di ECCI
I dati ufficiali. Al 31 dicembre 2012 la situazione statistica (dati ufficio Attività economiche del Comune) del commercio cattolichino non presenta particolare apprensione. Ecco i dati. Esercizi di vicinato con superficie fino a 150 mq. Settore alimentare e misto: 114 (al 31/12/2011) 3 cessate e 10 nuove. Al 31/12/2012 il totale è di 121, saldo attivo +7. Settore non alimentare: 550 (al 31/12/2011) 40 cessate 37 nuove. Totale 547, saldo negativo -3. Soggetti a programmazione: annuali 110 (+2); stagionali 52 (+1). Esercizi intrattenimento e svago: annuali 5 (+1), gli stagionali rimangono 3. Altre autorizzazioni: rimangono 6. Circoli privati: rimangono 7. Esercizi di vicinato con superficie superiore a 150 mq. 34 alla fine del 2011, 1 cessato e 2 sospesi. Totale 31 (-3) alla fine del 2012.
Questa è la situazione statistica (sostanzialmente stabile con 3 nuove attività), ma quella che si vede passeggiando per la città è un po’ più preoccupante. I più informati ci dicono che alcune attività non hanno ancora denunciata la cessazione a altre stanno aspettando i subingressi. Ma di fatto questi esercizi sono chiusi. Affittasi, cedesi attività… Decine di cartelli affittasi, vendesi, cedesi attività, campeggiano su vetrine chiuse. Molte volte questi cartelli non ci sono e le serrande abbassate mostrano un volto ancora più desolante. Sono chiuse perché i proprietari non hanno i soldi per ristrutturare il negozio, o sono ubicate in vie ormai fuori dal giro commerciale, altre volte perché collocate in palazzine disabitate. Fino agli anni Ottanta si costruiva la palazzina con sopra gli appartamenti e sotto gli spazi per negozi e piccoli laboratori artigianali.
I centri commerciali hanno ucciso le botteghe. La rivoluzione commerciale dei supermercati e mega-centri commerciali hanno azzerrato un tessuto di piccoli esercizi diffusi capillarmente in tutta la città (non solo a Cattolica). Molti li hanno trasformati in garage, altri sono diventati anonimi magazzini o ripostigli, qualche fortunato è riuscito a cederlo o affittarlo a studi professionali. Questi ultimi stanno contenendo a stento la moria di negozi. Ma questa è la “modernità” con la quale bisogna fare i conti. Le nostre zone scontano anche un’offerta commerciale esagerata cresciuta negli anni ’80-’90, ma che da tempo non garantisce più un margine di guadagno sufficiente alla sopravvivenza di tutti i negozi. Spesso prevale un turn over veloce: gestioni di un anno o due, ci si rimette un sacco di soldi e si diventa più poveri di prima. Gli unici ad avvantaggiarsi (con affitti esagerati), sono i proprietari dei locali. Vetrine e serrande chiuse. Facciamo una ricognizione e contiamo i cartelli affittasi e le serrande chiuse che indicano la fine di un’attività: viale Bovio (4), via Mancini (2), via Matteotti (2), via Fiume (1), piazza Mercato e via Bastioni (4), via Cattaneo (3), via Pascoli e via Libertà (9), tutti sfitti i negozi dell’area Pritelli (via Marx), via XX Settembre (8), piazza Repubblica (1), via Volta – via Risorgimento e via Marconi (6), via del Porto (14), via Verdi (2), via Petrarca (4), via N. Sauro (1), via I. Bandiera (5), via Ferrara (3), via Del Prete (4), via Carducci (3), Galleria via Dante (4), via Cavour (4), via Garibaldi (10), via Mazzini (7), via Allende (5), zona Macanno (3), via Emilia Romagna (4). In una piccola città come Cattolica trovare oltre cento vetrine o serrande chiuse dà l’idea di una crisi profonda del commercio e anche il senso dell’abbandono. E come si è visto non si tratta solo delle vie più periferiche, ma la crisi ha iniziato a mordere anche nel cuore del centro più commerciale. Il caso di piazza Mercato e dintorni lo testimonia.
Perché il commercio è in crisi? La crisi è, purtroppo, molto più profonda e generale non solo a livello nazionale. I soldi sono finiti! Paghiamo decenni di sperperi, furbizie e incapacità di fare sistema (non solo a livello locale), ma proprio come Paese Italia. Ha prevalso la politica del lamento che ha impedito di fare le giuste scelte al momento opportuno. Si badi bene, non è solo un problema di classi politiche inette, l’idea del guadagno facile con la finanza e la speculazione immobiliare (invece di investire nella produzione, nella propria bottega e sul proprio lavoro), ha contagiato troppe avidità. E’ l’intero Paese ad essere da tempo avviato verso un (irreversibile?) declino. Gli affitti sono troppo cari. Il prezzo è ovviamente diversificato: dipende dalla zona, dalla qualità dei negozi, ecc. Vediamo alcuni esempi. Area viale Bovio affitti mensili da 2 a 5mila euro, 1.500-2.500 nelle immediate vicinanze. Via Dante e Carducci 1.200-2.000 mensili (anche per i mesi invernali!). Zone meno centrali :1.200-1.800. Zone più “periferiche” 600-1.200 – sempre mensili). Continua l’usanza di una parte pagata in nero, anche se da più parti assicurano che il fenomeno si è ridimensionato.
Le tasse nazionali e locali sono sempre più insostenibili. La burocrazia è borbonica e frustrante. I prezzi dei prodotti venduti sono alti (per sostenere certamente i costi, ma per molto tempo anche per un eccesso di lucro). Individualismo (incapacità di muoversi per area, settore, ecc.). Manca l’idea di lavorare insieme come tante unità di un sistema che si richiami un po’ ai centri commerciali. L’immagine del singolo negozio cresce se tutt’intorno si eleva la qualità dell’offerta. Scarsa fantasia e pigrizia (non è più tempo di aspettare passivamente che il cliente entri nel negozio). Incentivi, iniziative, ecc. che coinvolgano dall’esterno i potenziali clienti. Premessa che favorisce l’entrata nei negozi. Qualità del prodotto. La presenza di decine di negozi stagionali che caratterizzano intere vie (Dante, Carducci, ecc.) non favoriscono una buona qualità sia nell’offerta del prodotto, sia nel decoro dell’allestimento.
Proposte contro il degrado. Le vetrine dei negozi sfitti dovrebbero essere allestite con prodotti in esposizione temporanea. Il vantaggio è triplice: 1) evitare buchi morti e degradanti nelle vie commerciali, 2) i proprietari dei locali avranno locali sempre attivi e appetibili per venderli o affittarli, 3) gli espositori avranno più potenzialità per vendere i loro prodotti. In compenso dovrebbero sostenere i costi (o in parte) dell’allestimento e dignitosa sistemazione dei locali. Le serrande chiuse nelle zone centrali dovrebbero essere dipinte con colori gradevoli, e/o coperte con soluzioni floreali per salvaguardare il decoro della zona. Garantire il decoro di una città è un obbligo che coinvolge ogni singolo cittadino. Associazioni di categoria e enti locali dovrebbero mettersi con pazienza intorno ad un tavolo e vagliare tutte le possibilità per arginare questo declino (non è solo economico, ma anche estetico). Elaborare una programmazione, sistemi di incentivi e disincentivi, nuove regolamentazioni, ecc.. Uscire tutti dal proprio particulare, fare sistema. Deve essere la città nel suo complesso al centro del rilancio, con tutte le sue energie e potenzialità per superare criticità vecchie e nuove. Non è più tempo di furbizie e pigrizie.
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