Tratto dalavocve.info
di Lucia Valente, professore di Diritto del lavoro nel Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Facoltà di Scienze Politiche della Sapienza
La legge di bilancio contiene misure positive per il sostegno all’incontro fra domanda e offerta di lavoro, riprendendo strumenti previsti dal Jobs act. Ma la macchina si mette in moto troppo tardi e troppo lentamente rispetto a un’emergenza drammatica.
La prevedibile ondata di licenziamenti
Se il 31 marzo cesserà davvero il blocco dei licenziamenti, dovremo fare i conti con un grande assente: le politiche attive del lavoro. Il tempo per realizzare servizi per il lavoro capaci di accogliere le richieste delle migliaia di disoccupati che la pandemia ci lascerà in eredità è pochissimo e urge avere il massimo controllo dei sistemi regionali, imponendo dal centro una regia in grado di fornire a tutti i cittadini i medesimi servizi.
La legge di bilancio entrata in vigore il 1° gennaio prova a dare un segnale mettendo a disposizione, per il solo 2021, 500 milioni di euro del programma europeo React Eu per le politiche attive del lavoro.
È già qualcosa: le risorse, anche se poche rispetto ai circa 44 miliardi lordi destinati alle politiche passive nel 2020, sono gestite centralmente e finanziano, con 233 milioni di euro entro il 2021, un nuovo programma denominato Gol, che vuol dire “garanzia di occupabilità dei lavoratori”.
A quanto si legge, il programma vuole essere una sorta di “garanzia giovani”, ma per gli adulti disoccupati in cerca di un lavoro o per i lavoratori che un lavoro rischiano di perderlo. Peccato che la norma, il comma 324 dell’articolo 1 della legge di bilancio, non dica nulla di più. Occorrerà un decreto interministeriale da emanare entro sessanta giorni, a ridosso dunque dello sblocco dei licenziamenti, nel quale dovranno essere precisati non solo i destinatari di Gol, ma anche il tipo di servizi e il flusso delle attività – che vanno dalla presa in carico fino alla ricerca intensiva di un lavoro.
Quello che si capisce leggendo la norma è che il ministero del Lavoro ha voluto varare una misura di politica attiva del lavoro nazionale, cercando di sostenere (o superare?) le regioni, che su questa materia hanno una competenza concorrente con lo stato. Le stesse regioni sono chiamate a un’intesa con lo stato sull’emanando decreto interministeriale: l’auspicio è che non facciano ostruzionismo per rivendicare un ruolo nella gestione delle risorse.
Torna al centro l’assegno di ricollocazione
Quanto agli strumenti adottati, si registra un ritorno al “Jobs act delle politiche attive”, ossia al decreto legislativo n. 150/2015: viene confermato l’assegno di ricollocazione sia per i percettori di Naspi da più di quattro mesi (ripristinato dopo essere stato tolto nel 2019), sia per i cassaintegrati per ristrutturazione o crisi aziendale (senza più bisogno di accordo collettivo aziendale) e per cessazione di attività. È un modo per anticipare la ricerca del lavoro per coloro che con molta probabilità saranno licenziati alla fine del periodo di integrazione straordinaria. Per questi lavoratori sarebbe stato opportuno, però, rimuovere la regola che li esenta dall’obbligo di accettazione di un’offerta di lavoro congrua.
Dai beneficiari spariscono invece i percettori di Discoll, ossia i parasubordinati, che non hanno diritto all’assegno di ricollocazione nazionale, ma possono comunque beneficiare di altre misure regionali. L’esclusione, motivata probabilmente da ragioni di spesa, denota una scarsa attenzione della politica verso una platea di lavoratori assai consistente, fortemente colpita dalla pandemia.
Per estendere l’assegno di ricollocazione a un più vasto numero di beneficiari la norma destina la parte restante dello stanziamento (267 milioni) al rifinanziamento della misura per il 2021.
La novità è la centralità assegnata alla formazione professionale e alla riqualificazione per l’acquisizione di competenze necessarie per rispondere ai fabbisogni formativi della persona. Anche in questo caso, però, la norma è estremamente generica e manca qualsiasi cenno a un sistema di monitoraggio permanente degli esiti della formazione impartita.
I vecchi errori da evitare e il rischio di arrivare tardi
Affinché il programma Gol possa funzionare è necessario che tutto il flusso delle attività che verranno previste nel decreto interministeriale sia gestito esclusivamente grazie a un sistema informativo unico nazionale, previsto dall’art. 13 del Dlgs n. 150/2015, ma ancora non realizzato. Se si commetterà ancora una volta l’errore di far gestire alle regioni, ciascuna con i propri sistemi informativi in parte obsoleti, il flusso delle attività di Gol si rischiano ritardi e il solito rimpallo di responsabilità che non possiamo più permetterci. Un efficace sistema informativo unico serve, tra l’altro, per tracciare il flusso delle attività remunerabili svolte dai tanti soggetti privati chiamati a intervenire in ogni regione nella erogazione delle misure di politica attiva e della formazione.
Mai come ora è necessario individuare un “padrone del processo” che sappia dare risposte immediate a eventuali malfunzionamenti informatici e alle disfunzioni organizzative che inevitabilmente ci saranno.
È poi necessario che il decreto interministeriale separi le platee dei beneficiari: una cosa è fornire misure di politica attiva a un disoccupato di lunga durata, altra cosa è accompagnare al lavoro un percettore del reddito di cittadinanza che non ha mai lavorato, altra cosa ancora è assistere un lavoratore appena licenziato. Il decreto dovrà individuare con precisione e per ciascun gruppo i tempi di presa in carico, il flusso e i tempi per l’erogazione delle singole misure.
Ma per fare tutto questo è necessario che il ministro del Lavoro dia obiettivi chiari e misurabili alla dirigenza ministeriale chiamata ad attuare il programma politico contenuto nella norma.
Infine, è necessario aggiornare il decreto sui livelli essenziali delle prestazioni, che risale al 2018, e garantire il riallineamento delle aree del paese per le quali i Lep in materia di politiche attive del lavoro non siano rispettati, mediante interventi di gestione diretta da parte dell’Anpal. Per la prima volta l’Agenzia potrebbe così dare un segnale per giustificare la sua esistenza, anche partecipando sistematicamente ai tavoli di crisi che si apriranno da marzo, per fornire supporto alle regioni e ai sindacati.
Tenuto conto che la pandemia è ancora in corso, è divenuta necessaria anche la digitalizzazione dei servizi per il lavoro. Essere capaci di erogare ciascun Lep da remoto evita la sospensione delle politiche attive, come invece è accaduto nel primo semestre del 2020. Operare, su questo terreno, anche da remoto sarebbe davvero un bel segnale di avanzamento amministrativo e di sburocratizzazione dei servizi per il lavoro.
Resta però l’interrogativo da cui siamo partiti: come sarà possibile realizzare tutto questo entro la fine di marzo?