Il Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia Romagna Gabriele Cesari commenta con noi la drammatica situazione delle frane in provincia di Rimini. di SIMONA CENCI
Il territorio dell’Emilia-Romagna si distingue per la sua fragilità: 56.000 chilometri di corsi d’acqua naturali, 3.000 chilometri di argini, 18.000 chilometri di canali di bonifica, 130 chilometri di costa, 29% dei quali in erosione, 37 aree protette, 26 porti ed approdi. 79.000 frane, di cui il 45% attive, con il 21% del territorio collinare e montano interessato e 84.000 edifici su frane, il 9% dei quali su frane attive, 428 aree perimetrate a rischio. Superano i 100 milioni di euro le risorse rese disponibili per la difesa del territorio nei primi 100 giorni di governo della Giunta regionale. 25 milioni per la prevenzione e il rischio idrogeologico, 19,5 per la prevenzione e il rischio sismico e 59 milioni per interventi in risposta alle emergenze maltempo (nevicate 2012, ottobre-novembre 2014 e febbraio 2015). Le risorse derivano da fondi nazionali e regionali e dalle “economie”, ovvero dal recupero di fondi disponibili e non utilizzati negli anni precedenti.
Al riguardo si è espresso anche il Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia Romagna Gabriele Cesari ( foto), rispondendo ad alcune domande e aiutandoci così a capire meglio a quali zone del nostro territorio e in particolare della provincia di Rimini, siano destinate queste somme, a fronte dei danni provocati dal maltempo in questi ultimi anni e per prevenire ulteriori dissesti.
Presidente Cesari, quali sono le zone maggiormente interessate dal dissesto?
Esistono nel territorio provinciale dissesti di natura superficiale in corrispondenza dei rilievi collinari non molto elevati. Tuttavia la particolare conformazione argillosa del terreno favorisce formazioni di frane anche diffuse, come colate e scivolamenti e formazioni di calanchi. In Valmarecchia le porzioni di territorio maggiormente interessate da frane attive sono in particolare nei versanti tra Ciola Corniale e Poggio Berni, con larghe zone in dissesto attivo nel comune di Torriana e Verucchio (come quella recentemente e severamente attivatasi), oltre che in tutti i rilievi collinari prossimi alla località San Paolo. Numerosi dissesti di natura quiescente, ossia potenzialmente instabili, interessano larghe e diffuse parti del nostro territorio provinciale, e negli ultimi anni si è registrato un drastico peggioramento. Anche nelle porzioni più prossime a Rimini esistono criticità in termini di dissesto, come nei versanti di Covignano e Sant’Aquilina. Gran parte delle quinte collinari del restante territorio provinciale, come in Valconca, è interessata da dissesti più o meno severi (Saludecio, Mondaino, Mulazzano) non sempre prossimi ai centri abitati, ma che interessano viabilità, infrastrutture e sottoservizi, con gravi costi per la collettività. Non dimentichiamo poi il crollo della rupe di San Leo, che ha avuto larga risonanza mediatica per la peculiarità del caso e dei luoghi, e che sarà oggetto di un convegno nazionale dei geologi a fine maggio.
In generale, come destinerebbe prioritariamente queste risorse?
La destinazione delle risorse va fatta sulla base di valutazioni di priorità basate innanzitutto sulla pericolosità dei fenomeni, che è valutata mettendo in relazione il rischio di un evento (frane o alluvioni se parliamo di dissesto) e il valore esposto (strutture o infrastrutture minacciate da questi eventi), e in secondo luogo sui benefici (o impatti) che l’intervento da realizzare porta con sé. Bisogna infatti tener conto del fatto che ogni azione sul territorio ha una ripercussione sulle aree più prossime, che a loro volta modificano il proprio equilibrio e quello di aree un poco più lontane. Nella fase di progettazione si tende a non tenere conto di questa sorta di “reazione a catena”, soprattutto perché i progetti sono sempre concentrati sull’area si intervento e mai su studi geologici e geomorfologici di area vasta. Ad esempio, l’innalzamento di un argine a protezione di una casa può aumentare il rischio inondazione di un abitato più a valle. Pertanto intervenire può significare un buon servizio alla casa singola, ma sicuramente non al paese intero. Oppure: se si procede con somma urgenza a sistemare la viabilità collinare senza alcuno studio geologico sull’intero versante, il dissesto viene solo momentaneamente tamponato e sarà pronto a ripresentarsi qualche mese dopo, con conseguente ulteriore dispendio di soldi pubblici e problemi per la collettività. Per questo, prima di tutto, prima di definire le priorità, bisogna avere una conoscenza approfondita ed aggiornata del sistema territoriale su cui si interviene.
In che senso?
Noi crediamo che una parte significativa di queste risorse vada spesa per studi geologici di larga scala e per strumenti di monitoraggio implementati attraverso sistemi Open Data, a disposizione di chiunque operi in quel territorio. Crediamo inoltre fortemente che la figura del geologo vada coinvolta in fase di pianificazione e di studio precedente al dissesto. Prevenire costa molto meno che curare, come si è soliti affermare. Quanto accaduto negli scorsi decenni, e in particolare negli ultimi anni, conferma in modo inequivocabile la necessità di un maggiore coinvolgimento dei geologi nella pianificazione, nella prevenzione e nella sistemazione dei dissesti.
Quale dovrebbe essere una buona gestione del territorio per prevenire, ancor prima che sanare, i dissesti idrogeologici in Emilia Romagna?
Una corretta gestione del territorio deve partire in modo imprescindibile dalla conoscenza geologica. Occorrono più geologi sul territorio, innanzi tutto all’interno delle Pubbliche Amministrazioni, negli enti locali (Comuni o Unioni di Comuni). Occorre un maggiore coinvolgimento dei geologi liberi professionisti che spesso sono ottimi conoscitori delle loro geografie locali e delle loro criticità. Non dimentichiamo che spesso, oltre agli eventi disastrosi, come le alluvioni ed esondazioni di quest’anno in provincia di Rimini con i conseguenti sgomberi di somma urgenza degli abitati, buona parte dei dissesti che affliggono comuni e viabilità si potrebbero prevenire con una buona progettazione geologica.
Questo momento di riordino delle competenze, conseguente alla soppressione delle Province, deve essere un’occasione preziosa per portare questa figura professionale negli organici degli Enti Territoriali.
Come si fa a prevenire?
La prevenzione è un tema difficilissimo, se ne parla troppo e si fa quasi mai. Per prevenire occorre, in primis, che le amministrazioni ed i cittadini, per le loro rispettive competenze, siano educati a una cultura diffusa della gestione del territorio, a partire da chi coltiva i terreni, chi realizza interventi sui territori (pensiamo alle aziende multiservizi che realizzano opere e reti in continuo), chi gestisce strade, fino a chi – soprattutto – governa il territorio attraverso gli strumenti urbanistici. È chiaro che fare decine di convegni sulla prevenzione non serve a molto se continuiamo a consumare 6-7 mq./sec di suolo anche nel 2014 (in piena crisi dell’edilizia!!!) e magari anche in aree a rischio. Quello che noi geologi diciamo da sempre è che la prevenzione del dissesto idrogeologico ha origine dalla corretta e sostenibile pianificazione territoriale che miri alla riqualificazione del costruito in termini di sicurezza (anche rispetto agli eventi sismici) e ad un progressivo azzeramento del consumo indiscriminato di suolo, che tanti danni ha fatto nei passati decenni.