di Giorgio Girelli *
Ripetutamente Aldo Cazzullo ha rilevato che la “Resistenza” appartiene alla nazione, non a una fazione. Tra i partigiani c’erano uomini e donne di ogni fede politica: comunisti, socialisti, azionisti, liberali, cattolici, monarchici, per cui viene smentita la tesi che la maggioranza di essi fosse comunista anche attraverso l’esibizione di un lungo elenco di “resistenti” non comunisti. In realtà fu il partito comunista – come ha spiegato Galli della Loggia -a utilizzare l’antifascismo come “motivo fortissimamente identitario” e ad avvalersene quale“ risorsa politica di esclusiva proprietà”. Cosa non avvenuta in Francia paese in cui la “Resistenza” antifascista ebbe nel tradizionalista ed anticomunista generale De Gaulle il suo organizzatore, simbolo e capo riconosciuto. Né in Germania dove una sentenza della Corte costituzionale mise al bando il partito comunista come forza antidemocratica.
E “non era comunista” neppure lo sceneggiatore marchigiano Alberto Ciambricco, ricordato per essere stato, assieme al collega Mario Casacci, il creatore della figura del Tenente Sheridan , impersonato dal noto attore Ubaldo Lay, nonchè ideatore, nel 1959, sempre assieme a Casacci, della trasmissione televisiva Giallo club. Invito al poliziesco. Trascorreva negli anni Cinquanta le vacanze a Pesaro alloggiando in ambienti subaffittati presso privati. In quel periodo si trattava di prassi frequente cui le famiglie ricorrevano per arrotondare i magri stipendi.
Non era comunista neanche il 93° Reggimento di fanteria – composto per il 75 per cento da marchigiani – facente parte della divisione Messina dislocata, alla data della entrata in guerra dell’Italia, nella zona compresa tra Ancona, Fabriano e Fossombrone. L’unità, nell’ambito della quale il ventunenne Ciambricco prese parte alla seconda guerra mondiale, era di stanza nella caserma Villarey di Ancona e si addestrava nel territorio marchigiano.
Nell’aprile 1941 le venne impartito l’ordine di trasferirsi, in assetto di guerra, a Bari e, di qui, in Albania. Prese parte ad operazioni a Cettigne e Cattaro. L’8 settembre 1943 i reparti del 93º erano dislocati a Ploca, Grada e Curzola, a nord-ovest di Ragusa. Si opposero alla consegna delle armi reagendo con scontri a fuoco contro i tedeschi.
Concentratisi successivamente nell’isola di Curzola si imbarcarono dirigendosi verso le coste italiane. La motonave “Salvore” – racconta Ciambricco che vi si trovava a bordo – insieme a diversi pescherecci trasportava il 93°. Durante la navigazione fu bombardata e mitragliata da nove Stukas decollati dall’aeroporto di Mostar. I militari italiani reagirono “all’attacco con tutte le armi disponibili: fucili, mitragliatori, mitragliatrici e mitragliere di bordo. Avemmo parecchi morti e feriti – racconta Ciambricco – ma riuscimmo a non farci centrare dalle bombe”. Nonostante che la maggior parte dei soldati e degli ufficiali del 93° fossero marchigiani (incluso Ciambricco, nato nel 1920 a Fabriano) e che raggiungere il porto di Ancona sarebbe stato facile e molto meno pericoloso, la destinazione prescelta fu Brindisi dove il governo italiano aveva fissato la sua sede. Qui i militari del 93° Reggimento, rientrati in Italia il 18 settembre con tutte le armi e la Bandiera, “per diverso tempo furono le uniche truppe a disposizione delle autorità di governo“. In seguito fornirono “complementi” ai costituendi “Gruppi di combattimento” ed al battaglione “ San Marco” per essere infine inglobati nella divisione “Piceno”.
*Coordinatore Centro Studi Sociali “A. De Gasperi”