– A distanza di una settimana se ne sono andati due grandi personaggi della storia cattolichina: Lorenza Morosini (Enzina) a 85 anni, e Lorenzo Staccoli (Attilio) a 80. Icone, per motivi diversi, di un’appartenenza cittadina che ha segnato in positivo vissuti collettivi e individuali. Altra curiosa coincidenza: vivevano entrambi tra via Mazzini e via D’Azeglio. Persone che sono state un “patrimonio pubblico”.
Per cominciare a raccontare l’Enzina bisogna partire dalla scuola. Eccola allora immaginarcela avventurarsi per le sperdute campagne, disastrate dalla guerra appena conclusa, con la sua Topolino che era qualcosa di unico perché… guidata da una donna. Spesso si trovava a dover insegnare in sedi che non erano scuole, ma solo stanze concesse in uso da abitazioni private. Lei stessa raccontava che per un certo periodo ebbe una pluriclasse di una dozzina di bambini sistemata in una saletta senza porta e ogni mattina aveva il suo da fare a organizzare l’attenzione degli scolari, distratti dal continuo viavai della domestica con in mano i pitali pieni provenienti dalle camere dei ‘signori’ della casa. I suoi allievi inoltre arrivano dopo avere già svolto qualche lavoro nel casolare di famiglia e aver percorso chilometri a piedi al freddo. E nessuno parlava l’italiano, solo il dialetto. Sicuramente trovandosi a fronteggiare situazioni d’emergenza, il suo genio artistico ebbe modo di estrinsecarsi al massimo. Con i linguaggi universali del teatro, della musica e dell’immagine seppe così operare ‘miracoli’. Quando poi si trovò a insegnare a Cattolica, chi ebbe la fortuna di averla come maestra, si avvantaggiò di un percorso anche artistico ed emotivo che altri insegnanti non potevano dare. Dagli anni ’70 agli ’80, con l’avvento della scuola a tempo pieno, l’allora direttore didattico, Arduino Donini, “istituzionalizzò” l’Enzina facendola diventare “scuola di musica, drammatizzazione e attività plastiche” per quella parte del corpo insegnante impegnato nel nuovo tipo di scuola. Fu così che l’Enzina divenne anche una grande maestra per le maestre. Indimenticabile e ineguagliabile fu la sua scuola. C’insegnò a distribuire le parti delle commedie a seconda delle potenzialità dei bambini, senza escludere nessuno nè privilegiare pochi protagonisti. A tale scopo lei scriveva opere “democratiche” di respiro corale. Le battute dovevano essere bilanciate tra gl’interpreti. Tutti dovevano svolgere anche una parte cantata e ballata perchè questo rendeva l’opera più gradevole per il pubblico e di maggiore effetto educativo e divertente per i bambini. Una delle sue più note commedie, “Il Natale del mare”, è diventata un classico. Rappresentata decine di volte, con le sue deliziose canzoni è nella memoria di tanti adulti di oggi. Parlava di un Natale povero dei pescatori in contrasto con quello consumistico dei ricchi. Poi le creature del mare come pesci, conchiglie, gamberi, gabbiani e cavallucci, allestiscono un presepe marino che innesca l’agnizione finale dove tutti diventano buoni: dal mare appare la Madonna vera, tutti s’inginocchiano recitando un sermone in dialetto:”L’Ev Maria picinéna a la girìn sera e maténa. Sera e maténa a la girìn, in Paradìs nun andarìn. In Paradìs u j’è un bel stè, Madunéna, ripusè. Ripusè sun bel burdlén, bienc e ross e riciulén. Tira sò cla veletta, j’è un pupén cal tò la tetta. Tetta il latte di Maria. Buon Gesù, l’anima mia”.
L’Enzina c’insegnò anche a costruire burattini e a farli parlare in modo magico: in quella ‘creatura’ il bambino avrebbe proiettato il suo mondo e fattolo parlare. Alla faccia di Sigmund Freud. Pieni di poesia e di ricordi tenerissimi sono anche i quadri dipinti dall’Enzina. Ci raccontano una Cattolica che non c’è più e che lei ha saputo trasmetterci anche in quelle bellissime pagine pubblicate ogni mese su Cubìa.
Poi c’era anche una parte meno conosciuta di lei. Aveva poteri straordinari in virtù dei quali ha “curato” tantissime persone. Molte sono guarite ‘senza spiegazione’, dicevano i medici. Pranoterapia o no, lei era comunque in grado di fare trattamenti sul corpo, senza toccarlo, per ristabilire un equilibrio energetico che era di grandissimo aiuto alla persona sottoposta. Naturalmente a titolo gratuito. Con la sua particolare capacità di affabulazione, parlava anche di ‘altri’ mondi popolati da ‘altre’ creature. Certamente ora le si saranno disvelati compiutamente e lei potrà cantare e danzare in una perfetta letizia.
La scomparsa di Lorenzo Staccoli, Attilio per tutti, ha destato molta sorpresa, talmente si era abituati a vederlo nelle due pasticcerie dei figli a interagire con il personale o a dialogare con i clienti. E sempre in ottima forma, tanto che portava i suoi 80 anni con eccezionale vigore e invidiabile giovinezza. Una giovinezza che non lasciava trasparire problemi fisici perché lui cavalcava la vita sempre guardando avanti. Il suo sereno ottimismo aveva radici profonde che affondavano le loro certezze in un terreno di fede. Fede cristiana, innanzi tutto, che è stata alla base della sua educazione familiare e della sua formazione personale. Ma fede anche in valori più laicamente intesi come quello della famiglia, del lavoro e dello sport.
