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Home Economia

Economia. Chi ha paura del vaccino?

Redazione di Redazione
2 Agosto 2021
in Economia
Tempo di lettura : 5 minuti necessari
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Vignetta di Cecco

Vignetta di Cecco

Tratto da lavoce.info

DI GUENDALINA GRAFFIGNA, professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza

Sono ancora molti gli italiani che esitano di fronte al vaccino anti-Covid. L’atteggiamento positivo verso una campagna vaccinale non può infatti essere dato per scontato. Va “coltivato” attraverso il dialogo tra scienza e società, istituzioni e cittadini.

Le ragioni dell’esitazione

Mentre la campagna procede, aumenta la quota di italiani propensi a sottoporsi alla vaccinazione contro Covid-19. Il Monitor continuativo promosso dal Centro di Ricerca EngageMinds HUB dell’Università Cattolica registrava a dicembre 2020 il 57 per cento di favorevoli – un dato già in sensibile aumento rispetto al 52 per cento della rilevazione di settembre 2020. A marzo 2021 si arriva al 62 per cento e il numero continua a crescere anche negli ultimi mesi. Per contro, calano sia coloro che si dichiarano esitanti di fronte alla prospettiva di assumere il vaccino (dal 27 per cento di dicembre 2020 al 18 per cento di marzo 2021), sia coloro che sono sostanzialmente contrari a farsi vaccinare (dal 16 al 13 per cento). E il dato delle tendenze psicologiche è in linea con quello reale della campagna vaccinale di questi giorni, che mostra un trend in crescita di coloro che hanno scelto di vaccinarsi.

Ciò non significa che dal punto di vista psicologico non ci siano ulteriori increspature tra i cittadini italiani. Specularmente al calo dell’esitanza vaccinale aumenta, infatti, la percentuale di chi ha paura degli effetti collaterali che la vaccinazione anti Covid-19 potrebbe comportare: sono il 37 per cento, in aumento del 7 per cento rispetto a maggio 2020. Una paura ulteriormente alimentata dai titoli sensazionalistici che ciclicamente paventano presunti effetti collaterali dovuti alle vaccinazioni. Il dato insomma è preoccupante: al di là delle dichiarazioni e dei comportamenti, sul piano psicologico crescono gli “impauriti”.

Risultato? Ancora oggi è evidente una sacca consistente di persone che si dichiaravano spaventate e fataliste sulla pandemia e mostrano scetticismo per i continui rallentamenti e ostacoli nel percorso vaccinale. In pratica, dunque, molti italiani si trovano ancora a fare i conti con una difficile equazione psicologica tra “costi” e “benefici” del vaccino. Si tratta di una bilancia decisionale tutt’altro che razionale, in cui le ragioni della scienza sembrano scontrarsi, o mischiarsi, con le valutazioni idiosincratiche e autobiografiche dei cittadini, le loro percezioni sociali, il passa parola.

Se ci si addentra nell’analisi dei dati sull’esitanza vaccinale in Italia, è evidente come le ragioni psicologiche alla base di questa posizione siano diverse.

È dunque doveroso andare oltre la mera conta di chi ha dubbi verso il vaccino. Si possono infatti ricostruire diversi profili psicologici di esitanza: al di là dei fattori demografici (genere, età, appartenenza geografica) e dello stato socio-economico, a fare la differenza sono la presenza di sintomi ansioso-depressivi (spesso indotti dalla pandemia e dal lockdown), il set valoriale delle persone (chi è più o meno altruista), l’orientamento politico e non ultimo il senso di auto-efficacia nella gestione della propria salute. Questi fattori psico-sociali si intrecciano nelle storie ed esperienze delle persone, tanto da far emergere diverse casistiche tra chi non sa ancora se vaccinarsi o no: da coloro che sono fatalisti e poco coinvolti nella prevenzione del virus, a coloro che sono scettici e sfiduciati verso il sistema sanitario e i suoi operatori; fino a coloro che, in preda a spunti più paranoici, temono che dietro al processo di sviluppo scientifico (veloce) dei vaccini ci siano conflitti di interesse. Ma ci sono anche coloro che sono più egoisti e individualisti nell’approccio alla salute e che pensano di non ricevere dal vaccino un vantaggio sufficiente a superarne il rischio.

