– A chi prova interesse per l’Unione europea sarà certamente accaduto di leggere qualcosa sulla sua “prima pietra”, ossia sul Manifesto di Ventotene per un’ Europa libera e unita, redatto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Forse i più giovani poco o nulla sanno di Spinelli e di Ernesto Rossi. Giova quindi ricordare in quest’occasione quei due straordinari personaggi, antifascisti inviati al confino di polizia nell’isola di Ventotene nel 1939, dopo rispettivamente dodici e nove anni di carcere fascista: Spinelli condannato nel 1927 perché comunista, Rossi nel 1930 perché aderente al movimento Giustizia e Libertà, fondato dai suoi amici e maestri Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini (i comunisti italiani, corifei del proletariato, e i “borghesi” di Giustizia e Libertà, poi Partito d’Azione, furono i soli, in Italia, a battersi a tutt’uomo contro il fascismo durante il regime e nella Resistenza partigiana: anche questo è bene che i giovani sappiano).
Nella primavera del 1941 l’Europa stava finendo di dilaniarsi, a tutto vantaggio delle due superpotenze che domineranno la scena mondiale: l’Unione Sovietica, crollata poi nel 1991 e gli Stati Uniti d’America. Lo ricordiamo tenendo presente che il suicidio dell’Europa era cominciato nel fatale 1914, anno d’inizio della prima guerra mondiale (Vienna e Berlino, capitali di due imperi, contro Parigi e Londra), ed era continuato nella seconda guerra mondiale: l’Asse fascista Roma-Berlino contro Parigi e Londra, e successivamente contro Russia sovietica e Stati Uniti.
Quando Spinelli e Rossi scrivevano il suddetto manifesto per la federazione europea, le sorti della guerra erano ancora incerte. La Germania stava per aggredire l’Unione Sovietica, rompendo il patto di non aggressione con la medesima risalente al 1939; mentre gli Stati Uniti non erano ancora coinvolti nel conflitto.
Spinelli, disgustato dalla sanguinaria dittatura di Stalin, aveva lasciato il Partito comunista, e Rossi era un democratico laico ostile all’ideologia marxista-leninista. Entrambi nutrivano però sentimenti ostili al sistema capitalistico occidentale, quale si era affermato nel secolo XX. Anime grandi quali essi erano, avevano subito provato una vicendevole stima, e insieme sognavano un’Europa finalmente pacificata al suo interno, federata e basata sui principi di libertà e di giustizia sociale.
Essi, fiduciosi nella vittoria finale dell’Inghilterra, vararono allora quel comune progetto, auspicando il superamento delle vecchie divisioni in destra e sinistra e proponendo in luogo di quelle una nuova divisione tra federalisti europei e fautori dei vecchi Stati nazionali, responsabili delle guerre e delle dittature totalitarie.
Il loro manifesto diceva tra l’altro: “Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si stanno certamente formando, occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi de-cisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli. Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, perché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio. Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi, del movimento per l’Europa libera e unita!”.
Utopia, questo sogno tutto italiano? Sì, ma fino ad un certo punto.Non è forse un italiano quel Romano Prodi che oggi guida la Commissione europea e lavora per liberare il Trattato costituzionale dal maggior numero possibile di paralizzanti vincoli unanimistici? Per questo addolora aver dovuto assistere all’ignobile tentativo, costruito partendo da una lettera anonima, condotto dentro una Commissione parlamentare e sulla stampa di Forza Italia, di infangare e calunniare Prodi mediante l’uso di “rivelazioni” costruite da spregevoli faccendieri e avanzi di galera, fino a chiederne l’arresto, come ha osato fare il più zelante degli avvocati di Berlusconi: un verminaio che sta venendo alla luce, e ammorberà l’intera politica in Italia. Altro che conflitto Fini-Bossi sul voto agli immigrati!.
Uno dei frequentatori più assidui di Spinelli e Rossi a Ventotene fu il professore cattolichino Giuseppe Paganelli, spirito anarcoide e ribelle, figlio della contessa ferrarese Aventi, esteta raffinatissimo, estroso traduttore di Toynbee, fascista della prima ora divenuto dissidente per ragioni morali e per questo inviato al confino di Ventotene con Rossi, Spinelli, e, tra gli altri, il socialista Sandro Pertini (futuro presidente della Repubblica, che nell’isola sperava sempre di veder arrivare in ogni piroscafo qualche altro socialista a dimostrazione della combattività del suo partito) e il comunista Umberto Terracini (futuro presidente dell’Assemblea Costituente).
Spinelli frequentò Paganelli, incuriosito dall’originalità dell’uomo, che aveva fatto tutta la grande guerra senza mai mettersi l’elmetto per non rovinarsi la “chioma rossa diradantesi in tutte le direzioni come se carica di elettricità”. E a Cattolica ricorderanno sicuramente Paganelli i suoi concittadini più avanti con gli anni, come lo ricordava con simpatia il compianto amico Giogi Filippini. Con il nome di Giuseppe Aventi, Paganelli ha pubblicato dall’editore Vanni Scheiwiller un’opera intitolata ‘Diario di Ventotene’, che non siamo mai riusciti a trovare in antiquariato, ma che dovrebbe essere in possesso di qualcuno a Cattolica o a Rimini. Sarebbe molto bello se qualche lettore ne parlasse sulla “Piazza”, e ci dicesse se e in quale modo Paganelli abbia preso parte alle discussioni che precedettero ed accompagnarono il manifesto di Spinelli e Rossi. Ne uscirebbe notevolmente arricchito il profilo culturale della vecchia Cattolica.
di Alessandro Roveri Professore di Storia
del Risorgimento all’Università di Ferrara