Secondo di otto figli, (due maschi, lui e don Franco, e sei femmine), padre e nonni mugnai. La sua storia fa per certi versi pensare alla famiglia del ‘Mulino Bianco’. Sia perché anche Attilio si occupò di biscotti e ciambelle, sia perché la sua è sempre stata una famiglia felice basata sull’amore e la solidarietà. Una famiglia tenuta molto unita, prima dai genitori Assunta e Giuseppe, poi da lui, grande riferimento carismatico degli Staccoli e ormai vero ‘patriarca’ di un parentado molto numeroso. Questo forse anche perché, l’unico fratello, don Franco, è “il più piccolo” ed è sacerdote, per cui è stato giocoforza che Attilio diventasse il capitano della nave Staccoli. Ma lui aveva anche le caratteristiche e la forza per farlo. Nel ’52 la famiglia Staccoli capì che, nel lavoro, era il momento giusto per fare il grande salto: dal mulino alla pasticceria. Forse, come già scrissi, ‘era fatale che a un certo punto la farina s’impastasse con zucchero e uova’. E fu subito un successo. Il team di lavoro era esclusivamente famigliare: esclusi l’ultimogenito Franco e la primogenita Lorenza che presero i voti per la vita religiosa, gli Staccoli si dedicarono tutti alla pasticceria. Nel ’56 “inventarono” per Cattolica la pizza al taglio che divenne subito meta di ‘pellegrinaggi’ domenicali per tutti i bambini del paese.
Poi negli anni ’60 le sorelle si sposarono e Attilio rilevò l’attività che continuò a condurre con la moglie Sina e la sorella Giulia. Dotato di rara capacità imprenditoriale, fece crescere l’azienda senza mai banalizzarne il prodotto artigianale. Anzi, lo fece crescere qualitativamente e commercialmente. Dagli anni ’80 esportò il miacetto negli StatiUniti e ne registrò il marchio. In seguito, venne insignito del titolo Maestro di Commercio. Negli ultimi anni aveva aperto, in collaborazione con i figli Paolo e Patrizia, lo Staccoli Caffè e la Cioccolatteria con vineria, divenuti ormai locali di culto per la clientela più esigente. Lui sapeva sempre guardare al futuro con fiducia e senza avventatezze. E non sbagliava. Dotato di eccezionale talento nell’ambito del suo lavoro, ne aveva anche nelle relazioni personali: conosceva un universo di persone diverse, con le quali era in grado di usare i linguaggi giusti, intuendone aspettative o bisogni. Tanta, la beneficenza che ha fatto in silenzio. Cioè nel modo giusto.
Negli anni ’70, quando esplosero le radio libere, finanziò Radio Bussola, per i ventenni di allora che, regolarmente, foraggiava pure di paste. Divenne anche socio di TeleCattolica, dove, come ricordava anni dopo, “ci rimise un sacco di soldi ma non importa perchè era un’esperienza che allora andava fatta e che comunque ebbe tanta popolarità”. Ma l’altra grande passione di Attilio oltre il lavoro, fu il pallone. Non avendolo potuto praticare lui perchè aveva dovuto sempre lavorare, ne incoraggiò la pratica nei bambini e nei giovani, fondando il Superga 63, da dove uscirono anche tanti professionisti e un campione come Eraldo Pecci. Il gioco del calcio aveva per lui tutto il valore educativo di uno sport sanamente praticato: imparare a stare insieme e a rispettare regole, divertendosi. Diceva che l’importante era vincere nella vita, le partite giuste, più che quelle sul campo. Tutti i bambini di oggi e di ieri lo ricordano con grande affetto per il sostegno che ha sempre dato loro e per le indimenticabili feste a base di paste che lui offriva puntualmente, molto apprezzate in quei tempi che ancora non avevano conosciuto il benessere diffuso che poi è venuto. Un ex calciatore ha ricordato: “Ha fatto molto per noi del Superga. La sua fede religiosa era alla base dell’educazione dei ragazzi. Sapeva esserci vicino con affetto. E le paste non mancavano mai. Nemmeno per i nostri avversari che, specie se rimanevano sconfitti, almeno si consolavano così”. Una volta Attilio raccontò: “Quando ero bambino, giocavo con un pallone fatto di stracci, poi a 10 anni feci la mia prima stagione all’Hotel Royal e alla fine dell’estate, con le mance, mi comprai un pallone vero. Fu una grande gioia non solo per me, ma anche per tutti i miei amici”. Poi seppe dare gioia agli altri anche con i suoi dolci. Una signora ha scritto della sua scomparsa un sms al figlio lontano: “Il nostro caro Staccoli ci ha lasciato…Ti ricordi quante belle feste abbiamo fatto con le sue torte? Le sacher, le sant’honorè, le millefoglie… nessuna però ora sarà più come prima… come quando Tillio le consegnava con quel suo sorriso come a dire: Felicità!”.
di Wilma Galluzzi