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Rimini. Giovanni di Marco, geniale medico del 1400

Redazione di Redazione
9 Settembre 2025
in Cultura, Rimini
Tempo di lettura : 6 minuti necessari
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Giovanni di Marco

Giovanni di Marco

di Oreste Delucca

 

– Escludendo gli “addetti ai lavori”, forse sono pochi a conosce il medico Giovanni di Marco, vissuto a Rimini nel Quattrocento; eppure si tratta di una figura assai importante.
Lo storico Luigi Tonini aveva dichiarato di non sapere chi fosse esattamente suo padre, ma una più approfondita ricerca d’archivio mi ha permesso di individuarlo in Marco del fu Clemente, detto Marco “a sale”, perché funzionario della “salara” riminese, residente nella contrada S. Silvestro ma proprietario di edifici posti anche in altre contrade. Conoscendo l’importanza ricoperta dal commercio del sale (che a quel tempo garantiva grossi introiti alle casse cittadine, specie nel periodo in cui i Malatesta controllarono le saline di Cervia), si può credere che Marco avesse rapporti abbastanza stretti con la famiglia signorile; il che aiuta a comprendere la possibilità (non solo economica) di indirizzare il figlio verso studi impegnativi e di iscriverlo presso un ateneo illustre, verosimilmente quello padovano.
Il primo documento che menziona Giovanni è dell’agosto 1425; viene chiamato magister, quindi sembra aver già completato la preparazione professionale. Il che appare inoppugnabilmente nel settembre dell’anno successivo, venendo chiamato artium et medicine doctor. A quella data risulta sposato con Margherita, figlia di Fiorano Fioranotti, vedova benestante del notaio Pietro Turchi, originario di Pieve Santo Stefano, uomo di cultura e grosso personaggio con incarichi prestigiosi nelle corti malatestiane di Pesaro e Rimini.
Il citato rogito del settembre 1426 ha una certa importanza anche dal punto di vista anagrafico: infatti si tratta di una vendita immobiliare effettuata dalla moglie Margherita, nella casa del suocero Marco. La donna agisce dietro licenza non solo del marito, ma anche del suocero; il dettaglio autorizza a pensare che a quella data Giovanni ancora non avesse la piena potestà giuridica, cioè non avesse ancora compiuto i 25 anni della maggiore età. In tal caso la sua nascita (di cui non conosciamo il momento esatto) dovrebbe essere circoscritta ai primi anni del Quattrocento.
Senza voler citare in dettaglio le varie fonti che menzionano Giovanni – prevalentemente di natura patrimoniale – merita segnalare dapprima un suo attestato di guarigione, rilasciato nel 1433, in riferimento ad un ragazzo che venne ritenuto miracolato dal beato Galeotto Roberto Malatesta. Il giovane era figlio di Isotta, moglie del mercante Francesco degli Atti; la donna morirà di parto alcuni mesi dopo, dando alla luce una bimba cui sarà rinnovato il nome materno: Isotta degli Atti, futura moglie di Sigismondo Pandolfo Malatesta.
La statura del maestro Giovanni di Marco e il vasto orizzonte degli interessi culturali che lo coinvolgono, trova riscontro nella mole e nella composizione della sua raccolta libraria ove, ai testi di natura professionale, si accompagnano quelli umanistici e classici. Naturalmente non si può prescindere dal considerare che nel Quattrocento il medico non possiede ancora riferimenti scientifici sicuri; pertanto le sue possibilità sono limitate. Le visite si esauriscono in un esame ispettivo e olfattivo; esamina gli umori; dell’espettorato giudica il colore e l’odore. L’esame più importante è ritenuto quello delle urine (non vi sono raffigurazioni sanitarie medievali in cui non compaia il medico mentre osserva il contenuto della tradizionale fiala, chiamata matula). Le cure non oltrepassano il livello del semplice buon senso. Al