– L’editoriale del dottor Piergiorgio Morosini di Cattolica (Giudici, il valore dell’indipendenza), pubblicato sul numero di ottobre 2002 della “Piazza”, è importante e condivisibile.
«Di Cattolica», ho precisato, perché – voglio dirlo subito – Piergiorgio Morosini è, con il professore Guido Paolucci, uno di quei cattolichini che mi fanno sentire onorato di essere, per nascita, infanzia e sentimenti, loro concittadino. Tra l’altro, il dottor Morosini, non lo si dimentichi, ha accettato il posto più rischioso esistente in Italia, quello di giudice a Palermo, dove sappiamo quale tipo di criminalità agisca.
Fin dall’ incipit del suddetto editoriale noi lettori ci accorgiamo di avere molto da imparare da quel giovane magistrato. Egli ci ricorda infatti il vivo apprezzamento della tradizione di indipendenza del potere giudiziario del nostro paese, espresso dagli osservatori dell’ONU presenti a Palermo nel marzo di quest’anno. Confesso che anch’io, che sto molto attento alle cose della giustizia ma appartengo a quel popolo di smemorati che è il popolo italiano, me n’ero dimenticato; ma si è trattato di un riconoscimento autorevole ed estremamente lusinghiero per i magistrati italiani, dopo le caterve di calunnie rovesciate loro addosso da certe televisioni e le mancate difese da parte dello schieramento antiberlusconiano (donde la prolungata solitudine dei nostri giudici).
Il giudice Morosini è già stato incaricato dall’organo di autogoverno dei giudici, il Consiglio Superiore della Magistratura, di lavorare, con lezioni settimanali, insieme a coloro che provvedono alla formazione e all’aggiornamento dei colleghi più giovani che sono all’inizio della carriera. Tale è la stima di cui gode in virtù della sua vasta cultura (non solo giuridica) e della sua serietà.
Ma, egli ci avverte e insegna, quella delicatissima funzione didattica è oggi minacciata da una norma del d.d.l. 14.3.2002. Se quella norma dovesse divenire legge, «formazione e aggiornamento professionale -scrive- verrebbero gestite da una Scuola al cui interno vi sarebbero persone di gradimento del ministro». E precisa: «non occorre fervida fantasia per capire che il futuro giudice, sin dal suo reclutamento, dovrebbe essere ben visto dalla Corte di Cassazione e dal Guardasigilli. Siamo di fronte ad un evidente attentato alla separazione dei poteri», quella separazione dei poteri che è stata teorizzata dai fondatori del liberalismo moderno, Locke e Montesquieu.
E spiega, Morosini, che questa è stata la ragione del grande sciopero dei magistrati del giugno scorso, fatto per «difendere l’indipendenza della magistratura perché questa è una parte della libertà dei cittadini». Dal canto mio, posso soltanto aggiungere che vi fu allora l’ignobile tentativo governativo inteso a gabellare quello sciopero come agitazione motivata da ragioni di stipendio, che invece i magistrati esclusero esplicitamente: non vogliamo una lira di più, dichiararono.
Detto da un magistrato come Morosini, scrupolosamente fedele alla propria deontologia di servitore imparziale della legge e della Costituzione, il rilievo acquista una particolare rilevanza.
Nella provincia di Rimini gli operatori culturali fanno a gara a chi organizza le lezioni e le conferenze culturali più interessanti. Poiché non mi risulta che fino ad oggi i problemi giuridici, ad onta del grande spazio che occupano nella storia e nella filosofia, vi abbiano trovato posto, perché non far venire un giurista dell’alto livello di Piergiorgio Morosini a trattarne qualcuno? La sala si riempirebbe di avvocati e di studenti di Giurisprudenza, e molto probabilmente, a giudicare dalle folle di cittadini che accorrono ad ascoltare un Gherardo Colombo, un Nino Caponnetto e un Giancarlo Caselli, si otterrebbe anche un vero successo di pubblico.
*Già professore di Storia contemporanea
all’Università di Ferrara