False credenze e sfiducia nella scienza

In più, il senso di grande incertezza in cui ci troviamo da diversi mesi fa da terreno fertile per il crescere di false credenze. Le teorie “complottiste” risultano così ipotesi esplicative più seduttive dei dati di ricerca reale, soprattutto quando la situazione in cui si vive appare complessa e fuori dal controllo personale. Di fatto si tratta di risposte semplici e parziali a domande complesse, che sono poi le stesse domande complesse che anche gli scienziati si pongono.

Vi sono poi fattori di personalità che ci rendono più facili vittime di queste credenze. Come abbiamo mostrato in una recente pubblicazione, è proprio la tendenza a una “mentalità calcolatrice”, al pensiero “cospirazionista” (cioè al cercare un colpevole in ogni evento e situazione) unitamente al bisogno psicologico di sentire tutto sotto controllo che – per assurdo – rendono le persone poco avvezze a ragionare sulle evidenze scientifiche (per scolarità o esperienza pregressa) a cadere preda di teorie semplicistiche.

Tra i fattori che spiegano l’esitazione verso i vaccini – come potevamo immaginarci – c’è anche la sfiducia nella scienza. Covid-19 è stato un “stress test” per la relazione scienza e società. Era già una relazione fragile, ma si è ulteriormente incrinata nei lunghi mesi di lotta contro la pandemia. Rispetto a marzo 2020 il livello di fiducia degli italiani nella scienza biomedica è diminuito di ben 14 punti percentuali (dal 79 per cento di chi dichiarava piena fiducia al 65 per cento), e questo atteggiamento è uno dei principali predittori dell’intenzione vaccinale delle persone.

Vi è poi un altro fattore psicologico che determina quanto le persone saranno inclini a vaccinarsi contro il Covid-19, ed è il livello di coinvolgimento attivo (engagement) nella gestione della propria salute: cioè quanto ci si sente responsabili della propria prevenzione e capaci di gestirla efficacemente, non solo rispetto all’emergenza Covid-19. È un dato importante perché ci fa riflettere su come una campagna vaccinale come quella contro il Covid-19 – dal punto di vista psico-sociale – affondi le basi nella più ampia cultura verso la salute dei cittadini, che in Italia è lacunosa e di cui finora non ci si è preoccupati un granché. E così le misure come il green pass, seppur ragionevoli, non appaiono altro che un “cerottino” per gestire la piaga dell’esitanza che riguarda in modo endemico lo scetticismo degli italiani verso il mondo delle vaccinazioni.

La psicologia aiuta la comunicazione

E allora che fare? L’atteggiamento positivo verso una campagna vaccinale non può essere dato per scontato e va “coltivato” a partire da un modo nuovo di dialogo e di relazione tra scienza e società, tra istituzioni e cittadini, tra collettività e singoli. Per questo la comunicazione è un elemento cruciale nelle campagne vaccinali di massa, e in particolare nel caso del vaccino contro il Covid-19. La comunicazione da parte delle istituzioni sanitarie e del governo deve essere completa, autentica ma soprattutto deve saper parlare al cuore dei cittadini. La psicologia può dare un contributo importante in questo ambito. Perché prima di diffondere a gran voce i motivi a favore del nuovo vaccino bisogna mettersi in ascolto e comprendere le ragioni che alimentano le preoccupazioni e i dubbi delle persone: anche in una situazione di crisi è importante – prima di agire – creare tempo e spazio per la comprensione e il dialogo. Uno spazio in cui le istituzioni, gli operatori sanitari, i pianificatori della campagna vaccinale possano non solo “proporre” la loro soluzione, ma anche rispondere ai dubbi e alle paure che animano la pancia della popolazione. Questo spazio può essere costituito anche – semplicemente – dal canale metodologicamente strutturato di una ricerca psicosociale continuativa, che possa misurare il “sentiment” della popolazione e fare da “mediatore culturale” tra cittadini-utenti e tecnici-erogatori della campagna vaccinale. Solo una comunicazione calibrata e personalizzata sulla base della comprensione profonda dei motivi psicologici di esitanza può aiutare davvero le persone a sentirsi ascoltate e valorizzate come protagoniste nella lotta contro la pandemia in corso. E quindi sostenerne la motivazione alla vaccinazione.

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