Sull’industrializzazione del mare tra Rimini e Cattolica, agli amici di
Legambiente diciamo: Stop alla retorica “rinnovabili” e referendum
consultivo.
“Bando al negazionismo su crisi energetica e cambiamento climatico. Noi che da
sempre ci occupiamo di ambiente veramente sostenibile, pretendiamo risparmio, ricerca,
riuso, riduzione dei consumi con tecnologie diffuse e cooperative energetiche. Ma al bando
anche la retorica sulle finte rinnovabili e alle frasi fatte “no nel mio giardino”, perché come
sostiene Gianfranco Amendola, già magistrato sui diritti dell’ambiente: “locale è globale”.
Tante le ragioni paravento su energia, e non solo, per coprire con pretesti di pubblica
utilità la speculazione e i profitti. Quando oramai è sempre troppo tardi ne abbiamo le
prove provate: se si sfrutta male la natura mai nulla potrà essere efficace a risolvere
problemi, anzi ne crea altri ben più gravi.
Allora crediamo sia utile far capire a tutte le persone , anche non particolarmente
interessate all’argomento “salute dell’ambiente”, cosa ricadrà per almeno 4 anni, sulla
salute di ciascuno e sulle nostre città ospitali. Chiediamo a tutti di smetterla di stracciarsi
le vesti unicamente sull’aspetto estetico del paesaggio: “Pensiate per favore, signore e
signori, ai veri danni ecologici e alla salute: la mobilità, l’aria che respiriamo, la Co2, alla
qualità della vita di figli e nipoti che costerà a tutti costruire quell’impianto. Agli enormi
cavi, se sottoterra (come per legge) che scaveranno il mare, le strade e i parchi, fino alla
centrale Terna di Coriano che distribuirà in rete l’energia prodotta per tutta l’Italia”.
Pensiamoci tutti, sindaci e sindache compresi/e.
Cosa succederà prima ancora della messa a terra degli aerogeneratori (58 torri di
210 metri) intorno alle quali non può esserci alcuna navigazione? I nostri decisori –
amministratori e politici a Roma – a nome e per conto di noi tutti cittadini, dovranno fare
uno sforzo di immaginazione e saper prevedere cosa significhi avere terra e mare sotto
assedio per almeno 4 anni (i tempi minimi per costruirlo). Coloro i quali già impazziscono
per il traffico e si lamentano delle fila di auto, sanno forse cosa vuol dire trasportare
enormi torri, pale, turbine e cavi, per gli aereogeneratori offshore? Strade, porti e mare
invasi da scavi, tir e navi cargo per il trasporto. Invitati in Sardegna dalle associazioni
sarde lo abbiamo visto pochi mesi fa, basta tuttavia navigare sul web per capire cosa stia
succedendo nel Sulcis e ovunque attorno e dentro quell’isola stupenda, come anche in
Puglia e Sicilia. E noi. Nell’Italia che lascia sfruttare i propri beni ambientali (non la Liguria
per esempio).
E’ evidente quanto le associazioni ambientaliste locali nate dal basso , non quelle
più note che godono di contributi statali, ovunque si oppongano. Nel nostro Adriatico è a
ridosso di Agnes, il già approvato impianto offshore di Ravenna fino a Bellaria. Il progetto
davanti a Rimini, Riccione, Cattolica, al quale il Ministro di destra ha creato facili vie di
accesso, è di fine ‘900. Ha il benestare dell’allora giunta Bonaccini e ora il nuovo
presidente de Pascale non dà migliori garanzie di attenzione al tema. Allora la domanda è:
industrializzare il mare e farne pagare il costo ambientale ed economico alle risorse
umane che operano nell’ospitalità, con le evidenti ricadute per gli anni della costruzione
sulla qualità della vita dei cittadini tutti, è cosa buona e giusta?
Poiché si tratta di ipotecare il nostro immediato futuro oltre a quello dei nostri
discendenti per almeno 60/100 anni – sulla rimozione quando sarà obsoleto, non si sa –
non è forse questo il momento di ragionare se sia il caso di ascoltare l’opinione dei
cittadini/azionisti, trattandosi di bene comune (il mare è demanio pubblico, ripetiamo)… e
affinché la politica se ne faccia carico, proporre un referendum consultivo cittadino ,
replicato nelle tre città da sud a nord (Cattolica, Riccione, Rimini)?”
Manuela Fabbri (presidente e portavoce APS Basta Plastica in Mare Network)