Piergiorgio Morosini
di Piergiorgio Morosini*
– Ormai da settimane, il circondario di Rimini è “zona rossa”. La curva dei contagi semina, ogni giorno, ansia e dolore in tante famiglie. Eppure il distanziamento sociale ci ha fatto capire che “nessuno si salva da solo”. Una silenziosa alleanza sta unendo donne e uomini di diversa estrazione sociale e professionale per soccorrere chi è più debole. Dal coraggio di medici e infermieri all’impegno incessante di autorità locali e forze dell’ordine; dalla generosità del volontariato al quotidiano senso di responsabilità dei singoli.
Forse proprio nel “senso di comunità”, ritrovato in questi giorni drammatici, c’è la “ricetta” per la ricostruzione socio-economica che si imporrà alla fine della emergenza sanitaria.
In tanti già si interrogano sul “dopo”. Quali capacità delle imprese di “resistere”? Quali condizioni per “riaccendere un motore” che assicura occupazione e futuro? Si vagliano migliaia di bilanci aziendali, per misurare solvibilità e chances di ottenere prestiti nei diversi tipi di attività. Nei giorni scorsi, l’agenzia nazionale di rating Cerved ha pubblicato gli esiti in un report. Secondo le sue stime, i settori più colpiti dalle misure anti-contagio sarebbero quelli legati alla filiera turistica. Alberghi e altre strutture ricettive, agenzie di viaggi e organizzazione eventi, bar, ristoranti, centri benessere. Insomma, il baricentro dell’economia della nostra riviera. Quello delle piccole e medie imprese, che ora scontano la drastica riduzione della redditività.
Della crisi di liquidità è pronto ad approfittarne il virus dei “capitali mafiosi”. A rischio è il nostro patrimonio di imprese familiari cresciute coi sacrifici di diverse generazioni. La loro acquisizione da parte dei clan finirebbe per alterare la libera concorrenza, indebolire le tutele per i lavoratori ed esporre le istituzioni alla corruzione. Sono pericoli che la riviera già conosce. Come non ricordare il 1989, quando la mucillagine impedì la balneazione per buona parte dell’estate. Secondo documenti ufficiali, in poco tempo circa un terzo degli alberghi tra Bellaria Igea Marina e Cattolica cambiò di titolarità, con schiere di “prestanome”. E un fenomeno simile si è ripetuto sulla scia della crisi finanziaria dopo il crack di Lehman Brothers, quando usura e riciclaggio aggredirono le realtà più fragili. Tuttavia in quelle stagioni, pur tra mille difficoltà, l’illegalità non ha dilagato. La maggior parte delle imprese locali ha retto, senza piangersi addosso e rischiando in proprio.
Stavolta, però, i pericoli dello sciacallaggio sono maggiori. Non è previsto un ritorno alla normalità in tempi brevi e i clan già godono di robusti presidi sul territorio. Solo nell’ultimo anno, nel Riminese sono stati sequestrati beni per 109 milioni di euro oggetto di riciclaggio. Tant’è che il sindaco Andrea Gnassi, nel gennaio scorso, aveva pubblicamente parlato di “lavatrici invisibili” del circondario, grazie alla compiacenza di alcuni professionisti e imprenditori indigeni. Così è prevedibile che, nelle prossime settimane, certi “avamposti criminali” apriranno la caccia alle tante aziende in stato di necessità. Quelle che, senza introiti per lungo tempo, devono far fronte al pagamento di stipendi, canoni e oneri fiscali.
Ora diversamente dal passato, per combattere il virus mafioso non basta la delega a forze dell’ordine e magistratura. E non sono sufficienti neppure i meccanismi di segnalazione delle operazioni sospette che, in base ai protocolli locali, coinvolgono pure liberi professionisti, rappresentanti di categoria e autorità locali. Il salvataggio delle aziende sane e dell’occupazione di migliaia di lavoratori richiede una reazione compatta della nostra “comunità”.
Senza dubbio il governo centrale dovrà fare la sua parte. Garantendo ammortizzatori sociali e forme di soccorso finanziario e fiscale alle imprese; possibilmente con una semplificazione delle procedure amministrative che non rinunci alla trasparenza. Ma un ruolo da protagonisti, sul territorio, lo dovranno assumere enti locali, rappresentanze di categoria e istituti di credito. In nome di un interesse superiore, sono chiamati a vincere egoismi, autoreferenzialità e diffidenze reciproche. Solo così si potrà avere una ripartizione equa dei sacrifici, fondamentale per la ripresa. Si pensi, ad esempio, alle questioni della rinegoziazione dei contratti di affitto stipulati prima della crisi (che coinvolgono tante aziende) alla costituzione di un fondo per l’abbassamento dell’IMU; o alla disposizione di linee di credito agevolate a chi vuole investire.
In conclusione, è lo spirito di concordia con cui si sta lottando nell’emergenza sanitaria che potrà scongiurare la “giungla mafiosa” del “dopo”. Senza una alleanza tra i diversi attori del circuito produttivo e istituzionale, le tradizioni di una terra dinamica e generosa come la nostra sarebbero esposte ad una trasformazione profonda. Il dilagare di povertà, prepotenze e illegalità finirebbe per erodere la qualità della convivenza civile. Sta nel “senso di comunità”, dunque, la vera risorsa per una ripresa improntata alla tutela del lavoro, alla lealtà dei commerci e alla trasparenza della vita pubblica. Perché, mai come ora, “nessuno si salva da solo”.
*Giudice del Tribunale di Palermo