’Irlanda nel 1800, un farmacista un po’ strambo di nome Fergus O’Fizz era noto per i suoi esperimenti con erbe e spezie. Fergus era ossessionato dall’idea di creare una bevanda che curasse il mal di stomaco, ma che fosse anche piacevole da bere.
Un giorno, mentre armeggiava con zenzero, zucchero e acqua frizzante, il suo gatto, Mr. Bubbles, decise di tuffarsi accidentalmente in una ciotola piena di liquido. Fergus, cercando di salvare il suo gatto bagnato e zuccheroso, fece cadere della soda in fermentazione in una bottiglia di sciroppo allo zenzero.
La miscela iniziò a ribollire in modo sospetto, e il povero Fergus pensò che stesse per esplodere. Invece, quando il liquido si calmò, ne assaggiò un sorso e scoprì con sorpresa che il sapore era delizioso e leggermente piccante. I suoi clienti lo amarono subito.
E così nacque il ginger ale, grazie a un farmacista creativo e a un gatto con un debole per le bollicine. Sinceramente… questa è una versione divertente creata per diletto.
In realtà, il ginger ale fu sviluppato come bevanda rinfrescante e curativa grazie alle proprietà dello zenzero, ma non è bello immaginare che Mr. Bubbles abbia avuto un ruolo?
Tornando alla realta’ diciamo che il ginger ale è una bevanda analcolica a base di zenzero che ha una storia interessante legata sia alla salute che al gusto.
È nata nel corso del XIX secolo e ha origini principalmente in Irlanda e Canada.
Le origini del ginger ale
Influenza dello zenzero nella medicina:
Lo zenzero è stato a lungo usato come rimedio naturale per problemi di digestione e nausea. In Europa, già nel Medioevo, si preparavano bevande speziate allo zenzero, ma il ginger ale come lo conosciamo oggi è un’invenzione più recente.
Prima versione in Irlanda:
La prima forma di ginger ale nacque in Irlanda intorno al 1851. Questa prima versione era più “golden” (dorata) e molto dolce, ma non aveva ancora raggiunto la popolarità internazionale.
La svolta canadese
Creazione del “Canada Dry”: Nel 1904, un farmacista canadese di nome John McLaughlin perfezionò la ricetta e creò una versione più chiara e secca di ginger ale, chiamata “Canada Dry”. Questo prodotto ebbe un enorme successo grazie al suo gusto più equilibrato, meno dolce e più adatto per essere miscelato con altre bevande.
Utilizzo durante il Proibizionismo (1920-1933): Durante il Proibizionismo negli Stati Uniti, il ginger ale divenne particolarmente popolare perché veniva usato per mascherare il gusto dei liquori fatti in casa, spesso di bassa qualità. Questo contribuì a rendere la bevanda ancora più diffusa.
Saba dell’Emilia-Romagna, in Romagna sapa
Sciroppo dolce ottenuto da lenta e prolungata bollitura del mosto, generalmente di uve bianche. Colore dall’ambra al rosso, odore intenso di caramello, sapore mielato, sapido e vellutato.
Un po’ di storia
E’ tradizionalmente preparato nelle campagne dal secolo scorso fino alla fine degli anni Cinquanta.
Saba è il termine dialettale usato in Emilia-Romagna per indicare questo prodotto a base di mosto, anche conosciuto con il nome Sapa.
Vincenzo Tanara, agronomo e gastronomo bolognese del XVII secolo, ricorda la Sapa in uno dei suoi scritti risalente al 1644: L’economia del Cittadino in Villa. In tale opera Tanara, riferendosi alla Sapa, scrive:
“Fassi servir l’uva per indolcire vivande in luogo di miele, senza spesa, mediante la sapa, o sabba; Non credo, che l’huomo possa desiderar più gusti di quello, che rende la vite; questa è mosto colato, e fatto bollire fino, che cali i due terzi”.
A proposito del tempo necessario al suo ottenimento l’agronomo bolognese fornisce alcuni suggerimenti:
“E’ meglio il peccare in troppo cuocerla, che in non lasciarla cuocere assai: Si conosce la sua perfettione col ponerne due gocce sopra una carta, se col far star pendente la carta, la goccia non si stacca, è cotta assai; se ancora intinte le due cime de’ diti, grosso, e indice, e quelli congionti insieme, quando è cotta, nello staccarli si sente viscosità, e fa quasi fila. Serve la Sapa alla cucina, e credenza in moltissime occasioni, come à suo luogo si dirà”.