malato si raccomanda una vita temperata e soprattutto una dieta regolata. Le terapie prevalenti comprendono salassi, purghe, applicazione di sanguisughe, bagni di vapore, farmaci a base di erbe coltivate negli orti monastici. Tutti esercizi che – si dice – esplicano il loro effetto secondo l’influsso dei pianeti; donde la stretta connessione che lega la medicina all’astrologia. E la biblioteca di Giovanni è ricca, infatti, di opere filosofiche ed astrologiche. Le quali peraltro influenzano tutto il pensiero dominante di quel periodo, per cui il medico trova naturale sintonia con gli ambienti intellettuali. Stretti sono i suoi rapporti con le figure più eminenti della corte malatestiana; dimostrati i contatti con illustri personaggi quali Francesco Filelfo, Guarino Veronese e Lorenzo Valla. Significativo il fatto che, nel 1435, Giovanni sia la persona formalmente incaricata di accompagnare il famoso epigrafista Ciriaco d’Ancona, venuto a Rimini per visionare i monumenti romani e le lapidi antiche, onde riprodurne le iscrizioni.
Nella prima fase del loro governo, Sigismondo Pandolfo e Malatesta Novello reggono il vicariato in maniera unitaria; pertanto non meraviglia se il medico Giovanni è documentato per incarichi professionali sia privati che pubblici alternativamente a Rimini e Cesena (dove nel 1433 gli viene assegnata una condotta medica). Frattanto ha fissato la sua residenza riminese nella contrada S. Maria in Corte (la zona oggi nota come la “Castellaccia”), dove può vantare vicini appartenenti a famiglie illustri: Agolanti, Barignani, Ognibeni, Bornioli, Andarelli e più tardi Monticoli, Belmonti, Aldobrandini. Le descrizioni notarili consentono di individuare con esattezza l’ubicazione della propria casa, a mare della strada Maestra (oggi Corso d’Augusto), raggiungibile mediante un vialetto di cui rimane tuttora traccia (sebbene trasformato in un disimpegno ingombro da scale antincendio).
Le fonti archivistiche alternano notizie di varia natura sul suo conto. Numerose sono le sue acquisizioni immobiliari, sia in città che nel contado, grazie a risorse proprie, cui si sommano quelle della moglie e quelle della matrigna (Maria, seconda moglie del padre), che lo gratifica di una cospicua donazione. Sul piano professionale, gode di crescente considerazione, onde viene chiamato ad assistere infermi illustri della pubblica amministrazione, della famiglia Malatesta e perfino della famiglia Ordelaffi di Forlì. Col tempo le sue attenzioni si concentrano sulla salute di Malatesta Novello che, sin dal 1447, aveva avuto seri problemi ad una gamba. I tentativi di un medico greco si erano rivelati senza esito, tanto che il Signore di Cesena “romase strupiato e chusì visse molti anni”, come raccontano le cronache. A quel punto, si era rivolto a Giovanni di Marco eleggendolo suo medico curante; e Giovanni era rimasto al suo servizio fino al 1465, anno della morte di Novello. Una vicinanza che non si limitava alle questioni sanitarie, ma investiva pure gli obiettivi culturali del fratello di Sigismondo, coinvolgendo chiaramente anche il progetto della Biblioteca in fase di realizzazione a Cesena.
La riconoscenza di Novello verso il “suo” medico si era poi manifestata in maniera tangibile attraverso la disposizione testamentaria che assegnava al Riminese la cospicua somma di 200 ducati d’oro da corrispondersi annualmente. Generosità che – come vedremo – sarà largamente ricambiata.
Gli ultimi anni di vita Giovanni di Marco li trascorre a Rimini in operosa attività. Nel frattempo era morta Margherita ed aveva sposato in seconde nozze Raffaella figlia di Giovanni Oddone da Pesaro, del casato Ranieri, riformatore degli statuti comunali e membro del Consiglio cittadino, uomo di spiccate capacità nelle questioni legali e politiche.
