Il Corpo Forestale dello Stato sta passando in rassegna strutture zoofile in tutta Italia e tra queste è finito nel mirino, per alcune irregolarità, lo storico Delfinario di Rimini, uno dei più vecchi del nostro Paese. Al centro dell’attenzione: l’assenza di ripari per gli animali dal sole e dalla vista del pubblico, un adeguato sistema di raffreddamento e pulizia dell’acqua, la mancanza di vasche per il trattamento veterinario, per la quarantena e per le femmine in gravidanza o allattamento. A questo si aggiunge la somministrazione ai delfini di tranquillanti e cure ormonali. Questa situazione di “negligenza e maltrattamento” è stata più volte segnalata dalle associazioni aminaliste dell’Enpa, Lav e Marevivo, che si reputano soddisfatte e ne chiedono l’immediato sequestro e chiusura ”anche alla luce di un esercizio abusivo delle attività al pubblico poiché non ha la dovuta autorizzazione prevista dal Ministero”. I delfinari, continuano, sono strutture che non hanno alcun valore scientifico-educativo e chiedono si proceda anche contro quelli di Riccione, Fasano e Torvaianica.
Sulle carenze strutturali Monica Fornari, della proprietà del Delfinario, si difende comunicando di aver già da tempo chiesto al comune l’autorizzazione a costruire una vasca aggiuntiva e a mettersi a norma, senza però aver ancora ottenuto risposte. Per quanto riguarda l’uso del tranquillante, il Diapazem, sostiene sia solo in piccolissime quantità e come stimolante per l’appetito, prescritto dai veterinari senza alcun problema. Gli ormoni altro non sono che pillole contraccettive, usate per evitare la riproduzione in una situazione in cui c’è consanguineità. La Fornari tiene inoltre a sottolineare che il veterinario di cui si avvalgono, il dottor Manuel Garcia Hartmann, è un esperto internazionale di cetacei, veterinario di vari delfinari europei e del centro europeo di riabilitazione degli spiaggiati, oltre ad essere stato presidente della società europea dei mammiferi marini. “Tutto il resto” dice “è risultato a norma: dal mansionario del personale, dagli elenchi tecnici degli esemplari e relativa documentazione, dai report giornalieri accuratissimi circa cibo e gestione, dall’eccellente qualità dell’acqua, ai registri di detenzione di tutti gli animali, dalla collaborazione con CNR, con le 13 università italiane per lo sviluppo e la ricerca, dalle tesi di laurea, dalle collaborazioni con altri enti, onlus e associazioni, dalla didattica fatta con le scuole, dalle informazioni tecniche che diamo, alla riproduzione di cui ci pregiamo essere eccellenza europea”. Rispetto alle multe, c’è un ‘balletto’ sulle cifre. Secondo alcune fonti risulterebbero di un importo pari a 6 mila euro, secondo quelle più vicine agli ‘ambientalisti’ ben 18 mila. (M.Z.)
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