Innanzi tutto – dice Marco Lombardi – noi addetti ai lavori, e mi riferisco alla politica ma anche alle associazioni di categoria, ai sindacati ed in genere agli “opinion leader” della società civile, non dovremmo alimentare aspettative esagerate nell’opinione pubblica perché alla resa dei conti verranno smentite dai fatti ed oggi non ci possiamo permettere di continuare ad illudere la gente. Una riforma istituzionale della nostra Repubblica era indispensabile, ogni risparmio nel funzionamento dello Stato è utile e tagliare qualche costo della politica è quanto mai opportuno, però la gente deve sapere che domani mattina l’abolizione o l’accorpamento delle province procurerà in Italia un risparmio di circa 50 milioni di euro e non di miliardi di euro come spesso si sente dire e la Provincia unica comporterà semplicemente un risparmio per Consiglieri,Assessori e Presidenti, di circa 900.000 euro.
Fatta questa premessa, veniamo all’accorpamento delle tre province romagnole. Intanto va detto che l’accorpamento non è obbligatorio, perché potremmo anche portare la necessità dei tagli alle estreme conseguenze e pensare che nel caso nostro le province potrebbero essere semplicemente abolite senza necessità di alcun accorpamento. Se viceversa si accede all’ipotesi di accorpamento, che comunque costerà più della completa abolizione, questo a mio avviso avrà un senso solo a determinate condizioni.
La Provincia unica non potrà che chiamarsi Romagna per ragioni storiche culturali ed anche per dare un primo riconoscimento a coloro che da decenni sostengono la peculiarità della Romagna. La Provincia unica dovrà ricevere ulteriori competenze dalla Regione oltre a quelle previste dallo Stato perché è bene ricordare che il decreto del Governo non poteva ovviamente decidere per le competenze regionali in virtù delle prerogative previste dalla riforma del titolo V della Costituzione. Dico questo perché mantenere in piedi una provincia per le misere competenze in tema di ambiente, trasporti e viabilità, potrebbe veramente prestarsi alla critica di ulteriore inutilità visto che queste competenze potrebbero essere svolte da autorità od agenzie già presenti. La Regione Emilia-Romagna ha invece una lunga tradizione di deleghe trasferite alle province e quindi dovremo ridiscutere l’allocazione di tali deleghe valutando caso per caso i motivi di opportunità e convenienza.
Altro tema delicato è quello delle partecipazioni societarie che mi sembra semplicistico liquidare pensando a fusioni o di trasferirle tout court alla nuova Provincia unica. Resta infine il tema di tutte le articolazioni dello Stato oggi su base provinciale. Questure, Prefetture e tutti gli altri enti periferici dovranno essere ripensate in base alle reali esigenze del territorio e non potranno essere semplicemente “abolite” in maniera sobria e fredda come solo i professori sanno fare. Gli esimi professori, del Governo Monti, sembra poi che abbiano sottovalutato il problema della elezione degli organi provinciali. Se, come è previsto oggi, saranno enti di secondo grado cioè eletti dai consigli comunali, l’attuale provincia di Rimini (27 Comuni) sarà sovrarappresentata e l’attuale provincia di Ravenna (18 Comuni) sottorappresentata, il che non sarebbe negativo, soprattutto se il nuovo capoluogo fosse Ravenna. In ogni caso, è istituzionalmente problematico dare competenze regolatorie ad un ente che deve regolare chi lo elegge. Nel caso di elezione diretta degli organi provinciali, oggi esclusa, l’architettura istituzionale sarebbe più corretta, ma la rappresentanza della attuale provincia di Rimini sarebbe frustrata dai numeri della sua popolazione.
Come si può notare la carne al fuoco è molta, il processo però è inarrestabile e quindi non si può resistere in maniera ottusa ma bisogna pensare al modo di governarlo al meglio per quanto di nostra competenza. In questa ottica sull’argomento mi iscrivo al “partito” dei riformisti e non a quello dei “conservatori”.