Ad un tratto la vita del medico deve registrare un sussulto, che gli sarà fatale. Siamo all’inizio del 1474, in Vaticano il pontefice Sisto IV è seriamente ammalato; il suo medico – Nicolò dal Dito, riminese – si trova in difficoltà e pensa di chiamare urgentemente il collega Giovanni di Marco per un consulto. Questi generosamente risponde all’appello e si reca a Roma; ma i disagi e le fatiche del viaggio, i rigori dell’inverno, il peso degli anni, ne minano la resistenza. Il 23 febbraio, giorno delle Ceneri, il suo fisico si arrende. Ha appena il tempo di dettare il proprio testamento a Girolamo Andisii da Sassoferrato, cittadino riminese e notaio della Camera Apostolica.
Giunta a Rimini la triste notizia, la vedova Raffaella – nel rispetto delle normative statutarie cittadine – fa redigere l’inventario dei beni mobili appartenuti al defunto. Fra le tante cose ivi elencate, sono meritevoli di nota: la cospicua somma di 1.270 fra ducati e fiorini, che nel testamento aveva assegnato alla chiesa dei Servi per le necessarie riparazioni; una scatola con 16 paia di occhiali, troppi per uso personale, quindi da interpretare come spia di una sua attività oculistica; una sfera di ottone da astrologo, che testimonia come la professione medica fosse ancora tributaria di credenze astronomiche e astrologiche.
Ma soprattutto l’inventario è dominato dall’elenco dei libri facenti parte della sua biblioteca, che risultano in numero di 120, un numero assai elevato per quel tempo, a testimonianza del livello culturale di chi li possedeva. A questi vanno poi aggiunti altri 11 volumi appartenuti al defunto, che aveva portato con sé perché ritenuti evidentemente indispensabili per l’esercizio della professione: 4 riportati da Roma assieme ai suoi effetti personali e 7 trattenuti temporaneamente dal collega Nicolò dal Dito. Tutti i volumi – sempre per disposizione testamentaria – dovevano essere collocati nella Libreria o Biblioteca del convento di S. Francesco che Malatesta Novello aveva allestito a Cesena. Era il modo con cui Giovanni di Marco ricambiava la benevolenza dimostratagli dall’illustre infermo. Ed è anche la decisione che ha determinato il salvataggio e salvaguardato l’integrità di questa biblioteca personale.
Infatti il destino inesorabile delle biblioteche private quattrocentesche è stato quello della loro dispersione e in larga misura della loro scomparsa. Le eccezioni sono purtroppo rarissime. Al mondo solo due biblioteche mediche del Quattrocento si sono conservate: una è quella di Giovanni di Marco a Cesena. Un tesoro, dunque, di rarità estrema e di valore incalcolabile. Infatti permette di comprendere il livello delle conoscenze scientifiche possedute, le scuole filosofiche di riferimento, l’orizzonte culturale in cui il medico era inserito, assai meglio di qualunque altro elemento indiretto.
I volumi, acquistati (allora costavano moltissimo) e raccolti da Giovanni di Marco in tutto l’arco della sua vita, iniziando dall’età giovanile degli studi universitari, appartengono a vari secoli e presentano caratteristiche differenti. Alcuni sono dotati di pregevoli miniature; altri sono importanti solo per il contenuto intrinseco; tutti contribuiscono però a delineare la fisionomia del proprietario, la sua elevata formazione.
A onor del vero, va detto che non tutti i codici elencati nell’inventario redatto dopo la sua morte si trovano nella Biblioteca cesenate; ne manca una parte e i riscontri effettuati hanno permesso di appurare che risultano assenti (probabilmente già venduti in antico) i volumi scritti su carta (e non in pergamena), oltre ad alcuni perché considerati ripetitivi. Nonostante ciò, il patrimonio librario trasmessoci da Giovanni di Marco costituisce un patrimonio unico ed eccezionale.

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