– La sistemazione Ghigi doveva salvare capra e cavoli. Cioè doveva dare nuovo impulso imprenditoriale alla Ghigi, sollievo urbano a Morciano e giusta integrazione col territorio di San Clemente. Non è avvenuto nulla di tutto questo ed è mancato uno degli ingredienti base: il buon senso.
Mentre i dipendenti della Ghigi ricevono acconti parte su salari e stipendi, attorno all’operazione monta impetuoso il dissenso. Claudio Battazza, segretario dei Ds della Valconca, da sempre contrario, da alcuni mesi è sceso in campo con argomentazioni sempre più convincenti, sempre di più buon senso, sempre con occhio attento rivolto all’ambiente e alla qualità della vita.
Tuona: “E’ il contrario di un’operazione seria. Se non torniamo a discutere di queste cose, di che cosa dovrebbe mai parlare la politica? E’ una fantasia dei Ds, o c’è in ballo il futuro urbanistico, la qualità di vita della città e della Valconca?”. Del suo stesso parere è anche Giordano Leardini, fino a pochi giorni fa, presidente del Circolo di An di Morciano.
Sul fatto Ghigi sta andando a carte e quarantotto tutto il cosiddetto Accordo di riqualificazione urbano stilato tra i Comuni di Morciano e San Clemente, la Provincia di Rimini, da una parte e la proprietà della Ghigi, una cooperativa di cultura repubblicana, dall’altra. Sono stati stilati due accordi: uno con Morciano e uno con il Comune di San Clemente. Domanda: non bastava uno solo?
A Morciano, la Ghigi può utilizzare tutta la cubatura attuale del mega complesso, che in cambio ha costruito la piazza antistante lo stabilimento e intitolata a Angelo e Emilio Ghigi.
Visioni alti dello sviluppo urbano relativo alle strutture produttive dismesse, indica che il 40 per cento va a chi fa l’operazione, il 30 al Comune e il 30 per cento va demolito.
Dove c’è oggi lo stabilimento dovrebbero andarci un supermercato, appartamenti (una quarantina?), una trentina di negozi e salette varie che vengono acquistate con denari pubblici. E’ un investimento di alcuni milioni di euro, attorno quale ogni giorno dovrebbero convergere migliaia di automobili. Morciano è in grado di sopportare un carico simile, quando in giro ci sono decine di negozi sfitti? Altra domanda, perché nel Piano di riqualificazione urbano (Pru), dove c’erano in ballo denari pubblici, è entrata solo la Ghigi e non altre zone della cittadina, come il teatro, piazza Risorgimento, i cortili interni?
San Clemente entra in scena perché la Ghigi si dovrebbe, si deve, trasferire a Sant’Andrea in Casale. Grazie all’impegno della pubblica amministrazione, la Ghigi è riuscita ad acquistare una decina di ettari di terra a prezzo molto vantaggioso (attorno ai 20 euro al metro quadrato contro un valore di mercato superiore), dove tirar su il pastificio, il mulino e il mangimificio. Non sono troppi?
Allo stato, i dirigenti della Ghigi hanno tirato su il pastificio e non se la sentono di costruire il mangimificio e il mulino. Inoltre, non assicurano il posto di lavoro agli attuali 70 addetti.
Va sottolineato che la Ghigi dovrebbe abbandonare il centro di Morciano, solo che va a finire, grazie ad uno scriteriato e davvero basso livello di sviluppo urbanistico, in mezzo a civili abitazioni accavallate le une sulle altre, dove mancano perfino i posti auto per i residenti. Insomma, si è avuto uno sviluppo urbanistico tipico di una politica bassa, in sintonia con una nazione arretrata. E in tanti dissentono da tale caos cementificatorio.
Oramai nell’immaginario collettivo della provincia di Rimini, Sant’Andrea è diventato sinonimo di cattiva gestione della cosa pubblica. Di brutto. Di cementificazione scriteriata non meno che selvaggia.
Attualmente i quattro protagonisti dell’accordo di programma vogliono rivedere i patti sottoscritti, ma come dicevano una volta i buoi sono usciti e non si può che mettere delle pezze.
Ma tutto questo era evitabile? Perché il presidente della Provincia di Rimini, Nando Fabbri, Ds, grande mediatore di tutta l’operazione, non ha mai ascoltato di dirigenti locali del suo partito?