Rimini. 16 agosto 1944 i nazi-fascisti impiccano i partigiani Mario Capelli, Luigi Nicolò e Adelio Pagliarani.
La città di Rimini celebra – sabato 16 agosto – l’81° anniversario della morte dei Tre Martiri, come ogni anno, con una cerimonia commemorativa e iniziative culturali per onorare la memoria dei partigiani Mario Capelli, Luigi Nicolò e Adelio Pagliarani, impiccati il 16 agosto 1944 dai nazi-fascisti, nella piazza principale di Rimini.
I Tre Martiri rappresentano il simbolo della Resistenza e dei caduti nella lotta di Liberazione nel territorio della Provincia di Rimini. I tre giovani partigiani, attivi nella Resistenza riminese sin dai primi giorni successivi all’Armistizio, nell’estate del 1944 facevano parte del medesimo Distaccamento della 29ª Brigata GAP “Gastone Sozzi”. La piazza dove furono giustiziati è stata loro intitolata nel 1946.
La Civica Amministrazione organizzerà una cerimonia ufficiale nel corso della quale verranno deposte corone di alloro in via Ducale e nella piazza dedicata ai Tre Martiri. La cerimonia avrà inizio alle ore 17.30 con partenza da via Tiberio, nei pressi dell’omonimo parcheggio. All’evento parteciperà la “Banda Città di Rimini” che accompagnerà musicalmente la commemorazione.
In serata, alle ore 21.30, la Corte degli Agostiniani in via Cairoli 42 ospiterà lo spettacolo “Poveri noi – storia di una famiglia nella tragedia della guerra“, del Teatro delle Temperie, di e con Silvia Frasson, per la regia di Donatella Allegro. L’evento è organizzato dall’ANPI sezione di Rimini in collaborazione con le Città Visibili aps.
Lo spettacolo teatrale, realizzato in ricordo dei Tre Martiri, offrirà una riflessione sulla tragedia della guerra attraverso la storia di una famiglia. L’ingresso è libero per permettere a tutti i cittadini di partecipare a questo momento di memoria collettiva.
Le iniziative confermano l’impegno della città nel mantenere viva la memoria storica e nel tramandare alle nuove generazioni i valori di libertà e democrazia per cui i Tre Martiri hanno sacrificato la propria vita.
Riportiamo la poesia che il grande giornalista riminese Guido Nozzoli (1918 – 2000) dedicò ai tre giovani. E’ di una bellezza commovente.
Fu del fiotto di sangue
aggrumato sui vostri panni
che in un giorno accecato
di mezzo agosto
raccogliemmo l’urlo
della vostra agonia,
e nei capestri tesi
che sentimmo il peso
di questa carne nostra
lasciata a guastarsi
in quella desolata morte
penzolante nel sole
Tre volte l’alba,
con il singhiozzo dei galli
e il macinare delle ruote,
scivolò dai tetti
nei vostri occhi spalancati.
Due volte la notte
brancolò tra l’urlo dei treni
e le minacce dei cani
nel vostro sangue spento
L’impiccagione vi tolse
alfine
allo sciame incessante delle mosche?
per restituirvi alla morte
poi rimase un fetido crepuscolo
a sbiadirsi nella polvere secca
su l’orina dei cavalli.
Andammo allora nelle vostre tane
che serbavano ancora
il segno dei vostri piedi scalzi,
vagammo nelle campagne
stordite dall’lito dei fieni,
ma l’estate ci parve vuota
come lo sguardo dei ciechi
E ci fu il cuore solo
a ridarci coraggio
questo piccolo cuore
logorato dalla guerra insonne
e dal giallore delle stoppie
Quando tornammo a voi
(il settembre
era ancora squassato dai cannoni)
l’aria odorava di terra
rimossa dalle macerie,
colavano fili d’erba
dalle macerie delle case.
Non trovammmo0 fiori
nella fossa
no
non trovammo i nomi
tra le dolci menzogne delle lapidi
né un lucignolo inaridito
che avesse raggiato per un’ora
la vostra eterna caduta.
Una croce sbilenca di canna
era la sola pietà.
Come balbettare parole?
Le parole del pane,
del mare, del vento e della strada
non sanno dire la morte
che non ha strada,
né vento, né mare.
Silenzio
solo silenzio
nella siepe dei batticuori.
Gli uomini strinsero i pugni nel saluto
e il sole portò le croci
nelle lacrime azzurre delle madri.
aggrumato sui vostri panni
che in un giorno accecato
di mezzo agosto
raccogliemmo l’urlo
della vostra agonia,
e nei capestri tesi
che sentimmo il peso
di questa carne nostra
lasciata a guastarsi
in quella desolata morte
penzolante nel sole
Tre volte l’alba,
con il singhiozzo dei galli
e il macinare delle ruote,
scivolò dai tetti
nei vostri occhi spalancati.
Due volte la notte
brancolò tra l’urlo dei treni
e le minacce dei cani
nel vostro sangue spento
L’impiccagione vi tolse
alfine
allo sciame incessante delle mosche?
per restituirvi alla morte
poi rimase un fetido crepuscolo
a sbiadirsi nella polvere secca
su l’orina dei cavalli.
Andammo allora nelle vostre tane
che serbavano ancora
il segno dei vostri piedi scalzi,
vagammo nelle campagne
stordite dall’lito dei fieni,
ma l’estate ci parve vuota
come lo sguardo dei ciechi
E ci fu il cuore solo
a ridarci coraggio
questo piccolo cuore
logorato dalla guerra insonne
e dal giallore delle stoppie
Quando tornammo a voi
(il settembre
era ancora squassato dai cannoni)
l’aria odorava di terra
rimossa dalle macerie,
colavano fili d’erba
dalle macerie delle case.
Non trovammmo0 fiori
nella fossa
no
non trovammo i nomi
tra le dolci menzogne delle lapidi
né un lucignolo inaridito
che avesse raggiato per un’ora
la vostra eterna caduta.
Una croce sbilenca di canna
era la sola pietà.
Come balbettare parole?
Le parole del pane,
del mare, del vento e della strada
non sanno dire la morte
che non ha strada,
né vento, né mare.
Silenzio
solo silenzio
nella siepe dei batticuori.
Gli uomini strinsero i pugni nel saluto
e il sole portò le croci
nelle lacrime azzurre delle madri.