di ASTORRE MANCINI *
La presenza a Rimini del prof. Mauro Magatti, economista e sociologo tra i più influenti nel Paese – invitato il 9 novembre scorso dall’Associazionene Figli del Mondo – ha consentito di fare il punto sulla persistente crisi economica, entrata ormai nel suo quinto anno, che anche nella nostra provincia ha messo in ginocchio decine di piccole e medie imprese. L’analisi di Magatti è tra le più ricche e profonde ed ha il pregio di indagare l’origine della crisi e di fornire indicazioni concrete agli operatori economici, spesso smarriti in merito alle soluzioni da mettere in campo.
La riflessione muove dall’assunto per cui versiamo in una crisi sistemica del capitalismo, che ha esaurito il ciclo economico ricompreso tra il 1970 ed il 2010; la forma capitalistica ha avuto indubbiamente il merito storico di saper “interpretare” le esigenze dei cittadini di allora, introducendo paradigmi d’impresa adeguati al loro soddisfacimento; in particolare, a partire dagli anni ’70 il mondo economico ha saputo cogliere il forte bisogno di libertà e di individualità espresso dalle nostre comunità occidentali, e cioè quell’esigenza di autorealizzazione di sé che ha aperto la via all’“era dell’iperconsumo” (Lipovetsky, 2009) giunta fino ai nostri giorni. Per tutto quel periodo i sostenuti aumenti di produttività hanno reso possibile un’offerta crescente di prodotti e servizi a prezzi accessibili a numerose fasce sociali, offerta a cui corrispondeva una domanda aggregata in continua espansione, grazie all’aumento dei salari e della spesa pubblica.
Oggi ci troviamo di fronte all’esaurimento di questo ciclo capitalistico che ha mostrato il suo limite – ciò si dica senza ideologismi o giudizi di valore – rappresentato da un lato dal progressivo esaurimento delle risorse energetiche ed ambientali, che ha sancito l’insostenibilità di gran parte degli stili di vita affermatisi in Occidente, e dall’altro lato dalla saturazione dei mercati, curiosamente non impedita ma agevolata dalla globalizzazione dei processi economici, nell’ambito di un mutato quadro di sensibilità sociali. Che detti elementi – esaurimento delle risorse e saturazione dei mercati – siano fattori di criticità del modello di sviluppo affermatosi negli ultimi trent’anni, lo cogliamo tutti noi in modo intuitivo: è ormai diffusa la convinzione che non torneremo più ai livelli di consumi del 2007, come pure è opinione comune che l’offerta di mercato di beni e servizi sia giunta a livelli tali da essere destinata ad un forte ridimensionamento e ad una modifica qualitativa della stessa.
Se così è, una nuova sfida attende il capitalismo: la crisi è destinata ad essere superata solo quando gli operatori d’impresa sapranno cogliere i nuovi bisogni e le nuove aspettative dei cittadini/consumatori di oggi, mettendo in campo modelli di business che rispondano in modo innovativo a tale mutato quadro di richieste sociali. Oggi le nuove sensibilità diffuse indicano la creazione di “valore condiviso” come possibile risposta alla crisi, nella convinzione che il nostro benessere, individuale e collettivo, non dipende più tanto dall’ampliamento degli spazi di autoaffermazione, già acquisiti a sufficienza, quanto dalla capacità di mettersi in relazione con le esigenze espresse dagli altri, dai collaboratori, dai consumatori e clienti, dai fornitori, dal contesto sociale e territoriale in cui ciascun soggetto economico opera.
Del resto la forma capitalistica nel corso dei decenni ha mostrato indubbie capacità di adeguarsi al variare delle sensibilità culturali e delle istanze sociali, e non vi è motivo perché non accada nuovamente attraverso la nota “sequenza del ciclo economico”: 1) mutamento delle sensibilità culturali, 2) internalizzazione da parte delle imprese delle richieste sociali che possono essere rese compatibili con la produzione e la creazione di nuovi business, 3) cambiamento dei modelli di business.
Ora dunque le aziende si trovano di fronte al compito di innovare i modelli d’impresa prendendo atto del passaggio da una fase di forte individualismo ad una fase di rinnovate esigenze sociali ed ambientali dei cittadini/consumatori, nell’ambito di una ridefinizione dell’idea di sviluppo intesa come “valore di contesto”, che possa dare soddisfazione ai bisogni in precedenza dimenticati: qualità dell’ambiente e qualità delle relazioni umane, in prospettiva anche extrafinanziaria e con un orizzonte temporale che si sposta sul lungo periodo.
La ripresa del “valore di contesto” entra così nel core business dell’impresa, riplasmandone le strategie e valorizzando le risorse umane, sociali e ambientali, e fa di tale valorizzazione un elemento non solo distintivo ma un business in sé capace di dare impulso ad un nuovo ciclo economico.
*Avvocato, vicepresidente associazione Figli del Mondo
© RIPRODUZIONE RISERVATA