Pellegrino Artusi, insigne gastronomo nato a Forlimpopoli nel 1820, nella sua celebre opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, pubblicata per la prima volta nel 1891, nomina il prodotto tra gli sciroppi usando le seguenti parole:
“La Sapa, ch’altro non è se non uno sciroppo d’uva, può servire in cucina a diversi usi poiché ha un gusto speciale che si addice in alcuni piatti. E’ poi sempre gradita ai bambini che nell’inverno, con essa e colla neve di fresco caduta, possono improvvisar dei sorbetti”.
Il suo utilizzo nel tempo è stato quello di conferire gusto e sapore a vivande e bevande. La ritroviamo, infatti, tra gli ingredienti utilizzati nella produzione del “Panone di Bologna” (versione più semplice e contadina del Certosino dato che al posto del miele si utilizzava la Saba e alla mostarda si sostituiva il “Savór”), dei Sabadoni, (“tortelloni” di grossa e allungata dimensione legati ad antiche consuetudini della gente romagnola), e appunto del Savór, una sorta di marmellata a base di Saba e frutta, prevalentemente mele cotogne e pere.
Un simpatico racconto con una bella morale.
“ll segreto del Saba di Zio Gino”
Nelle campagne romagnole, ogni autunno era un tripudio di profumi: il mosto fermentava, le foglie cadevano e, in una piccola cascina al limitare del bosco, il vecchio zio Gino si preparava a fare il suo famoso saba.
Ora, bisogna sapere che il saba di zio Gino era così buono da far litigare intere famiglie. Chi riusciva a mettere le mani su una bottiglia la custodiva come un tesoro. C’era chi lo metteva nei dolci, chi lo usava per condire la polenta, e chi, di nascosto, lo beveva a cucchiaiate in cucina.
Ma la ricetta? Ah, quella era un segreto custodito meglio dei gioielli della corona. Si diceva che ci fosse un ingrediente misterioso, qualcosa che nessun altro riusciva a replicare.
Un anno, i nipoti di zio Gino – Lella, Marco e il piccolo Piero – decisero che era arrivato il momento di scoprire il segreto. Approfittarono di una giornata in cui Gino era particolarmente concentrato sulla pentola.
“Zio, ti aiutiamo a mescolare!” esclamò Marco, prendendo il lungo mestolo di legno.
“Solo se non fate domande!” grugnì Gino, guardandoli con occhi furbi.
Mentre il saba bolliva, i ragazzi si alternavano a mescolare. Dopo un po’, Lella si avvicinò e notò che Gino prendeva ogni tanto un sacchetto misterioso e lo gettava dietro di sé, assicurandosi che nessuno lo vedesse.
“Cos’è quello?” bisbigliò a Marco.
“Non lo so, ma dobbiamo scoprirlo!”
Alla fine della giornata, Gino annunciò che il saba era pronto e lo mise in bottiglie, riponendole in una dispensa chiusa a chiave. I ragazzi, però, avevano un piano: quella sera si sarebbero intrufolati nella cucina.
Quando tutti dormivano, Marco e Piero sgattaiolarono verso la dispensa, mentre Lella cercava il sacchetto misterioso. Lo trovarono sotto il tavolo: era pieno di… semi di finocchio!
“Ma dai, è solo questo?!” sussurrò Piero deluso.
Il giorno dopo, i ragazzi non poterono fare a meno di svelare la scoperta. “Zio! Il tuo ingrediente segreto sono i semi di finocchio!”
Gino scoppiò in una risata così forte che persino i vicini lo sentirono. “Semi di finocchio?! Ma no, ragazzi! Quelli li usavo per allontanare i topi!”
I tre nipoti si guardarono, rossi in viso. “Allora qual è il segreto?” chiesero in coro.
Gino li guardò e, con un sorriso malizioso, rispose: “Il segreto è la pazienza… e il fatto che non potete smettere di cercare segreti dove non ci sono!”
Da quel giorno, i ragazzi capirono che il vero segreto era il tempo e l’amore che zio Gino metteva nella preparazione del saba. E, nonostante tutto, non provarono mai più a ficcare il naso nei sacchetti misteriosi.
BUON ANNO…